Una fase fondamentale del ciclo dell’azoto è la riduzione dell’azoto atmosferico (N2) in NH3 (fissazione).
La fissazione biologica dell’azoto rappresenta un vantaggio ecologico per i microrganismi azotofissatori in quanto la loro crescita è indipendente dalla presenza di azoto ridotto precostituito. Essi possono così avere a disposizione azoto fissato ridotto da utilizzare nelle biosintesi incorporandolo nei composti organici.
Tale processo rende i composti dell’azoto disponibili per le biosintesi microbiche e per le piante. L’azotofissazione è effettuata da specifici microrganismi procarioti che possono essere distinti in tre gruppi:
Il processo di azotofissazione è un processo che richiede molta energia per attivare la molecola di azoto gassoso che è piuttosto inerte per la presenza di un triplo legame.
La riduzione dell’azoto gassoso è catalizzato dal complesso enzimatico della Nitrogenasi costituito da 2 subunità proteiche contenenti ferro e/o molibdeno:
Nitrogenasi alternative: alcuni azotofissatori sintetizzano delle nitrogensi modificate in cui il molibdeno è sostituito dal vanadio.
Ciò garantisce al microrganismo la possibilità di fissare azoto anche quando nell’ambiente la quantità di molibdeno è limitante.
Meccanismi di difesa dall’O2 della Nitrogenasi
La nitrogenasi è inattivata rapidamente e irreversibilmente dall’O2, in particolare della dinitrogenasi reduttasi.
I batteri aerobi azotofissatori hanno sviluppato e utilizzano uno o più meccanismi in grado di tenere lontano l’O2 dal sistema enzimatico:
Il processo di fissazione dell’azoto gassoso e flusso di elettroni
Il processo di fissazione dell’azoto è:
Per ridurre l’azoto a ammoniaca devono essere trasferiti sei elettroni e formati diversi intermedi. Il flusso di elettroni prevede quattro differenti tappe:
Durante il passaggio degli elettroni all’N2 si ha il consumo di 16-24 moli di ATP per mole di N2 fissato (Fig. 4).
Regolazione del processo di azotofissazione
La sintesi e l’attività della nitrogenasi sono regolati da 20 geni localizzati in un regulone Nif (un insieme di operoni correlati).
Sono presenti:
La regolazione della nitrogenasi avviene a livello della trascrizione dei geni Nif strutturali. E’ attivata dalla proteina A (regolazione positiva; gene Nif A) ma è inibita dalla proteina L (regolazione negativa; gene Nif L) in presenza di O2.
Gli azotofissatori simbionti delle leguminose
Gli azotofissatori simbionti (rizobi) possono infettare le radici delle leguminose con formazione di noduli radicali sede del processo di azoto-fissazione.
Sono batteri Gram-negativi appartenenti ai generi: Rhizobium, Bradirhizobium, Sinorhizobium, Mesorhizobium, Azorhizobium.
Il genere Rhizobium è coinvolto nella formazione di noduli radicali delle piante di zone temperate.
Esiste una stretta specificità tra la specie di leguminosa e la specie di Rhizobium che la infetta.
In base alla specificità di nodulazione i rizobi possono essere:
Fasi del processo di formazione del nodulo in Rhizobium
RICONOSCIMENTO
Le radici emettono essudati non specifici che stimolano la crescita dei batteri e anche del Rhizobium, e molecole segnale specifiche che sono costituite da flavonoidi che attirano i rizobi e attivano i geni della nodulazione (Nod).
ADESIONE E INFEZIONE
Legame del batterio ai peli radicali mediante la formazione delle proteine ricadesina e lectina presenti sulla superficie delle cellule dei rizobi.
Il pelo radicale si ripiega (arricciamento) in seguito al rilascio da parte dei rizobi di sostanze denominate “fattori nod”. L’invasione parte dall’apice del pelo radicale e i rizobi sono incapsulati in una sacca della parete cellulare (Fig. 7).
Fasi del processo di formazione del nodulo in Rhizobium
PENETRAZIONE
I rizobi penetrano nel pelo radicale e inducono la pianta a produrre poligalatturonidasi che idrolizza la pectina vegetale.
La pianta reagisce producendo uno strato di cellulosa che delimita i batteri.
In tal modo si forma un canale detto “filo di infezione” rivestito da cellulosa che si approfondisce all’interno della radice e attraverso il quale i rizobi migrano verso le cellule corticali (Fig. 8).
Fasi del processo di formazione del nodulo in Rhizobium
FORMAZIONE DEL BATTEROIDE
Le cellule di rizobi presenti all’interno delle cellule vegetali si trasformano assumendo una forma irregolare e rigonfia detta batteroide (Fig. 9).
Uno o più batteroidi possono essere racchiusi dalla pianta ospite in porzioni della membrana plasmatica (membrana peribacteroidea), formando delle vescicole dette simbiosomi.
Nei simbiosomi avviene la fissazione dell’azoto e scambi di nutrienti con la cellula vegetale che devia parte dei fotosintetati (succinato, malato e fumarato) che fungono da donatori di elettroni per la produzione di ATP e per la riduzione dell’N2 da parte dei batteri.
Fasi del processo di formazione del nodulo in Rhizobium
FORMAZIONE DEL NODULO RADICALE
La formazione del nodulo radicale da parte dei rizobi è regolato dai geni Nod contenuti in plasmidi Sym (simbiosi).
I rizobi producono delle “middle protein” che inducono le cellule corticali “target” a passare da uno stadio diploide ad uno tetraploide formando un meristema in crescita che si rigonfia verso l’esterno fino alla formazione del nodulo.
Se le cellule corticali “target” rimangono diploidi, l’infezione dà luogo a necrosi delle cellule stesse.
Nei noduli i batteroidi sono circondati dalla leghemoglobina sostanza di colore rosso che contiene ferro in grado di mantenere costanti i livelli di O2 (Fe+3 a Fe+2).
La leghemoglobina può formarsi solo dopo interazione tra la pianta, che fornisce la porzione globinica, e il microrganismo, che porta il gruppo eme (Fig. 10).
I geni Nod dirigono tappe specifiche della nodulazione e sono localizzati su plasmidi di grandi dimensioni detti Sym. Tali geni determinano anche la specificità d’ospite.
Il gene NodD codifica per la sintesi di molecole che fungono da induttori della nodulazione come i flavonoidi e controlla la trascrizione degli altri geni Nod (Fig. 11).
Nel plasmide mostrato in figura 10 i geni Nod sono localizzati tra due gruppi di geni Nif.
I geni NodABC sono preposti alla sintesi di oligosaccaridi detti fattori Nod che inducono l’arricciamento del pelo radicale e stimolano la divisione delle cellule radicale. La specificità dell’ospite è determinata dalla struttura specifica dei fattori Nod prodotti da una determinata specie di Rhizobium.
La fomazione di noduli radicali attivi (Fig. 12) da parte dei rizobi è molto importante in agricoltura in quanto permette di aumentare, in modo naturale, la quantità di azoto combinato nel suolo.
Le leguminose nodulate possono crescere anche in suoli spogli, non fertilizzati, spesso carenti di azoto.
L’aggiunta di inoculi di rizobi permette di migliorare la pigmentazione e la crescita delle leguminose (Fig. 13).
Micorrize= fungo della radice; associazione simbiontica che si instaurano tra le radici di molte piante (erbacee, arbustive ed arboree) e funghi del terreno.
La pianta fornisce ai funghi simbionti carboidrati semplici prodotti con la fotosintesi (essudati radicali) indispensabili al loro metabolismo.
I funghi micorrizici producono fattori di crescita vegetali che inducono alterazioni morfologiche delle radici stimolando la formazione dello strato micorrizico.
La specio-specificità è bassa in quanto una specie di pianta può formare associazioni micorriziche con diversi funghi.
Benefici per la pianta:
Infezione intercellulare superficiale tipico dei tartufi e dei porcini.
Le ife non penetrano mai all’interno delle cellule dell’ospite ma rivestono i tessuti radicali con una guaina di feltro micelico (reticolo di Hartig) formando uno spesso strato di ife attorno alle radici di piante arboree forestali come latifoglie e conifere Fig. 15).
Le ectomicorrize si trovano associate soprattutto ad alberi dei boschi, in special modo a conifere, faggi e querce e sono maggiormente sviluppate nelle foreste boreali e temperate. Le radici di tali piante sono colonizzate dai funghi.
Ospite: piante forestali delle zone temperate (Fig. 16) ed alcune erbacee (Polygonum).
Fungo: Basidiomiceti (Boletus), alcuni Zigomiceti e Ascomiceti (Tuber).
Formazioni presenti all’interno delle cellule vegetali intracellulare delle ife fungine fino anche a raggiungere il cilindro centrale. Durante la crescita si ha la formazione di ramificazioni fungine derivanti da biforcazioni ripetute (strutture simili ad alberi o arbuscoli) e rigonfiamenti ovoidi (vescicole) delle ife (Fig. 17).
Non dotate di mantello fungino esterno (Fig. 18).
Molto diffuse anche tra le specie erbacee.
Pianta ospite: molte piante agrarie (leguminose e graminacee), anche felci ed equiseti.
Fungo ospite: Zigomiceti (Glomus).
Infezione: il simbionte penetra nel cortex ma la morfologia esterna rimane inalterata.
Alcune piante (Corylus, Populus, Salix) vengono micorrizate sia da ME che MAV.
1. Introduzione, storia e sviluppi della microbiologia
4. La membrana citoplasmatica dei procarioti
5. La parete cellulare dei procarioti
6. Le strutture esterne della cellula procariota: la capsula e i flagelli
7. Le inclusioni cellulari dei procarioti
9. La Microbiologia pedologica
10. Ruolo dei microrganismi nel suolo
11. Cicli biogeochimici, effetto rizosfera e PGPR
12. Rapporti simbiontici piante-microrganismi: azotofissatori e micorrize
Perry et al., Vol. 2, Cap. 25
Brock et al., Vol 2, Cap. 20