Alla base delle regole geometriche della visione è l’ottica in virtù della corrispondenza che è possibile istituire tra retta e raggio visivo.
Euclide nel 300 a.C. nel suo trattato sull’Ottica definisce il modello visivo basato su tre elementi fondamentali – l’occhio che vede, l’oggetto visibile e la luce che illumina le cose – che si ritroveranno nelle successive formulazioni relative al modello geometrico della prospettiva sotto forma di centro di vista, oggetto e raggi proiettanti.
Euclide in tal modo introduce il concetto di cono visivo, definendolo quale figura compresa dai raggi visivi “avente il vertice nell’occhio e la base al margine dell’oggetto visto“, formulando al contempo una teoria emissiva della rappresentazione dove i raggi visuali vengono immaginati come fuoriuscenti dall’occhio verso l’oggetto.
Fino al Trecento la rappresentazione spaziale denuncia una forte discontinuità e i singoli elementi risultano separati gli uni dagli altri. Il colore tenta di attuare una sintesi nella rappresentazione di uno spazio ancora frammentario dove la scena è occupata da numerose figure che “nascondono” le incongruenze della rappresentazione.
Accorgimenti pratici significativi per la resa pittorica compaiono nelle opere di molti artisti del tardo Medio Evo tra cui Duccio da Boninsegna (1255-1319), Ambrogio Lorenzetti e Giotto. Sono loro gli artefici della prospectiva communis, così definita nel Rinascimento, che precede l’introduzione di una precisa teoria matematica sulla materia.
Le difficoltà legate alla costruzione corretta della prospettiva a volte vengono superate ricorrendo a “trucchi”, quali figure poste al centro della scena che coprono le parti irrisolte del dipinto.
Tipica dell’arte tardo-antica e di quella orientale, la prospettiva a spina di pesce (in cui le linee di fuga della composizione convergono su vari punti disposti su di un asse).
Il Rinascimento costituisce il periodo più significativo per gli studi sulla rappresentazione prospettica; in questo periodo artisti e matematici, cercano di superare l’empirismo della prospectiva communis medioevale mettendo a punto le regole precise per la rappresentazione del reale, esposte in una serie di trattati sistematici. Il termine prospectiva perde il significato medievale di concetto legato alle leggi dell’ottica e della luce per passare ad indicare invece il metodo grafico per raffigurare la profondità spaziale. Dal Rinascimento in poi la prospettiva viene quindi usata per rappresentare nel piano oggetti disposti in uno spazio tridimensionale.
È nel Rinascimento che tra le cose e lo spazio che le contiene si instaura un’identità razionale: non solo le cose ma anche il vuoto può essere misurato. Tutto è rigorosamente riferito ad uno spazio matematico dove ogni cosa stabilisce delle precise relazioni con l’intorno.
Leon Battista Alberti introduce il quadro prospettico quale intersezione della piramide visiva.
Leon Battista Alberti (1404 – 1472) è il primo a codificare le regole della costruzione prospettica. Nel trattato “De Pictura” (1435 – 1436) definisce le regole della “costruzione legittima” (cioè della proiezione centrale con punto di distanza).
Alberti suddivide la prospettiva in:
I due concetti di base sono: la convergenza verso un punto di fuga unico di tutte le rette perpendicolari al piano della rappresentazione e la progressiva diminuzione delle dimensioni apparenti degli elementi al crescere della loro distanza, da valutarsi attraverso la costruzione di un punto laterale detto punto di distanza.
Il primo esempio di rappresentazione pittorica prospetticamente corretta di cui c’è rimasta testimonianza è l’affresco della Trinità di Masaccio, nella chiesa di S. Maria Novella di Firenze.
Masaccio per primo utilizzò la prospettiva lineare come strumento essenziale della raffigurazione.
Da questo momento in poi la prospettiva diventa una nuova scienza, che condiziona in modo radicale l’evoluzione artistica del Rinascimento e dei secoli successivi.
Filippo Brunelleschi affronta il problema della rappresentazione scientifica della terza dimensione su un piano. Sulla base degli studi della geometria di Euclide espressi nell’Ottica, Brunelleschi tra il 1410 e il 1413, riprende il concetto dei raggi visuali e dell’intersezione di questi con il piano di quadro e riesce a risolvere il problema della rappresentazione dello spazio, intersecando i raggi proiettanti, passanti per il punto di vista, con il piano di quadro, utilizzando, a questo scopo, la pianta e l’alzato dell’elemento da rappresentare.
Leonardo da Vinci, De pictura
” (…) Abbi uno vetro grande come uno mezzo foglio regale e quello ferma bene dinanzi ali ochi tua, cioè tra l’ochio e la cosa che vuoi ritrare, e di poi ti poni lontano col ochio al detto vetro 2/3 di braccio e ferma la testa con uno strumento in modo non possi muovere punto la testa; di poi serra o ti copri un ochio e col penello o con lapis a matita macinata segnia in sul vetro ciò che di là appare, e poi lucida con la carta dal vetro e spolverizzala sopra bona carta e dipingila, se ti piace, usando bene poi la prospettiva aerea. (…)”
Piero della Francesca (1410-1492) nel De prospettiva pingendi riassume prospettiva in cinque elementi:
“La prima è il vedere, cioè l’ochio
la seconda è la forma della cosa veduta
la terza è la distanza da l’ochio a la cosa veduta
la quarta è le linee che se partano da l’estremità de la cosa e vanno a l’ochio
la quinta è il termine che è intra l’ochio e la cosa veduta dove se intende ponere le cose.”
La diffusione delle teorie sulla prospettiva nell’Europa centro-settentrionale è favorita dall’opera di Albrecht Dürer (1471-1528), artista di Norimberga che nel 1525 pubblica “Institutionem geometricarum Libri quatuor“.
Dürer afferma che la struttura prospettica di una quadro non deve essere disegnata a mano libera, ma ricavata attraverso precisi procedimenti matematici.
Nel libro Quarto del suo trattato egli illustra la costruzione geometrica della rappresentazione prospettica di poligoni regolari e di poliedri insieme alla rappresentazione in pianta ed in alzato.
All’inizio del 500, i punti di vista assumono posizioni sempre più svincolate dall’altezza dell’occhio umano, alla ricerca di nuovi effetti. Il gusto del tempo si avvale dell’ormai raggiunta grande abilità dell’uso delle tecniche prospettiche attraverso viste dal basso, dall’alto e a volo d’uccello, immagini fortemente scorciate, illusioni spaziali esasperate. La dimestichezza degli artisti con le regole prospettiche non si fa sentire solo nelle rappresentazioni figurative ma influisce grandemente anche sui canoni architettonici. Sono esemplari le concezioni spaziali plastiche e ariose di Michelangelo, come quella della piazza del Campidoglio, a Roma, i cui lati convergono verso il fondo per contrastare l’impressione di lunghezza, o i mirabili artifici ottici di Francesco Borromini, nella galleria prospettica di Palazzo Spada a Roma o la chiesa di S. Maria presso S. Satiro in Milano in cui lavorò Bramante.
La teoria e la pratica della prospettiva lineare, divennero d’uso costante nel XVI-XVII sec., mentre se ne moltiplicavano i trattati; in Italia tra gli altri che si occuparono del problema, D. Barbaro, S. Serlio, il Vignola, F. Bibiena e A. Pozzo che, elaborando la teoria della prospettiva d’angolo, realizzò spettacolari effetti scenografici con la rappresentazione illusionistica di architetture in prospettiva su pareti e soffitti, già tentata, nel secolo precedente, da Giulio Romano, B. Peruzzi, D. Bramante.
La definitiva distinzione della prospettiva in senso matematico dal problema della rappresentazione del reale nell’arte è dovuta al matematico Guidobaldo dal Monte (1545 – 1607) che pubblica nel 1600 un trattato sulla prospettiva nel quale ne dà una formulazione quale modello teorico matematico. Guidobaldo dal Monte riprende in esame le tecniche utilizzate dagli artisti per darne un’esauriente formulazione e dimostra che: 1) la proiezione centrale di un fascio di rette parallele è costituita da un fascio di rette concorrenti in un punto; 2) più fasci di rette parallele tra loro e tutte parallele allo stesso piano hanno i “punti in concorso” sulla stessa retta.
Al modello ottico si sostituisce un modello geometrico che attraverso le operazioni di proiezione e sezione consente la rappresentazione prospettica degli enti.
La prospettiva fa parte delle proiezioni coniche o centrali. Il punto di vista è infatti un punto proprio dello spazio.
La prospettiva si basa sulla presenza di un centro di vista proprio, un piano di quadro e un piano geometrale, mentre l’oggetto viene posto oltre il quadro. L’intersezione dei raggi visuali che lambiscono il contorno dell’oggetto con il quadro danno luogo all’immagine prospettica dell’oggetto.
La prospettiva riproduce la realtà nel modo più prossimo alla reale percezione.
È una rappresentazione dove è massima l’influenza della posizione dell’osservatore.
L’osservatore infatti con la sua presenza vicino o lontano, con il suo movimento o con l’orientamento del suo sguardo, modifica fenomenicamente l’ambiente che lo ospita modificando le forme apparenti.
Si esaltano le attribuzioni dello spazio legate alla posizione dell’osservatore.
La scelta dell’altezza dell’osservatore dipende dall’effetto che si vuole rendere. La prospettiva infatti varia a seconda dell’altezza del centro di vista dal geometrale (altezza dell’osservatore) che corrisponde alla distanza tra fondamentale (o linea di terra) e retta di orizzonte.
Quanto più distanti saranno Lt e O tanto più l’oggetto in prospettiva sarà visto dall’alto (si vedrà la copertura); quanto più vicine, tanto più l’oggetto sarà visto dal basso.
In relazione alla giacitura del quadro si hanno due diverse prospettive: a quadro verticale e a quadro inclinato.
Nella prospettiva a quadro verticale gli spigoli restano verticali.
Nella prospettiva a quadro inclinato gli spigoli convergono verso l’alto o verso il basso a seconda se la prospettiva è dall’alto (a volo d’uccello) o dal basso.
Le diverse posizioni dell'osservatore, del quadro e dell'oggetto da rappresentare danno luogo a differenti modelli di prospettiva
Nella prospettiva a quadro inclinato il quadro non è più in posizione verticale ma si inclina di un certo angolo. In questo caso la prospettiva avrà almeno tre punti di fuga in quanto anche le rette verticali concorreranno in un punto.
Prospettiva dall’alto: il quadro si inclina verso l’oggetto, l’angolo f formato tra il quadro e il geometrale risulta convesso: il punto principale si trova al di sotto della linea di orizzonte.
Prospettiva dal basso: il quadro si inclina verso l’osservatore cioè f è concavo: il punto principale si trova al di sopra della retta di orizzonte.
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