Il metodo delle doppie proiezioni ortogonali rappresenta il più esemplare sistema rappresentativo per il controllo delle proprietà metriche delle figure. Esso rappresenta tuttavia il metodo che meno allude alla tridimensionalità dei corpi e infatti tende a discretizzare l’oggetto complessivo della rappresentazione secondo almeno due o più immagini autonome e correlate, le quali si determinano proiettando da due o più centri impropri gli elementi della realtà, secondo direzioni di proiezione ortogonali ai relativi piani di rappresentazione.
Attraverso l’applicazione di tale sistema di proiezione ortogonale si rende possibile rappresentare gli oggetti dello spazio mediante una combinazione di proiezioni rette da centri impropri (posti cioè a distanza infinita) autonomi ma relazionati, che definiscono, non tanto la forma apparente degli stessi oggetti quanto talune loro rappresentazioni piane in vera forma e grandezza. Il criterio fondamentale su cui è basato tale metodo di rappresentazione sta nell’effetto di appiattimento dell’oggetto.
La sistemazione scientifica delle doppie proiezioni ortogonali si compie solo nel 1795 ad opera di Gaspard Monge che approfondì, in forma definitiva, la possibilità di riprodurre graficamente un oggetto riferendolo ad enti spaziali di cui siano note le caratteristiche geometriche (i piani mutuamente ortogonali della rappresentazione).
Alla base di qualsiasi operazione proiettiva si devono assumere due operazioni basilari che sostanziano il concetto di proiezione e di sezione; esse, in quanto fondative di qualsiasi rappresentazione si definiscono operazioni geometriche fondamentali.
Chiamata rette o raggi proiettanti la stella di rette uscenti da un punto C denominato centro di proiezione, π il piano non passante per C detto piano quadro o piano di proiezione o della rappresentazione, si definisce proiezione di un generico punto P, a partire dal centro C sul piano π, il punto P’ comune sia al raggio proiettante che unisce P con C che al piano π. Tale operazione si può considerare distinta in due fasi: la prima, detta propriamente di proiezione dove si unisce attraverso un segmento CP il punto P al centro C, e la seconda, di sezione, dove si seca la proiettante CP interponedo, tra C e P, il piano π; il punto di sezione P’ che ne deriva, si definisce immagine o proiezione di P.
Il metodo della doppia proiezione ortogonale si avvale di soli due piani di rappresentazione mutuamente ortogonali, sui quali si determinano le immagini distinte delle figure dello spazio. Il piano orizzontale π1 si definisce primo piano di proiezione e su esso vengono a delinearsi immagini piane dette piante; il piano ad esso ortogonale, dunque verticale, π2 si riconosce come secondo piano di proiezione e definisce figure chiamate alzati.
Nel caso l’oggetto da proiettare sia una figura piana parallela al piano orizzontale π1, la prima proiezione o proiezione orizzontale coincide con la figura stessa, mentre la seconda proiezione o proiezione verticale degenera in una linea.
Per applicare ad un solido generico l’operazione geometrica fondamentale della proiezione bisogna distinguere i due casi della proiezione orizzontale e della proiezione verticale; per la proiezione orizzontale si utilizzerà un piano orizzontale, esterno all’oggetto.
Per applicare ad un solido generico l’operazione geometrica fondamentale della sezione bisogna distinguere i due casi della sezione orizzontale e della sezione verticale; per la sezione orizzontale si utilizzerà un piano orizzontale, secante l’oggetto.
Per applicare ad un solido generico l’operazione geometrica fondamentale della proiezione verticale si utilizzerà un piano verticale, esterno all’oggetto. La peculiare condizione di ortogonalità dei raggi proiettanti rispetto al piano di proiezione, determina l’invarianza della figura proiettata quando muti la distanza del piano di proiezione dal solido.
Per applicare ad un solido generico l’operazione geometrica fondamentale della sezione verticale si utilizzerà un piano verticale, secante l’oggetto.
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