L’essenza della dottrina della figurazione architettonica espressa nell’enunciato vitruviano verrà ampiamente ripresa in tutto il XV secolo e opportunamente specificata negli scritti dell’Alberti. Il suo famosissimo passo contenuto nel secondo libro del De Re Aedificatoria, puntualizza gli aspetti dei metodi rappresentativi riferibili al concetto di disegno di progetto. “Tra l’opera grafica del pittore e quella dell’architetto c’è questa differenza: quello si sforza di far risaltare sulla tavola oggetti in rilievo mediante le ombreggiature e il raccorciamento di linee e angoli; l’architetto invece, evitando le ombreggiature, raffigura i rilievi mediante il disegno della pianta, e rappresenta in altri disegni la forma e l’estensione di ciascuna facciata e di ciascun lato servendosi di angoli reali e di linee non variabili: come chi vuole che l’opera sua non sia giudicata in base ad illusorie parvenze, bensì valutata esattamente in base a misure controllabili“.
Leon Battista Alberti
Un decisivo approfondimento nell’individuazione di un codice grafico che potesse al suo interno soddisfare le esigenze di rappresentazione complessiva dell’edificio, è quello che si trova nella lettera di Raffaello a papa Leone X: “… E perché el modo del dissegnar che più si appartiene all’architetto è differente da quel del pictore, dirò qual mi pare conveniente per intendere tutte le misure e sapere trovare tutti li membri delli edifici senza errore. El dissegno dunque deli edifici pertinente al architecto si divide in tre parti, delle quali la prima si è la pianta, o – vogliam dire – el dissegno piano; la seconda si è la parete di fuora, con li suoi ornamenti; la terza è la parete di dentro, pur con li suoi ornamenti…“. Quasi a suggellare la compiutezza dei metodi descritti e la possibilità di rappresentare completamente un edificio, adottandoli unitamente, Raffaello afferma, alla fine del suo famoso trattato in forma di epistola: “Insomma, con questi tre ordini – over modi – si possono considerare minutamente tutte le parti d’ogni edificio, dentro e di fòra“.
Il “disegno dell’architetto”, al pari delle caratteristiche proprie dei modelli “esatti e rigorosi” utilizzati per il controllo della costruzione, diventa anche strumento per contenere il dilagare delle elaborazioni illusionistiche che alimentavano “la tentazione di moltiplicare i simulacri pittorici di edifici immaginari“,
Jacques Guillerme
al punto che Alberti confina a ruolo di espediente per l’architetto “la prospettiva e le ombre, indispensabili al pittore per il realismo di una rappresentazione tridimensionale… su un piano bidimensionale… La sua verità sta nella proportio e nella divisio: la proporzione e le dimensioni principali, della seconda e terza dimensione che… si possono rappresentare soltanto in pianta; in una resa prospettica, esse devono apparire distorte e quindi non vere“.
Wolfgang Lotz
Ed è la componente dimensonale e ‘misurativa’ dell’edificio a far convergere le convinzioni dell’Alberti su una chiara disamina dei metodi riferibili al disegno di progetto, ritrovando nel concetto di misura e delle relative corrispondenze che essa instaura tra le parti dell’edificio una precisa attinenza con le affermazioni vitruviane.
A fondamento dell’esperienza architettonica di Donato Bramante va collocata la formazione di pittore, riconducibile a maestri quali il Mantegna, Piero della Francesca e Fra’ Carnevale da Urbino. Testimonianza degli insegnamenti ricevuti dall’artista e architetto urbinate è l’incisione Tempio in rovina, del 1481, una prospettiva architettonica eseguita da Bernardo Prevedari su disegno dello stesso Bramante. E’ qui evidente la lezione albertiana sul corretto utilizzo degli elementi architettonici, come ad esempio l’uso dell’arco su pilastri piuttosto che su colonne.
La prima opera milanese del Bramante fa da anello di congiunzione tra l’esperienza pittorica e quella architettonica, il procedimento prospettico è sfruttato per congiungere in un unico intento la finzione rappresentativa e lo spazio costruito; lo sfondamento virtuale del coro, moderatamente concavo ma plasticamente definito dall’immagine dipinta, risolve il confluire dell’architectura ficta in prospectiva aedificandi. La luce che piove dall’alto della cupola del transetto incide energicamente i rilievi plastici del cassettonato e le ombre che produce sono mutevoli e relmente percepibili.
Riferimenti evidenti di quest’opera possono essere considerate le architetture prospettiche di Donatello ma anche i tabernacoli di Antonio Rossellino o di Desiderio di Settignano.
Nel Tempietto di San Pietro in Montorio, l’elaborazione e la costruzione sono sottesi da accorgimenti prospettici così come da una completa padronanza del procedimento ortogonale di rappresentazione e di progettazione. A ciò si giunge attraverso la ricerca di una corrispondenza puntuale tra interno ed esterno che ha radici nella trasparenza costruttiva gotica. L’intento di fornire una percezione unitaria dell’edificio, il controllo prospettico che vincola l’esterno all’interno, la conformazione spaziale, ne fanno uno dei passaggi più significativi della vicenda architettonica rinascimentale seppur nel rispetto della tradizione antica, nella contrapposizione tra volumi puri composti secondo i criteri degli antichi tempi peripteri a pianta centrale.
I due disegni a lato sono di Andrea Palladio, Del Tempio di Bramante, Alzato della parete di fuori, e di quella di dentro, Venezia, 1570.
La progettazione della nuova Basilica di San Pietro, affidatagli da Giulio II nel 1504, diventa per Bramante occasione di riflessione sui metodi della progettazione rinascimentale e, parallelamente, oggetto di svariate rappresentazioni, per lo più in pianta, attestazione delle varie fasi compositive.
Tra questi, uno schizzo a mano libera, che illustra il sistema adottato a quincux, la posizione del sepolcro e dell’altare maggiore, fino a giungere al famoso piano pergamena, una pianta realizzata su carta pergamena con un accurato disegno acquerellato per la presentazione al papa, in cui è rappresentato solo una metà dell’edificio progettato, un quadrato con sovraimpressa una croce, e absidi semicircolari all’estremità di ciascuno dei bracci e una grande cupola in corrispondenza del loro incrocio.
Ogni altra successiva trasformazione, complessiva ma soprattutto di dettaglio, sarà documentata con una altrettanto vasta produzione grafica.
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