Conoscere è rappresentare. Rappresentare è esplorare il mondo delle realtà acquisendo la consapevolezza del mistero della loro esistenza.
Rappresentare è trasfigurare, tracciare un altro universo fatto di segni, simboli, di solchi criptici nei quali si contiene l’essenza delle verità svelate alla coscienza di colui che vede e restituisce e di colui che legge e decodifica i simulacri rappresentativi.
Rappresentare è fissare un nuovo centro, il punto in cui si è e dal quale si governa sulla “carta” una nuova dimensione; è la ricerca di un lungo percorso che attraversa l’ideale codice genetico di un’identità stratificata costituita da elementi primari: materie, suoni, colori, gesti, relazioni.
“Qualunque sia il fondamento originario dell’atto di tracciare, l’iscrizione su di una superficie espressamente devoluta a tale uso produce, alla maniera di una trasparenza superficiale, dei fantasmi limitrofi del reale. In altri termini, il reale si trova a prender forma dalle immagini che lo descrivono successivamente, come dalla superficie delle cose; il mondo, in ogni momento, risiede nell’universo delle sue figure; il mondo delle rappresentazioni è il mondo stesso“.
Jacques Guillerme
L’atto della conoscenza è il risultato di un evento complesso che deriva da un mutamento della realtà osservata proiettata in una spazialità parallela in cui si innesta l’esperienza e la qualità culturale del processi della ri-presentazione, mediante una traslitterazione segnica che simultaneamente propone una sintesi e genera un nuovo modello figurativo.
Derivandolo da uno schizzo del Vignola, Egnatio Danti ci presenta nell’Allegoria della rappresentazione uno strumento per la trascrizione della realtà visibile che, attraverso la separazione dell’atto del vedere, da quello del rappresentare, ben descrive i due momenti della interpretazione e della ri-presentazione. Lo strumento è composto da tre aste ortogonali e graduate manovrabili da colui che traguarda e che trasferisce le informazioni a colui che trascrive su un supporto in cui è riportata la stessa trama che virtualmente le aste tracciano all’interno di una sorta di fascinoso “quadro prospettico mobile”.
“Lavorare filosoficamente vuol dire lavorare su se stessi e questo vale spesso anche nell’attività dell’architetto: lavorare sulle proprie percezioni, su come si vedono le cose e su ciò che chiediamo da esse“.
Ludwig Wittgenstein
“Il mondo, in ogni momento, risiede nell’universo delle sue figure; il mondo delle rappresentazioni è il mondo stesso“. Jacques Guillerme
Si ottiene così un elevato valore semantico coniugato attraverso i vari gradi dell’esperienza conoscitiva, dall’iniziale percezione dell’eseistenza di una cosa, alla cognizione piena del suo essere, dei suoi modi e qualità.
L’effetto del moto continuo di scomposizione e ricomposizione della realtà in figure che appaiono regolate da una sorta di metabolismo proprio alla raffigurazione scaturisce in una profusione incessante di immagini che si riversano nella nostra memoria. In essa si fissano gli eventi individuali in una alternanza di connessioni relazionali che determinano la personalità e la continuità del nostro Io.
“Ogni persona è unica… le sue percezioni sono in qualche misura creazioni e i ricordi fanno parte di processi continui di immaginazione. La vita mentale non può essere ridotta in molecole. L’intelligenza umana non consiste solo in un accrescimento quantitativo delle conoscenze, ma nel rielaborare, ricategorizzare e quindi generalizzare l’informazione in modi nuovi e sorprendenti“.
Enrico Alleva
La capacità esplorativa diventa straordinaria, l’interpretazione misura sempre più l’essenza delle cose e fornisce, mediante le modalità rappresentative, elementi significativi per la comprensione di ciò che viene analizzato e per svelare le attitudini indagative di colui che analizza. E come nel Costruttore di El Lisitskij, in cui mano e mente si sovrappongono all’altezza dell’occhio secondo una figurazione che mima un’operazione di rovesciamento, lì dove il volto rischiarato dalla luce lascia intravedere una trama millimetrica e ortogonale che, con le XYZ, esplicita il riferimento al sistema cartesiano, l’osservatore, artefice della nuova realtà rappresentata, viene sottoposto ad un “processo velocissimo di espansione… strettamente correlato all’acquisizione… di ciò che chiamiamo cultura“.
Enrico Alleva
Questa espansione culturale del nostro cervello, radicata nei meandri della memoria sedimentata, moltiplica la creazione di processi astratti che fomentano nuovi percorsi conoscitivi e creativi. La testa meccanica di Raoul Hausmann sintetizza in una serie di semplici strumenti le fasi fondamentali della formazione della conoscenza: misura del tempo, misura della dimensione, scrittura, linguaggio, visione, classificazione, tassonomia, meccanismi per la riproduzione segnica.
Se è vero che “ognuno vede ciò che sa“, è pur vero che ognuno rappresenta ciò che vede e quindi per estensione ognuno rappresenta ciò che conosce in stretto riferimento alle modalità con le quali ha compiuto l’esperienza della conoscenza. Tali modalità si interrelano tra le doppie sfere del visibile e del tangibile.
Tali modalità si interrelano tra le doppie sfere del visibile e del tangibile: “Dobbiamo abituarci a pensare che ogni visibile è ricavato dal tangibile, ogni essere tattile è promesso in un certo qual modo alla visibilità…”
Maurice Merleau-Ponty
Essendo l’operazione di rappresentazione anche espressione dell’officio di sostituzione, si può affermare che non vi è possibilità di sostituzione senza preliminare esperienza di un determinato oggetto e senza la rievocazione conservata della sua immagine interna. La relazione sostitutiva presuppone una reciprocità imitativa da cui si enuclea il significato ultimo dell’iter trasfigurativo; il rapporto sematico che si istituisce tra figure e referenti è un rapporto riduttivo, in quanto comporta necessariamente una diminuzione del livello di informazione iniziale.
Il Labirinto struttura di Caraceni ci presenta un’immagine assolutamente omogenea, costituita di elementi modulari tridimensionali disposti casualmente, che preclude qualsiasi possibilità di elaborazione immaginativa se non quella determinata dall’effetto straordinario della sequenza di vuoti e pieni, di luci e ombre.
Il Pellegrinaggio pasquale di Barbey, a fronte della stessa compattezza di elementi identici presenti nel Labirinto struttura di Caraceni, ci comunica inequivocabilmente l’enorme disomogeneità che la coltre di ombrelli contiene.
Nella Marcia di Campesinos di Tina Modotti, la dismogeneità degli elementi appare rivelata, come se si fosse registrato un grado di avvicinamento superiore.
Esiste, accanto al fenomeno della “costanza della misura”, quello che potremmo definire il fenomeno della “costanza della conoscenza”, grazie al quale intuiamo ciò che si cela “al di là” della figurazione percepita.
La “costanza della conoscenza” non è comunque sempre sufficiente a decifrare da sola il prodigio della percezione nel suo divenire creativo.
Assunto che l’intelligenza umana è una rielaborazione delle informazioni in modi nuovi e sorprendenti, alcune forme d’arte ne sono la massima espressione: la Testa di toro di Picasso, ad esempio, è una chiara manipolazione trasfigurativa di elementi noti utilizzati in una insolita struttura relazionale che ne annulla l’identità originaria e instaura un nuovo significato di rimando figurativo.
“Esiste un deficit d’imitazione in ogni modo imitativo”, diceva Quatremére de Quincy, aggiungendo che, “condizione necessaria di ogni tipo d’imitazione è la mancanza di una porzione di realtà…“
“Noi non sappiamo quasi nulla del modo in cui la percezione può rivelarsi un elemento creativo, con la generazione di cose meravigliose, dai disegni, ai dipinti, alla musica, agli edifici. Non c’è dubbio che ciò dipende dall’esistenza di processi sostanzialmente creativi, e che spesso generano delle fantasie, attraverso cui vediamo e ascoltiamo“.
Richard L. Gregory
La simultaneità di questi processi che sollecitano l’interazione tra gli effetti della visione, della percezione e della immaginazione, “collabora con la «funzione del reale», in quanto il nostro adattamento al mondo esige che si esca dall’istante presente, che si superino i dati del mondo immediato, per impadronirci col pensiero di un avvenire a tutta prima indistinto… la coscienza immaginativa può anche assumere una sua distanza e proiettare le sue invenzioni in una direzione in cui non deve tener conto di una possibile coincidenza con l’avvenimento, e in questo secondo caso essa è finzione, gioco o sogno, errore più o meno volontario, pura fascinazione“.
Jean Starobinski
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