Una considerazione sul raffronto tra il corpus grafico di le Corbusier, inerente la reinterpretazione del dorico greco e le rielaborazioni di alcuni protagonisti della vicenda architettonica contemporanea che esamineremo avanti quali Kahn, Aalto e Siza, fa affermare che dall’operazione di riduzione grafica che il disegno compie sulla estrapolazione segnica della realtà, scaturisce una maggiore “somiglianza tra varie figurazioni grafiche di architettura che tra una figurazione particolare e il suo referente concretato in edificio. Se si considera l’importanza delle mediazioni grafiche nell’atto della progettazione, …si è tentati di affermare che l’architettura, in quanto processo mediato fondantesi in buona parte sui propri modelli figurati, risieda effettivamente nel corpo stesso del figurato…”
Jacques Guillerme
“…non era più adesso la pittoresca architettura popolare a focalizzare il suo interesse, come all’epoca del precedente viaggio, bensì il costruire in grande, le cose imponenti“.
Vincent Scully
Tale osservazione sulle implicazioni relazionali tra figurato e figurante da una parte e tra figurato e suo referente reale dall’altra, ci spinge verso una effettività di confronto tra i diversi materiali che costituiscono il prodotto elaborativo di qualcuno dei maestri contemporanei che hanno come oggetto di interesse i temi propri dell’architettura antica: dalla classicità greca e romana alla osservazione scrupolosa e entusiastiaca dell’architettura egizia, sino alla contemplazione estatica come abbiamo visto della città turca, che accoglie e sublima influssi orientali e occidentali, e diventa la summa maxima dei significati di tutte le città, una sorta di attualissima città ideale.
“Credo che in Grecia Kahn andasse creando i colori che più intensamente lo commuovevano. Li trovò poi rivelati nella luce possente dell’Egitto. Le colonne egizie sono per lui le più grandi fra tutte le colonne, le colonne archetipiche“.
Vincent Scully
Il cammino di Louis I. Kahn appare in parte ricalcare quello di Le Corbusier, soprattutto nei passaggi obbligati in Italia e in Grecia, tappe necessarie e preparatorie all’esaltazione per l’uno dei meandri di Costantinopoli e per l’altro di fronte al miracolo delle piramidi egizie. I disegni degli anni ‘50 che ri-presentano i templi greci e l’acropoli ateniese, e in parte anche alcuni lavori italiani quale ad esempio lo straordinario pastello di piazza del Campo a Siena, hanno una componente caratterizzante comune: lo studio è scrupolasamente circoscritto alla massa, la possanza architettonica delle costruzioni classiche cattura l’interesse di Kahn e riesce a librarsi in una serie di rappresentazioni in cui domina l’universo dei colori. L’architetto americano sentenzia che: “L’arcaica Paestum è il punto di partenza. È il tempo in cui il muro si è aperto e sono apparse le colonne, quando nell’architettura è apparsa la musica. Paestum ha ispirato il Partenone. Il Partenone è considerato più bello, ma per me Paestum è ancora più bello.E’ un inizio in cui sono contenute tutte le meraviglie che poi sarebbero seguite sulla sua scìa“.
Louis I. Kahn
Non è più solo la consacrazione indubitabile del valore del sistema plastico ma la bellezza delle architetture letta nella sua imponenza materica. I disegni testimoniano apertamente una visione che è dominata dalla solidità dei corpi geometrici che emergono dalla collina senza alcuna concessione alla plasticità se non quella rassegnata dall’ordine della loro rigorosa composizione.
“Credo che in Grecia Kahn andasse creando i colori che più intensamente lo commuovevano. Li trovò poi rivelati nella luce possente dell’Egitto. Le colonne egizie sono per lui le più grandi fra tutte le colonne, le colonne archetipiche“.
Vincent Scully
La trasfigurazione compiuta nell’esperienza greca anticipa quasi inconsciamente lo stupore e la piena adesione alla massività geometrica, grondante di peso, che ritroverà non solo nelle colonne egizie, ma inevitabilmente nelle piramidi.
“Kahn era pronto per la piramide…ora ne aggrediva la realtà nel paesaggio e la solidità imponente della massa. Ma egli scorgeva anche il magico paradosso della piramide egizia, che si determina nel momento in cui la vista frontale di una delle superfici ne suggerisce totale assenza di peso, cosicché, nel grande gruppo di Giza, piatti triangoli simili a raggi solari dipinti possono scorrere l’uno dietro l’altro a scala continentale“.
Vincent Scully
La vicenda di Alvar Aalto riveste un ruolo particolare e per certi versi anomalo nei termini in cui rimane caratterizzata dalla sua produzione grafica concernente architetture antiche o afferenti alla tradizione mediterranea. I suoi disegni frutto di continui viaggi verso le origini della cultura classico-umanistica denunciano non solo la iniziale inclinazione pittorica, ma soprattutto la derivazione architettonica dalla scuola romantica finlandese accentrata attorno alla figura di Juhani Pallasmaa, che riversa nella concezione spaziale le componenti strutturali della natura e della lingua di origine.
Ciò che emerge con chiarezza dall’analisi del lavoro grafico di Aalto è l’interesse rivolto non tanto alla monumentalità delle architetture, alle loro esemplificazioni paradigmatiche e singolari, quanto alla spontaneità e naturalezza di piccoli agglomorati urbani, villaggi, città di provincia, la continua ricerca di città radicate nella terra.
E anche quando si trova di fronte allo splendore dell’antico Egitto i suoi taccuini registrano i segni inconfondibili delle imbarcazioni sul Nilo, o in Marocco quando si sofferma sulle qualità paesaggistiche delle mura di Marrakesh e ancora, in Grecia, la stessa Delfi assume significato nell’esclusivo rapporto con il paesaggio e le colonne diroccate del Tempio di Zeus ad Olimpia sembrano dissolvere armonicamente la loro plasticità in quella della natura.
Il rapporto con il territorio e con la tradizione delle proprie origini è un tema dominante anche nel lavoro di Alvaro Siza. Negli schizzi di Siza il sito appare di frequente come un campo in cui si avvicendano conflittualmente i diversi livelli della realtà topografica: “la terra sembra spesso in eruzione, in particolare là dove i contorni, ora preparati per il progetto, ridefiniscono la sostanza di una storia precedente“. Kenneth Frampton
Per l’architetto portoghese la stessa esperienza del disegno concretizza la bellezza attraverso la corrispondenza che si stabilisce tra l’oggetto e il soggetto, tra il disegno stesso come corpo e il corpo di chi disegna intriso della propria dimensione storica e culturale; la storia e la cultura non hanno prodotto esclusivamente gli oggetti che la testimoniano, ma hanno anche determinato i modi della loro rappresentazione.
“L’autore è sempre presente nel non disegnato ma implicito primo piano dell’immagine delineata e invita ad una continua oscillazione… fra la posizione di colui che osserva e quella dell’immaginato, immaginario essere o corpo dell’edificio. In un modo o nell’altro il corpo è sempre inscritto nelle opere di Siza, che si tratti di uno schizzo provvisorio o di un edificio finito“.
Kenneth Frampton
Nei disegni di Siza accade questo miracolo: la contemplazione cede il posto alla sensazione precisa di essere “là” nell’architettura, di muoversi all’interno del “suo”spazio. La presenza dell’osservatore invera il dinamismo della rappresentazione. Il lavoro grafico assume la valenza di un atto che consente una presa di coscienza del dato reale e, scandagliando la molteplicità delle tensioni che si coagulano intorno ad ogni possibile risposta ad un problema concreto, diventa vero strumento di lavoro.
“Impariamo senza mediazioni; e quello che impariamo riappare, dissolto nelle linee che tracciamo più tardi. La mano getta tutti i tratti insieme e li disperde, trattiene il dettaglio, scruta l’alternativa, rifiuta la soluzione falsa, appena abbozzata. Siza immagina nel modo in cui di colpo ci si ricorda e poi si collegano le situazioni come associazioni di idee. Un disegno non è mai finito, ne trascina un altro su cui appoggiarsi come a una massa solida.”
Jean Paul Rayon
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