L’evoluzione delle scenografia teatrale è da sempre strettamente legata al problema della rappresentazione dello spazio poiché, al pari della pittura, si prefigge di ricreare, secondo un unico quadro d’insieme, l’immagine di uno spazio architettonico dotato di tre dimensioni, e dunque di profondità.
Tuttavia, fin dai tempi più antichi, la volontà di rendere credibili le rappresentazioni visive, in particolare quelle pittoriche, si è scontrata con la difficile trasposizione grafica della tridimensionalità del mondo esterno sulla bidimensionalità del supporto materico di quelle immagini.
Nel corso dei secoli, le intuizioni spontanee e le conoscenze geometriche acquisite dai popoli per il controllo dello spazio, attraverso immagini pittoriche credibili, hanno trovato nella scenografia un campo di immediata applicazione e sperimentazione.
Di conseguenza, una lettura storica dell’evoluzione degli allestimenti scenici teatrali non può prescindere dall’analisi dello stato di conoscenza dei processi geometrici adottati in ciascuna epoca per il disegno dello spazio.
Nell’antica Grecia, sebbene la maggior parte delle testimonianze pittoriche siano andate perdute, nei dipinti vascolari possiamo osservare come l’allusione alla profondità dello spazio venisse realizzata mediante rudimentali scorci, oppure con lo scaglionamento di numerosi piani, sia verticali sia orizzontali; analogo espediente illusorio fu usato anche nelle scene teatrali, per le quali Agatarco di Samo (440 a.C.), scenografo delle opere di Eschilo e Sofocle, fu il precursore.
La tipologia più diffusa del teatro greco consta generalmente di un palcoscenico rettangolare sul cui fondo si erige una parete ricca di elementi architettonici, generalmente di pietra, che fungeva da diaframma tra lo spazio drammaturgico dell’azione e il retroscena, che doveva restare invisibile agli spettatori. La scena, ricca e imponente, era fornita di numerosi portali d’accesso che, a seconda della loro imponenza architettonica e ricchezza decorativa, differenziavano l’ingresso in scena del personaggio principale rispetto a quelli minori.
Assonometria di un tipico teatro greco del periodo ellenistico. Fonte: Francesco Corni
Disegno di H. Wirsing (1925): Ricostruzione edificio scenico del teatro di Segesta. Fonte: Siciliasud
Nelle campate di alcuni portali della scena potevano trovarsi rudimentali tentativi di fondalini dipinti con immagini pseudo-prospettiche, volte a sfondare la superficie del supporto e ad animarla con piani scaglionati secondo profondità diverse.
Le immagini venivano disposte sulle facce dei periaktoi quinte girevoli di forma prismatica che permettevano veloci cambiamenti di scena; la forma prismatica a base triangolare consentiva infatti di mostrare al pubblico nella cavea solo la faccia posta frontalmente, rendendo praticamente invisibile la decorazione pittorica delle restanti due, a causa del violento scorcio prospettico.
La disposizione della scena nel teatro romano non si discosta di molto rispetto agli esempi dei predecessori greci, se non per un fasto ancora maggiore attribuito alle scenografie di pietra, generalmente a tre piani, secondo la tipologia architettonica in uso degli ordini sovrapposti.
Nonostante i progressi nel campo della rappresentazione pittorica dovute alle interessanti intuizioni di poeti e pittori sull’apparente convergenza verso un punto delle rette parallele orizzontali osservate lungo facciate di edifici e colonnati, in campo teatrale non viene apportata alcuna nuova intuizione o progresso ai fini dell’evoluzione della moderna scenografia.
Assonometria di un tipico teatro romano dell'età imperiale. Fonte: Francesco Corni
Affresco della Casa di Augusto, colle Palatino, Roma, 27 a.C. Fonte: Wikimedia Commons
Il teatro medievale non possedeva edifici stabili e dunque rimase legato al concetto di “festa”, da allestire solo occasionalmente.
Le prime scenografie del tempo non erano altro che una porzione di spazio ritagliata da quello reale della piazza mediante la costruzione di un palco e l’apposizione di un fondale sommariamente dipinto.
La non chiara conoscenza dello spazio come entità astratta e omogenea, così come la mancanza di un metodo coerente per la sua rappresentazione, furono i principali motivi per i quali, in epoca medievale, non esisteva il concetto di “spazio scenico” ma piuttosto quello di “spazio plastico reale”, nel quale l’attenzione era incentrata sulla sistemazione degli arredi e degli oggetti utili alla drammaturgia.
Il fondale dipinto, situato al di là di quegli oggetti, costituiva solo un riferimento ai “luoghi deputati” all’azione, una sorta di ambientazione non partecipe in termini di relazioni spaziali con i pochi elementi di arredo antistanti, necessari a qualificare il luogo.
Sul palcoscenico erano già allestite tutte le ambientazioni, in ciascuna delle quali sarebbe stato rappresentato un preciso brano del testo, e al pubblico veniva chiesto lo sforzo di isolare l’attenzione sulla sola parte di scena in cui si svolgeva quella determinata azione.
Per quanto riguarda il teatro drammatico, che veniva per lo più rappresentato nelle chiese, con soggetti esclusivamente a sfondo religioso, gli attori usavano illuminare, ove possibile, il solo luogo deputato dell’azione, facilitando così lo sforzo immaginativo del pubblico, non più distratto dagli altri scorci lasciati in penombra.
I luoghi deputati del teatro medioevale. Fonte: Liceo Marconi, Carrara
Quando poi nel Rinascimento, ad opera di alcuni artisti-scienziati, quali Leon Battista Alberti, Piero della Francesca e lo stesso Leonardo, venne codificata in maniera scientifica la cosiddetta perspectiva artificialis, in campo scenico ritroviamo, attraverso alcuni significativi esempi, i momenti della svolta verso la nuova concezione dello spazio.
Si stabilì in quegli anni un immediato rapporto tra scenografia e architettura che per alcuni secoli fece coincidere i due termini, fra contaminazioni e interpolazioni, in un binomio unico per lo spazio della rappresentazione.
L’applicazione del metodo prospettico alla scena teatrale condusse all’abbandono dell’allestimento multiplo medioevale e all’unificazione del quadro scenico; in secondo luogo, la scoperta delle capacità illusorie della prospettiva offrì la possibilità di rappresentare una voluta profondità in uno spazio minore, o addirittura su fondali piani, creando una netta separazione tra l’ambiente reale della sala, dove siedono gli spettatori, e quello illusionistico della scena, dove gli attori devono agire in modo da non svelare la presenza di leggi spaziali e rapporti dimensionali truccati.
Viene così a determinarsi, per la prima volta, la dualità spaziale caratteristica dell’edificio teatrale italiano, in cui il palcoscenico è separato dal pubblico attraverso una parete-diaframma, chiamata boccascena, che incornicia l’immagine illusionistica di quello spazio.
1. Obiettivi e finalità del corso
2. Cenni di storia della scenografia: dal teatro greco alle rappresentazioni medioevali
3. Cenni di storia della scenografia: la scenografia rinascimentale e barocca
4. Cenni di storia della scenografia: le scenografie di Alessandro Sanquirico
5. Cenni di storia della scenografia: la scenografia del XX secolo
6. Cenni di storia della scenografia: la scena contemporanea
8. La prospettiva solida accelerata
9. La restituzione fotogrammetrica applicata all'architettura
10. La restituzione fotogrammetrica applicata alla scena
11. Un quadro a tre dimensioni: dal bozzetto al palcoscenico
12. Tosca, Aida e Madama Butterfly: tre proposte di allestimento