Scomporre e ricomporre è l’operazione attraverso la quale si produce del nuovo.
(R. Barthes)
Ripercorrere gli studi sviluppati da altri sui Quartieri Spagnoli serve ad avvicinarsi al concetto di area-studio e a costruire la progressiva messa a fuoco dell’area-progetto. Il compatto tessuto della parte originaria dei Quartieri Spagnoli è raccontato dalla particolare misura delle strade e degli isolati, da una disposizione in serie, lungo la pendenza, dalla geometria apparentemente omogenea dei suoi pieni. In questo tessuto, l’improvvisa mancanza di un “pezzo” determina un’anomalia. Un “guasto” che viene guardato come una nuova opportunità. La mancanza del tassello viene trasformata nella presenza di un “vuoto”: e il vuoto consente di fare centro, di identificare una piccola “parte”, fatta di una serie di “pezzi” che diventano tutti un pò speciali perché la loro “posizione” rispetto all’insieme è mutata.
Lafrery, 1566
L’ampiezza e la lunghezza di Toledo, lo spessore della nuova parte, simile all’area dei Fiorentini, e la piccola ma variabile dimensione degli isolati rendono particolarmente riuscito l’originario accostamento di Montecalvario sia al Centro Antico, sia ai quartieri bassi, attivando un equilibrato dualismo mare collina-Toledo e un’intelligente conformità, di tipo tardo rinascimentale, fra architetture, strade e sito.
(S. Bisogni)
Stopendael, 1653
… con il raddoppio di Montecalvario si squilibra la figura urbana e con essa l’originale dualismo (peraltro confuso dall’eccessivo aumento volumetrico delle residenze che appanna il ruolo urbano dei pochi conventi presenti a Montecalvario).
(S. Bisogni)
Noja, 1775
Con gli accorpamenti a due degli isolati su Toledo, con gli interventi interni alla reggia e col S. Carlo si consolida uno solo degli elementi preminenti dell’area. Infatti con Toledo e con l’avvio del suo prolungamento a nord si intende riassumere l’intero “tumulto” della forma urbis napoletana; compreso il debole collegamento verso Chiaia.
Schiavoni, 1872-1880
Il passaggio, sopra Montecalvario, del Corso M. Teresa che doveva “menare dalla Doganella ad Agnano senza attraversare il centro” assieme all’oppportuno ma lento formarsi della line di costa come strada esterna, spiegano le difficoltà di istituire quei collegamenti necessari all’incipiente estendersi della città, le cui differenziate parti storiche sia per la posizione sia per entità, sia infine per l’occupazione degli interstizi ne bloccano lo sviluppo, rendendo irresolubili i problemi posti dal “centro della città” che per sua ubicazione non può non comprendere l’affaccio sul mare e il rapporto con il porto.
Risanamento, 1885
Il ruolo di tramite assunto dall’area centrale, fra la stazione e Chiaia, viene eloquentemente rappresentato dalla forcina proveniente tra piazza Bovio, dai nuovi blocchi dei quartieri S. Brigida e dall’apertura della strada da Piazza Plebiscito verso il mare.
1980
L’aggiunta di architetture burocratico terziare equivale ad un profondo cambiamento di senso per una parte notevole dell’area studio che vede mutare ovunque i suoi peculiari caratteri in rapporto all’impropria estensione della nuova viabilità che l’attraversa.
L’asse di equilibrio del ‘campo’ inciso da Antonio Lafrery per la sua veduta della prima Napoli vicereale è un lungo segno netto bianco: via Toledo.
I Quartieri sono rappresentati in modo quasi astratto; gli edifici che li compongono sono infatti tutti uguali per forma e dimensione e sembrano, tanto sono ridotte le volumetrie, un fuori scala rispetto al presistente costruito; la stessa trama dei percorsi che organizza i Quartieri, rigidamente ortogonale, restituisce l’impressione di una massa compatta e piena, resa appena vibrante nella sua rigida modularità, uniformata altresì dalla mancanza di emergenze architettoniche, o quanto meno di forti effetti rappresentativi.
… se è proprio nel Cinquecento che si cominciano ad elaborare le prime tipologie edilizie per l’abitazione collettiva, la monofunzionalità a residenza di una piccola città costruita come una grande casa, induce a considerare il nucleo dei Quartieri come un unico manufatto.
Il filmato (Video 1) evidenzia alcuni caratteri dell’architettura dei Quartieri Spagnoli (struttura a griglia, tipologia degli isolati a blocco con cortile che coincide spesso con un edificio dalla forma a cubo, caratterizzata dalla sequenza cortile-androne-scala).
Nella lezione i caratteri dell’edificio vengono desunti dallo studio dell’architettura dei quartieri spagnoli. Riconosciuti come temi di architettura, attraverso il rimando a riferimenti teorici e fisici, nell’incontro con la struttura fisica dei luoghi, questi caratteri vengono articolati in tre esercizi compositivi che consentono l’approfondimento di altri temi.
Un processo ermeneutico che conduce a una nuova sintesi:il primo progetto del laboratorio di composizione.
Il carattere nasce dalle modalità con cui viene rieditato il già fatto: dà attualità ad un genere e insieme particolarizza, rende locale il progetto di architettura, lo rende urbano, provinciale, partecipa alla storia di quella città perché ne costruisce il vero ritratto.
(F. Spirito)
I nostri occhi sono fatti per vedere le forme nella luce.
Le forme primarie sono belle perché si leggono chiaramente.
Gli architetti oggi non realizzano più le forme semplici.
Operando con il calcolo gli ingegneri impiegano le forme geometriche, appagano i nostri occhi con la geometria e la nostra mente con la matematica; le loro opere vanno nella direzione della grande arte.
(Le Corbusier)
La caratteristica più interessante del cubo è proprio il suo essere relativamente poco interessante. Paragonato a una qualunque altra forma tridimensionale, il cubo manca di aggressività, non implica movimento ed è il meno emotivo. È dunque la forma migliore da usare come unica base per ogni funzione più complessa, l’espediente grammaticale da cui far procedere il lavoro. Poiché è standardizzato e universalmente riconosciuto, non richiede alcuna intenzionalità da parte dell’osservatore; è immediatamente chiaro che il cubo rappresenta il cubo, una figura geometrica che è incontestabilmente se stessa. L’uso del cubo evita la necessità di inventare un’altra forma prestandosi esso stesso a nuove invenzioni.
(Sol LeWitt)
Nel filmato (Video 2) viene evidenziato come la questione teorica della “forma pura”, si deforma sulla base delle sollecitazioni pratiche del progetto. La forma pura del cubo è infatti deformata prima dall’adattamento alla griglia dei quartieri e poi dal fatto che il piano su cui poggiano gli edifici è inclinato. Viene introdotto così il primo esercizio compositivo: il progetto del basamento dell’edificio.
Il plastico (Fig. 1), costruito in aula, consente agli studenti di riflettere sul concetto di edificio-cubo e sulle deformazioni che esso subisce in relazione all’orografia e alla necessità di adattarsi alla griglia dei quartieri spagnoli. Il basamento, infatti, assorbe l’acclività del suolo e contiene degli spazi per il commercio accessibili dall’esterno, il cui numero e la cui disposizione dipendono dalle dimensioni degli edifici, a loro volta definite dall’impianto morfologico. A partire dal plastico, gli studenti elaborano piante (fig. 2) e sezioni del basamento verificando nella rappresentazione bidimensionale quanto appreso nella costruzione del plastico.
Casa del fascio di Como (1932-1936)
La Padania, soprattutto, mi appariva un contesto geografico e storico che dai tempi del cardo e decumano dell’urbanesimo militare romano non poteva più sfuggire all’idea di città: sino ad oggi l’architettura al Nord sembra essere prefigurazione di un’idea urbana come se la memoria della fondazione ex novo non possa che essere ogni volta riproposta, ripensata anche nei più piccoli manufatti. L’architettura-città tende a dominare la natura, anche nei contesti dove essa è ricca: la cupola della Salute vince sul Canal Grande, la griglia romana proiettata sul fronte della Casa del fascio domina le vette di Brunate.
(A. Saggio)
L’esercizio impone un approfondimento sul tema dell’”alloggio tipo” in architettura. Il principale riferimento in questo caso è quello della ricerca tipologica di Klein sulla forma e la distribuzione ottimale dell’alloggio, in grado cioè di assicurare non soltanto benefici di ordine fisico come accade per l’Existenz minimum (il minimo di aria, luce, e spazio) ma anche quelli di ordine psicologico.
La casa discende direttamente dal fenomeno antropocentrico, cioè da tutto quanto è riconducibile all’uomo, e per una ragione molto semplice: la casa, fatalmente interessa solo noi e tutt’al più qualcun altro; la casa è tutt’uno con i nostri gesti; è come la conchiglia per la chiocciola. Essa deve essere fatta a nostra misura.
(Le Corbusier)
Attraverso l’analisi ci sembra di riconoscere l’esistenza di tre grandi categorie di concetti universali riferiti all’architettura:
I tipi architettonici cioè tutti quegli elementi che alludono a una struttura, a un’idea organizzativa della forma che riporta gli elementi dell’architettura verso un ordine riconoscibile.
… la terza categoria, formata da tipi architettonici, è quella che possiede una natura più complessa, dato che risulta dalla mutua interazione delle due precedenti … elementi e relazioni costituiscono, per così dire gli ingredienti che compongono il tipo. Arriviamo dunque ad una definizione di tipo architettonico, inteso come principio ordinatore, secondo il quale una serie di elementi, governati da precise relazioni, acquisiscono una determinata struttura.
(C. Marti Aris)
In un brillante saggio, pubblicato nel 1947, Colin Rowe mette a punto uno studio diagrammatico che evidenzia le similitudini tra Villa Foscari, “la Malcontenta” di Palladio e Villa Stein Di Le Corbusier.
Tanto villa Stein che villa Foscari definiscono infatti un volume unitario che misura 8 metri di lunghezza per 5,5 di larghezza e 5 di altezza, e si strutturano in cinque campate, seguendo un ritmo in cui tre intervalli spaziali doppi si alternano a due semplici (A-B-A-B-A, essendo A=2B). Inoltre entrambe presentano una organizzazione tripartita nel senso della profondità della costruzione, nonché il piano principale o ‘piano nobile’ sopraelevato rispetto al giardino.
Benché Rowe non si riferisca esplicitamente a questioni tipologiche, la sua analisi evidenzia chiaramente il fatto che le due ville partecipano della stessa struttura formale e, pertanto, si riferiscono allo stesso tipo. Tipo che si può caratterizzare in questi termini: si tratta di edifici isolati e compatti, di forma rettangolare a sezione aurea, nei quali, nonostante il volume tenda alla forma cubica, solo due facciate rivestono un ruolo architettonico rilevante. Detto in altri termini, entrambi gli edifici sono concepiti come un asse di simmetria principale che va dal fronte al retro, essendo facciate corte e totalmente neutre.
(C. Marti Aris)
Nell’introduzione all’esercizio precedente si era già anticipato che la tipologia induceva una “deformazione” della griglia. Ora nel filmato (Video 6) la tipologia viene raccontata come struttura “desunta” dalla forma pura del cubo per assicurare la distribuzione agli alloggi, ma anche la possibilità di garantire il necessario apporto di luce e aria a tutti gli ambienti. Così intesa la tipologia diventa l’elemento riassuntivo del nostro edificio e apre all’esercizio dei prospetti che, organizzati per “centralità”, serie, simmetria, assi, suddivisione in basamento, corpo, coronamento di fatto traducono in forma tutti i caratteri dell’edificio.
I riferimenti ad altre architetture vengono dunque usati per individuare il modo attraverso il quale è possibile segnare attraverso la disposizione degli elementi in facciata i caratteri dello spazio interno all’edificio.
Ma servono anche, come è evidente di seguito, a evidenziare la complessità della composizione che tiene insieme all’interno di ciascun prospetto temi differenti.