Tradizione non significa realtà di ciò che è stato, al contrario tradizione significa realtà di ciò che è durevole.
L’esperienza ci ha insegnato che per un architetto la tradizione è qualcosa che non è data, non si eredita, ma si conquista attraverso una ricerca continua e paziente.
L’architettura per rispondere ai suoi scopi deve trovare fondamento nella vita, nei suoi diversi aspetti e nei suoi valori. Un’autentica consapevolezza del costruire non può, quindi, svilupparsi al di fuori di una continuità dell’esperienza e delle idee, una continuità tra passato, presente e futuro.
L’architetto deve essere innanzi ed indietro alla realtà attuale. Esserle innanzi, per dar forma alla potenzialità, dando suggerimenti ed interpretazioni che siano sufficientemente basati sulla realtà per avere una finalità. Esserle indietro, per capire che la continuità delle idee assicura significato.
Per far sì che il lavoro dell’architetto abbia e dia senso nel mondo contemporaneo è necessario che siano assicurati la rilevanza del nostro lavoro rispetto ad una realtà sociale in fieri ed, allo stesso tempo, il suo significato nell’ambito di una consolidata tradizione di forme e di linguaggio.
La continuità è condizione necessaria per superare forme uniche, legate alla contingenza effimera, e ritrovare un fecondo rapporto dialettico tra passato e presente.
Necessario per vivere un presente in continua evoluzione, motivato da possibilità di cambiamento, strutturato da un bagaglio di memoria e di esperienza.
I progetti e le opere che proponiamo costituiscono evidenza di come memoria ed esperienza possano governare la dialettica tra innovazione e tradizione riuscendo a trasformare le più nascoste potenzialità ed occasioni dei luoghi in una grande ricchezza per le nostre città.
L’esempio di piazza del Duomo a Firenze ci appare paradigmatico della perfetta armonia ed integrazione tra architetture di diverse epoche. La fabbrica viene eretta nel 1296 su progetto di Arnolfo di Cambio, sul luogo in cui sorgeva la basilica di S. Reparata; l’opera viene proseguita nel corso del Trecento e completata con il campanile di Giotto.
L’intervento di Brunelleschi si colloca agli inizi del Quattrocento in un contesto già fortemente prefigurato: il Duomo si presentava costruito fino al tamburo, secondo il progetto arnolfiano, con la sola sostanziale variante del prolungamento della pianta.
A Brunelleschi si prospettavano tre possibili alternative di intervento: completare l’opera semplicemente seguendo il progetto di Arnolfo, reinterpretarla assumendola come premessa oppure fare qualcosa di totalmente nuovo, moderno. Sceglie la soluzione storica: non si atterrà al modello antico e non indulgerà alla moda, ma costruirà una forma viva ed attuale sul fondamento storico della costruzione arnolfiana.
Nel dover voltare il vano ottagonale di un diametro di oltre 40 metri l’architetto si trova a risolvere un grande problema tecnico-statico, ma la soluzione, pur partendo da considerazioni scientifiche e geometriche, si concretizza nella continuità e nelle relazioni che crea con il preesistente.
All’interno del complesso vuole continuare l’andamento poligonale delle pareti e sottolineare il moltiplicarsi delle vedute prospettiche del vano centrale.
Allo stesso tempo mira ad ottenere un’unità dell’organismo, quindi rinuncia ad evidenziare la complessa struttura della cupola ed innalza dal tamburo le lisce superfici paraboliche delle otto vele. Con questa estrema semplificazione mette in risalto la volumetria dello spazio ed ottiene l’equilibrio e la sintesi di tutte le forze, confermando la centralità dell’impianto.
La scelta di una seconda calotta esterna è strettamente legata al rapporto che la cupola con il suo quinto di sesto acuto doveva istituire con l’organismo sottostante, con le architetture adiacenti, con la città ed il paesaggio tutto. Lo stesso Brunelleschi ne spiegava le ragioni estetiche: «perché la torni più magnifica e gonfiata».
E’ evidente come B., riprendendo i caratteri essenziali dell’opera, ne porti all’estremo sviluppo le potenzialità, facendo nascere il nuovo dall’antico con un legame di continuità ed armonia. L’accordo tra i due diversi linguaggi avviene, innanzitutto, sulla base di un’attenta comprensione del preesistente ed operando un processo di riduzione: tralasciare il superfluo, cogliere i comuni denominatori sui quali lavorare.
E se egli raggiunge la massima semplificazione nello scarno linguaggio dell’estradosso della cupola, non rinuncia però nella stessa lanterna e nelle tribune al vocabolario espressivo dei suoi tempi. Allo stesso tempo proietta sull’architettura un’interpretazione della città che denuncia la sua attenzione per una nuova dimensione urbana che include il territorio al di fuori delle mura della città. Il rapporto con il campanile ed il battistero è immediato, la cupola completa questa vicenda urbana e la rende continua e leggibile proprio grazie alle interrelazioni che stabilisce.
1. Conoscenza e consapevolezza nel percorso didattico
2. Elementi e principi della composizione architettonica
3. La modellistica nel processo progettuale
4. Il processo progettuale: un esempio da Alvar Aalto
5. Tradizione e Innovazione: Brunelleschi e la cupola di Santa Maria del Fiore
6. Tradizione e Innovazione parte 2. Le Corbusier e l'Ospedale di Venezia
7. Tradizione e Innovazione parte 3. Sant'Agnese in Agone
8. Tradizione e Innovazione parte 4. Alvar Aalto e la sede della Enso-Gutzeit