La corretta gestione dei rifiuti, secondo Greenpeace, è quella che ha come obiettivo la minimizzazione della quantità dei materiali da portare allo smaltimento finale e conseguente massimizzazione del recupero dei materiali presenti nei rifiuti. Greenpeace adotta quindi la cosiddetta strategia delle “Erre”: Riduzione alla fonte, Riutilizzo/Riuso, Raccolta differenziata porta a porta, Riciclo/Recupero dei materiali. Con questo approccio si può ridurre in modo drastico la quantità dei rifiuti residui e quel 15-30% circa dei rifiuti solidi urbani che resta a valle di una raccolta differenziata spinta può essere trattato mediante TMB*, senza ricorso alla combustione. Gli scarti possono quindi essere smaltiti in una discarica controllata con un basso rischio di formazione di metano, CO2, percolato e incendi.
* Trattamento Meccanico-Biologico: tecnologia di trattamento a freddo dei rifiuti indifferenziati che sfrutta l’abbinamento di processi meccanici a processi biologici quali la digestione anaerobica e il compostaggio. Appositi macchinari separano la frazione umida (l’organico da bioessicare) dalla frazione secca (carta, plastica, vetro, inerti ecc.); quest’ultima frazione può essere in parte riciclata oppure usata per produrre combustibile derivato dai rifiuti (CDR) rimuovendo i materiali incombustibili.
Paul Connett, professore della St. Lawrence University di New York, massimo esperto mondiale di gestione rifiuti e tecniche di incenerimento, afferma: «Bruciando i rifiuti domestici si producono le sostanze più tossiche che l’uomo abbia mai prodotto e poi, ogni 3 tonnellate di spazzatura, resta una tonnellata di cenere molto tossica che da qualche parte andrà pur messa; quindi ho capito che l’inceneritore era la strada sbagliata… Abbiamo bloccato la costruzione di 300 inceneritori; dal 1996 negli Stati Uniti non ne è più stato costruito uno». In tal senso si rende necessario combinare due livelli di responsabilità: quello della comunità nella fase finale del processo e quello industriale che è all’inizio del processo: l’industria deve mettere a punto prodotti, confezioni e imballaggi migliori.
Riguardo agli inceneritori, è certamente molto costoso bruciare ciò che è riciclabile.
Cos’è e come funziona una discarica
Federico Valerio, Inceneritore? No! Tutto quello che non vi hanno mai detto sugli inceneritori di rifiuti e che molti di voi cominciano a chiedere
I molti documenti forniti dall’Unione Europea, dimostrano che la termovalorizzazione è il metodo più costoso per smaltire rifiuti. In Austria l’incenerimento di una tonnellata di rifiuti da parte del termovalorizzatore di Vienna costa 148 €. In Danimarca costa 97 € a t. Bruciare i rifiuti in Germania costa 88 € per t. In Italia, 90 € a tonnellata. Ma mentre Austria, Danimarca, Belgio tassano la termovalorizzazione dei rifiuti (da 4 a 71 € a tonnellata) in Italia questa tecnologia è così incentivata: la vendita di elettricità prodotta con un termovalorizzatore frutta al gestore dell’impianto da 9 a 14 centesimi a chilowattora, a seconda che l’incentivo economico si avvalga dei vantaggi previsti dai “certificati verdi” o del CIP6. In entrambi i casi si tratta di incentivi che sarebbero dovuti andare alle fonti di energia rinnovabile (solare, eolico, biomasse) e che invece vanno a favorire la termovalorizzazione dei rifiuti, dichiarati per legge, tutta italiana, fonte energetica rinnovabile. Questo significa che il gestore, per ogni tonnellata di rifiuto termovalorizzato, grazie all’elettricità prodotta (0,5 chilowatore per chilo di rifiuto termovalorizzato), riceve un incentivo che varia da 25 a 50 €. In questo caso gli incentivi all’incenerimento sono pagati con la bolletta della luce.
Paghiamo 7 centesimi per ogni kg di imballaggio con cui è confezionato il nostro acquisto: contenitore in vetro, plastica, metallo, scatola di cartone, involucro in plastica, sacchetto. Questa tassa va al Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI) e dovrebbe servire a coprire i costi per la raccolta e il riciclaggio degli stessi imballaggi. Ma l’Italia ha i più bassi tassi di riciclaggio in Europa (circa il 20%), destinati a rimanere bassi, grazie al fatto che, per legge, la termovalorizzazione si configura in Italia, come una forma di riciclo.
In conclusione, un kg di imballaggio termovalorizzato, conteggiando la futura tassa rifiuti (17 cent.), la tassa riciclo imballaggi (7 cent.) e il costo dei certificati verdi (9 cent.) costerà alle famiglie italiane circa 33 cent.
Cfr. Emergenza rifiuti: effetto NIMBY (Not In My Back Yard, non nel mio giardino)
L’ecomafia dei rifiuti in Italia
Racconta Laura Nironi: «Si stima che la produzione di rifiuti di C&D nei vari Paesi europei sia in aumento e vari in un range tra 0,4 e 0,8 tonnellate annue per abitante.(*) Si ritiene che, senza incrementare gli attuali livelli di prevenzione e di recupero, tali rifiuti raggiungeranno nell’Unione Europea una media di 1 ton/per anno/per abitante entro l’anno 2000. L’ultima stima che si ha per l’Italia risale al 1993 e registra una produzione di rifiuti di C&D per quell’anno di 34,3 milioni di tonnellate.(**) È quindi corretto che il recupero dei rifiuti di C&D rientri a pieno titolo tra gli obiettivi della Legge-quadro Ronchi (D.lgs 5/2/’97), anche se si tratta di un testo non specifico per il settore delle costruzioni: al pari delle altre categorie di rifiuti anche per questi ultimi viene promossa la loro valorizzazione come materie prime seconde e viene raccomandato, per la valutazione degli impatti ambientali connessi, l’approccio metodologico dell’Analisi del Ciclo di Vita»
* Priority Waste Stream Programme – Construction and Demolition Waste Project, Report of the Project Group to the European Commission – Part I, Information Document, ott. 1995.
** A. Baglioni, “Progettare, Demolire, Progettare – Il controllo dei cicli di vita del manufatto edilizio”, in Tecniche di demolizione e riutilizzo del demolito in edilizia, 15° Convegno ATE, Milano, 28 mag. 1996.
Nell’ottica di una riduzione della quantità di rifiuti destinati alla discarica è fondamentale la progettazione dell’organismo edilizio: si possono certamente immaginare, già in fase di progetto, soluzioni tecnologiche che tengano conto dell’intero ciclo di vita dell’edificio e che quindi prevedano non solo l’impiego di materiali riciclati, ma anche il disassemblaggio finale dell’edificio e non la sua demolizione in modo da contribuire a ridurre la produzione di rifiuti e incrementare il tasso di riciclaggio degli scarti. Una progettazione inquadrata nell’ottica del ciclo di vita del componente e dell’edificio consente di scegliere, per esempio, quei componenti “separabili” al termine della loro vita anziché quelli associati, quali pannelli in lamina con isolante, o incollati, molto spesso utili a semplificarne il montaggio ma difficilmente smaltibili al di fuori della discarica al termine del loro ciclo di vita. In tal senso è fondamentale re immettere i materiali di scarto in un nuovo processo di produzione, possibilmente all’interno dello stesso ciclo che li ha generati in un processo di circolarità nei processi di trasformazione delle risorse, considerando le materie prime riciclate come materie prime seconde all’interno dello stesso ciclo di produzione.
Racconta ancora Nironi, «Una tra le più interessanti esperienze pilota di demolizione selettiva, tra l’altro anche uno tra i primi casi in assoluto, è quella che ha interessato l’Hôtel de la Poste a Dobel in Germania, realizzata tra il giugno e il luglio 1993 dall’Istituto Franco-Tedesco di Ricerca sull’Ambiente (IFARE). Per dare un’idea della dimensione dell’intervento, si trattava di un edificio di tre piani fuori terra ciascuno di 495 m_.
Tra gli obiettivi principali dell’iniziativa erano la valutazione dei costi e dei tempi delle diverse operazioni (demolizione, trasporto, conferimento in discarica, attrezzature), in confronto ai processi di demolizione tradizionale, e lo studio comparativo di due alternative di eliminazione dei rifiuti, il conferimento in discarica o il riciclaggio. L’intervento di demolizione selettiva ha richiesto sei settimane di lavoro,contro le tre settimane stimate per una demolizione tradizionale dello stesso tipo di edificio, ed è stato preceduto dalla redazione di un inventario dettagliato dei materiali e dei componenti presenti nell’edificio, con la descrizione delle tecniche costruttive di volta in volta impiegate.»*
* Nironi L. Demolire per ricostruire:tecniche evolute di riciclaggio dei materiali
«Il procedimento seguito per i lavori di demolizione si è svolto secondo una sequenza ben precisa:
La composizione degli scarti ha rivelato una prevalenza assoluta delle due frazioni calcestruzzo e materiali ceramici (rispettivamente 37 e 45%), con una presenza molto contenuta di legno e metalli (10% e 2%) e un residuo di materiale definibile nel suo complesso come macerie non più passibili di alcun riutilizzo (6%). Il tipo di intervento realizzato ha consentito di ricavare un quantitativo di materiale riciclabile per tutte le frazioni pari al 94% del totale, per una ripartizione dei costi che ha visto lo smontaggio incidere per il 58% delle spese totali, il trasporto per il 21% e il riciclaggio/smaltimento per il 20,5%.»
* Nironi L. Demolire per ricostruire:tecniche evolute di riciclaggio dei materiali
Naturalmente di grande interesse sono le sperimentazioni sui materiali realizzati a partire da materie prime seconde recuperate pre o post-consumo, derivanti dagli scarti di altri settori produttivi da reimpiegare come componenti per la produzione edilizia.
Un’ipotesi molto interessante è certamente quella di riutilizzare la plastica come, per esempio, quella derivante da imballi post consumo (rappresentati in grandissima parte da contenitori per
liquidi in Hdpe, Pvc, e Pet), ma anche il legno, l’alluminio, il sughero, il vetro, o, come vedremo, il cartone.
Esistono già brevetti di casseri a perdere in polipropilene 100% riciclato, (granchio), o il cassero a perdere per la realizzazione di vespai composto dal 25% di polipropilene riciclato pre-consumo e dal 75% post-consumo (Vespaio Svelto 850 ), o ancora la porta Beat realizzata col 60% di alluminio riciclato post-consumo e il 40% di ceramica e alluminio riciclati post-consumo; o la pavimentazione antitrauma in gomma riciclata (Playsoftex).
Nell’ambito dell’utilizzo dei materiali riciclati in architettura di grande importanza sono le sperimentazioni che Shigeru Ban compie ormai da più di vent’anni sul cartone. Questo, tra i materiali quasi interamente derivanti da processi di riciclo, è in larga misura utilizzato per deposito e imballaggi. Tuttavia, come Ban insegna, è possibile rendere i semilavorati del cartone sufficientemente resistenti a compressione da poter sopportare carichi strutturali, in modo da offrire una valida alternativa ai materiali a grande energia primaria di produzione (acciaio, calcestruzzo, etc.). Naturalmente la possibilità di utilizzare il cartone nell’edilizia comporta lo studio di sistemi che lo rendano resistente al fuoco e all’acqua. I benefici possono però essere sorprendenti: uso di materiale riciclato in partenza, bassissimo impiego di energia primaria di produzione, possibilità di riuso e riciclo alla fine del ciclo di vita della struttura.
Shigeru Ban, pionere delle Paper Tube Structures (PTS), sperimenta per la prima volta i paper tubes nel 1986 in occasione dell’allestimento della mostra su Alvar Aalto a Tokyo, dove i tubi sono scelti al posto delle ben più costose colonne in legno. I tubi (come Ban verifica nel laboratorio di Gengo Matsui alla Waseda University) resistono molto meno a compressione ma rispetto al legno sono più leggeri ed economici.
Il Paper Arbor a Nagoya, Giappone, 1989, è stata la prima di una serie di costruzioni in cui i tubi di cartone (che possono essere prodotti in qualunque formato, diametro e spessore e sono assimilabili, per caratteristiche meccaniche e morfologiche al bamboo) hanno funzione strutturale e non più solo di schermo o partizione interna. I 48 tubi (325 mm di diametro, 15 mm di spessore, 4 mt di altezza) sono stati impermeabilizzati con paraffina, fissati alla fondazione prefabbricata in calcestruzzo, uniti tra loro con un collante e in sommità da un anello in legno. Il telo di copertura è teso e ancorato ai cavi a raggiera. Dopo 6 mesi di vento, pioggia e sole, grazie anche all’indurimento della colla, la resistenza a compressione dei tubi risultava aumentata.
La ricerca di Shigeru Ban appare costantemente orientata allo sviluppo di materiali low-tech, capaci di riprodurre, a basso costo e a basso dispendio energetico, il comportamento di materiali naturali. Ciò determina una sostanziale identificazione tra costruzione, demolizione e recupero definiti nei suoi progetti di architettura come stadi complementari.
La sperimentazione sulle tecniche di assemblaggio a secco con materiali a basso costo facilmente reimpiegabili, il tema della sostenibilità ambientale e della standardizzazione edilizia per una produzione al servizio di una società di massa, trovano la prima significativa applicazione nelle situazioni di emergenza conseguenti a calamità naturali e conflitti. Ban viene incaricato di studiare un prototipo di ricovero temporaneo dall’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu a seguito della guerra civile in Rwanda (1994) che produce due milioni di senza tetto. Il sistema strutturale in tubi di cartone riciclato garantisce rapidità ed efficacia di assemblaggio a costo limitato, e la possibilità di produrre in situ i tubi riduce drasticamente le spese di trasporto. Nel 1998, furono costruite e testate 50 Emergency Shelters. Racconta Ban stesso: «the good thing about paper tubes is that they are readily available in various thickness and diameters. The weight they can support depends on these two things. Theoretically, I can make buildings a few stories high, but I haven’t yet been given the opportunity».
Shigeru Ban
Dal 1994 Ban avvia lo studio su un prototipo di abitazione temporanea per le vittime del terremoto di Hanshin, vicino Kobe; i requisiti dovevano essere l’autocostruzione, l’economicità, facile dismissione e riutilizzo dei materiali utilizzati, resistenza alle escursioni termiche. Ban stesso partecipa con i suoi studenti alla costruzione del campo profughi. Sorprendente è il brevissimo tempo di realizzazione (alloggio per 4 persone – 6 ore di montaggio) ma soprattutto il basso costo grazie all’utilizzo di materiale completamente riciclato (per es. cassette di birra riempite di sabbia come attacco a terra). I 92 tubi (106 mm di diametro, 4 mm di spessore), impermeabilizzati con poliuretano liquido, necessari per ciascuna abitazione sono realizzati in situ grazie a una macchina facilmente trasportabile. I prototipi per ricoveri temporanei sono stati realizzati in collaborazione con la Sonoco Europe, leader mondiale della produzione di tubi in cartone riciclato; circa dieci anni di sperimentazioni sono stati necessari per mettere a punto un prodotto in grado di superare i test richiesti dal Ministero delle costruzioni giapponese per un edificio permanente.
Nel 2000 Ban mette a punto un prototipo di Log House per le vittime del terromoto a Kaynasli in Turchia con piccole modifiche dovute alle diverse condizioni ambientali (non ultimo il maggior numero dei componenti familiari), come il clima che rese necessario l’inserimento di carta riciclata all’interno dei tubi lungo il perimetro e della fibra di vetro sulla copertura. Nel 2001 a Bhuj in India, realizza un prototipo molto diverso dai precedenti nel tipo di fondazione e di copertura; le macerie degli edifici distrutti furono, infatti, utilizzati nell’attacco a terra al posto delle cassette di birra, difficilmente reperibili. Nella copertura a volta fu utilizzato il bamboo e pannelli in plastica per proteggere dalla pioggia. La ventilazione, necessaria per poter cucinare all’interno delle abitazioni, fu assicurata dalle aperture sul fronte principale. Durante un’intervista Ban racconta « Even in disaster areas, I want to create beautiful buildings; this is what it means to build a monument for common people»*
* Michael Franklin Ross, A conversation with Shigeru Ban
Nel 1998 Ban realizza la Paper Dome (Osaka-cho, Gifu, Giappone) per una società di costruzioni in legno.
La copertura doveva sostituirne una in acciaio e consentire le lavorazioni del legno in esterno anche in condizioni climatiche sfavorevoli. Ban coglie l’occasione per sperimentare la costruzione di una cupola in tubi di cartone di 27×23 mt, altezza massima 8 mt. Poiché i tubi non potevano essere curvati Ban utilizza una maglia formata da tubi di dimensioni maggiori longitudinalmente (180×29x2 cm) e da tubi a sezione ridotta (90×14x1 cm) nella direzione trasversale. La stabilità laterale è assicurata dai pannelli in legno compensato strutturale forati per consentire l’ingresso della luce naturale e rivestiti da policarbonato trasparente. I tubi, impermeabilizzati per evitare variazioni di volume dovuti all’umidità, sono collegati da giunti in legno che trasmettono i carichi e riducono il momento flettente in ciascun tubo. Come precauzione da improvvisi cambiamenti nei carichi verticali, dovuti alla neve, l’intera struttura è stabilizzata da cavi tesi in acciaio.
Il tema centrale dell’Expo 2000 di Hannover, espresso dal titolo della manifestazione, “Uomo, Natura, Tecnica“, viene interpretato nel Padiglione giapponese progettato da Ban come una struttura in cui la dismissione comporti la minima (se non inesistente) quantità di rifiuti; la scelta ricade naturalmente sui tubi di cartone prodotti dalla Sonoco Europe (già coinvolta nella produzione delle Paper Shelters per i rifugiati in Africa), con una prestazione aggiuntiva: dovevano essere riciclabili ma al tempo stesso più impermeabili di quelli originariamente prodotti per il Rwanda. La tipologia strutturale prescelta per la copertura del percorso espositivo è una gridshell; Frei Otto collabora alla redazione del progetto e propone per la consulenza strutturale Buro Happold, società di ingegneria fondata da Ted Happold, l’originario leader del gruppo strutture speciali della Ove Arup, che si occupò nel 1971 della struttura per la multisala di Mannheim (v. lezione n. 6). Il sollevamento della struttura, secondo quote giornaliere stabilite, avviene mediante un sistema di martinetti posti in corrispondenza delle intersezioni dell’orditura. I giunti sono realizzati in tessuto e fasciature metalliche. Una volta raggiunto il profilo stabilito si fissa l’ancoraggio al suolo.
Il gruppo di progettazione si imbatte poi nella scelta della membrana di copertura: il Pvc non si può riciclare e soprattutto emette diossina se bruciato; al tempo stesso nessuna copertura in cartone poteva dare le necessarie garanzie in termini di resistenza al fuoco e alle piogge. La soluzione arriva da un produttore di valige impermeabili per il servizio corrieri: alla fine di molteplici tentativi si arriva alla realizzazione di un tessuto in carta impermeabile, resistente al fuoco e ai carichi del vento, grazie alla fibra di vetro e a un film di polietilene. Tuttavia, col pretesto che il padiglione (proprio perché “di carta”) sarebbe potuto diventare facile bersaglio dei terroristi, fu richiesto al gruppo di progettazione di sostituire la membrana di carta proprio col Pvc; non volendo rinunciare alla copertura appositamente sperimentata e testata per questo progetto Ban sceglie di rivestire dall’esterno la sua membrana di “carta” con una sottile pellicola trasparente in Pvc.
Il Paper Dome Theater, concepito come sede itinerante della compagnia di mimo di Jeannette van Steen, viene realizzata nell’estate del 2003 a Yburg vicino Amsterdam, per essere trasferita l’anno successivo nei pressi di Utrecht. Il progetto muove dalla necessità di assemblare e disassemblare i componenti con facilità e rapidità e dalla volontà di ricorrere ancora ai tubi di cartone come materiale sostenibile per eccellenza. La tipologia strutturale sperimentata in questo caso è una cupola geodetica (brevetto di R. B. Fuller) di 10 mt di altezza e 25 mt di diametro per 485 m_ di area interna, in cui più di 700 tubi di cartone sono pre-tesi grazie all’inserimento di barre filettate.
2. Costruire assemblato a secco lettura tecnologica di casi studio
3. Costruzioni Low cost – Low energy, Life cycle thinking
4. Costruzioni Low cost – Low energy, Riciclo dei rifiuti
5. Costruzioni leggere in legno e sostenibilità caso studio: Gridshell
6. Gridshell: il concetto di grid e shell, superfici a doppia curvatura
8. Coperture di grande luce: innovazione per forma, strutture reticolari e cupole
9. Coperture di grande luce: innovazione per forma, strutture a guscio e reti di cavi
10. Coperture di grande luce: innovazione per nuovi materiali, lamellare, precompresso e palloni
11. Le parti e il tutto: progetto e sistema
Amirante Roberta (a cura di), Le isole ecologiche, un tema di architettura, Nocera Inferiore, Franco Alfano, 2006
Antonini Ernesto e Tatano Valeria, Le politiche ecologiche della città di Friburgo, in A.a. V.v., Costruire sostenibile. L'Europa, Alinea, Firenze, 2002
Claudi de Saint Mihiel Claudio (a cura di), Strategie Integrate per la Progettazione e Produzione di Strutture Temporanee per le Emergenze Insediative, Clean, Napoli, 2003
Corepla (a cura di), Gli imballaggi in plastica in una prospettiva di sostenibilità, Ed. Ambiente, Milano, 2006
Istituto Ambiente Italia, Bianchi Duccio (a cura di), Il riciclo ecoefficiente, Performance e scenari economici, ambientali ed energetici, Ed. Ambiente, Milano, 2008
Ficco Paola (a cura di), Il Codice dei rifiuti 2009. Legislazione, prassi, giurisprudenza, albo gestori, Ed. Ambiente, Milano, 2008
Gangemi Virginia (a cura di), Riciclare in architettura, Clean, Napoli, 2004
Gangemi Virginia (a cura di), Emergenza Ambiente, Clean, Napoli, 2001
Hales Linda, “Paper Heavyweight, Architect Shigeru Ban Shelters the Homeless Using an Unlikely Material”, Washington Post, 13 Aprile, 2005
Lavaggi Giampaolo, Tecnologie innovative per l'habitat provvisorio. Linee guida per la progettazione di alloggi
provvisori per l'emergenza, Tesi di Dottorato in Tecnologia dell'Architettura, XV ciclo, 1999/2002
Mc Quaid Matilda, Shigeru Ban, Phaidon, Londra, 2003
Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente, Rapporto Ecomafia 2008, I numeri e le storie della criminalità ambientale, Ed. Ambiente, Milano, 2008
Pone Sergio, Colabella Sofia, Lavaggi Giampaolo, “Costruire rapido”, in Costruire n. 228, 2002, pp. 91-98
Tatano Valeria (a cura di), Verde: naturalizzare in verticale, Maggioli, Rimini, 2008
Vitale Augusto, Reversibilità, in Vitale A. et al. Argomenti per il costruire contemporaneo, FrancoAngeli, Milano, 1995, pp. 103-113
Wackernagel Mathis, Rees William, L'Impronta Ecologica. Come ridurre l'impatto dell'uomo sulla Terra, Ed. Ambiente, Milano, 2008