Partendo all’esigenza manifestata dal sistema distributivo, soprattutto per quanto riguarda il settore della moda, di rendere flessibili le proprie strutture architettoniche per poterle sintonizzare alla natura ciclica e temporanea delle merci, nel 2003 negli Stati Uniti è nata una nuova tendenza, che è stata rapidamente esportata anche in alcuni Paesi europei.
Si tratta del pop up retail (dal verbo inglese to pop up, che letteralmente significa “balzare su”, “saltare fuori”), termine generale che viene utilizzato per descrivere le iniziative che manifestano la tendenza a spuntare senza preavviso, in modo inaspettato, e che altrettanto velocemente spariscono o mutano in qualcos’altro. Questa modalità di espressione commerciale non solo consente di innovare costantemente il sistema distributivo, grazie al meccanismo della sorpresa, ma permette anche, per la tempistica molto limitata, di dotarlo di una forma di esclusività agli occhi dei consumatori.
All’interno della macrocategoria del pop up retail sono annoverabili molteplici declinazioni di tale fenomeno, con una proliferazione di termini che, pur riferendosi a concetti differenti, vengono sovente utilizzati indistintamente in modo sinonimico.
La parola “temporaneo” è diventata di moda, quasi divertente, come a segnalare la bellezza del cambiamento, la potenza della modernità, il carattere di urgenza dell’acquisto odierno. Oltre ad accelerare il ritmo già frenetico dei consumi, queste formule sembrano innovazioni per sollecitare un mercato dove forse manca un vero “nuovo” che solleciti una domanda effettiva ed irrinunciabile. Tale fenomeno, riducendo per ragioni di costo legate alla particolare dinamica temporale la qualità delle soluzioni allestitive, sposta il focus del negozio dalla dimensione fisica verso quella immateriale dell’evento e della pura esperienza sociale.
Si può quindi affermare che attraverso il pop-retail si ha una prevalenza dell’evento sul luogo.
Il sorgere e morire dei Pop-Up Store ha l’obiettivo di emozionare, sorprendere, stimolare la sfera emotiva del consumatore e arricchire in tal modo il valore offerto. Per accrescere ancora di più il loro fascino, alcuni di questi negozi aprono senza indicare la data di chiusura, oppure mettono in vendita un solo oggetto al giorno e ad un prezzo elevatissimo. Si possono quindi interpretare come una risposta alla spesso sterile creatività di molti brand.
Volendo introdurre i fondamenti culturali e concettuali del Pop Up Retail bisogna riferirsi, innanzitutto, alla reazione postmoderna ai principi di persistenza temporale propri della prima modernità.
Coerentemente ai concetti di fluidità, evanescenza e dinamismo con cui si manifesta la fenomenologia della postmodernià, anche l’architettura, disciplina storicamente fondata su un principio di durata illimitata del manufatto architettonico, si è adeguata ad una dimensione temporanea limitata, se non addirittura a “scadenza”.
Nel campo commerciale il superamento di un tradizionale approccio ad una costruzione strutturata e duratura del manufatto architettonico, ha spostato l’attenzione dalle tradizionali discipline tecnico progettuali, verso quelle che potessero arricchire l’esperienza spaziale con differenti suggestioni. Lo spazio del negozio è così diventato un terreno di integrazione di discipline diverse, che concorrono alla costruzione di una esperienza, non più legata alla sola percezione fisica dello spazio e dei prodotti in esso contenuti, quanto ad una molteplicità di stimoli, sensoriali, narrativi e sociali riassumibili nella cosiddetta shopping experience.
Negli spazi commerciali temporanei l’impianto allestitivo, viene prevalentemente risolto con strutture leggere che presentano livelli di finitura talvolta sommari, legati proprio alla loro temporaneità.
Lo spazio tende ad evolvere verso la condizione di evento, cioè di una situazione temporanea che si colloca all’interno dello spazio lasciandolo fondamentalmente inalterato nei suoi precedenti assetti, più che verso quello di un allestimento architettonico.
Conseguentemente, l’elaborazione progettuale coinvolge discipline diverse da quelle tradizionali di natura architettonica. Essa, in primo luogo, si apre al marketing non convenzionale. Si tratta di una forma di marketing che utilizza gli spazi urbani come scenario in cui ricercare specifici effetti comunicativi ed in cui la creazione di comunicazione è orientata alla relazione con il consumatore e con il contesto.
Gli Stati Uniti e l’Inghilterra sono i Paesi all’avanguardia nell’ideazione o nell’adozione di soluzioni a tempo determinato e/o itineranti. Gli altri Paesi europei hanno manifestato un interesse relativamente meno marcato nei confronti di tali iniziative. Nel contesto dell’Europa continentale la Germania rappresenta un’eccezione positiva, così come pure i Paesi scandinavi. In Italia il Pop Up Retail non è ancora una realtà diffusa, dal momento che solo ultimamente il fenomeno è stato trattato dai media come tendenza internazionale emergente e in via di sviluppo, ma non ancora tradotto concretamente in modo diffuso e convincente.
Per quanto riguarda i settori nei quali si è riscontrata una presenza più consolidata delle attività di Pop Up Retail, tre sono le aree principali: la cosmetica, l’abbigliamento e i trasporti. Partecipano al fenomeno imprese di piccole, medie e grandi dimensioni, così come marchi consolidati e noti a livello internazionale insieme a quelli emergenti. Infine, è possibile riscontrare come la proliferazione di iniziative commerciali pop up sia riconducibile non solo ad imprese reali, ovvero già fisicamente presenti sul mercato, ma anche ad imprese virtuali, che estendono temporaneamente la propria attività dal mondo on line a quello off line.
A questo punto, prima di procedere ad affrontare la descrizione delle singole iniziative commerciali a tempo determinato e/o itineranti, può essere utile analizzare alcune tra le accezioni più ricorrenti che vengono impiegate per designare tali fenomeni. Tra questi si ricordano i principali, senza pretese di esaustività, come, ad esempio, Provisional Retail, Temporary Store, Pop Up Store, Vacant Shop, Moving Shop e Guerrilla Store.
Il primo termine, ovvero provisional retail, è stato coniato in ambito anglosassone per definire in modo estremamente generale i sistemi di distribuzione che prevedono un’attività di breve durata, non altrimenti specificata, che può essere sospesa da un momento all’altro senza preavviso. Si tratta di una indicazione quanto mai ampia ed astratta, che può, quindi, essere facilmente ed erroneamente interpretata, dal momento che connota qualsiasi tipo di iniziativa che non abbia una realtà operativa strutturata e, quindi, destinata con probabilità a perdurare nel tempo.
I temporary store, identificano, invece, i punti di vendita con apertura a tempo determinato. In questo caso, a differenza del precedente, è evidente come sia presente una pianificazione nella strategia da adottare, nel senso che nei temporary store la data di chiusura è fissata negli obiettivi programmatici dell’azienda o della impresa che sostiene il progetto e che viene rispettata categoricamente, a prescindere dagli esiti positivi o negativi di questo ultimo in termini economici. Inoltre, tale scadenza viene comunicata apertamente al consumatore già a partire dalla data di apertura, garantendo, pertanto, il venire meno del carattere dell’imprevedibilità, proprio, invece, del provisional retail.
Con il Pop Up store, è possibile cominciare ad affrontare realtà più consolidate e strutturate. Infatti, se da un lato tale definizione può essere ragionevolmente considerata in quanto traduzione progettuale fisica dei principi ispiratori del pop up retail nel suo complesso, dall’altro essa si riferisce ad una formula distributiva ben precisa che ne riprende il nome, realizzata dall’azienda musicale MTV in collaborazione con Adidas, Levi’s e Sony Ericsson. Nello specifico, il concept è stato sperimentato in Germania con una sorta di tour che a partire dal 23 settembre del 2004 ha toccato le città di Berlino, Amburgo, Colonia e Monaco. In ciascuna location è stato allestito per la durata di una settimana un negozio di circa 150 mq. al cui interno venivano venduti capi di abbigliamento, accessori di moda e articoli tecnologici, tutti rigorosamente ad edizione limitata. In modo complementare rispetto all’offerta commerciale sono state organizzate manifestazioni sonore e feste esclusive.
In via estensiva quindi il Pop Up Store è definibile come una attività commerciale temporanea associata ad un evento aggregativo (sportivo, musicale, culturale, ricreativo).
Il quarto termine proposto, ossia Vacant Shop, nasce originariamente in campo immobiliare per definire in linea generale gli spazi commerciali o i corner sfitti in attesa di essere occupati. Nel 2003 il creativo americano Russell Miller, ha mutuato la parola per dare vita al primo esempio di punto vendita a tempo determinato e itinerante, depositato come “Vacant“.
Non è prevista l’apertura contestuale di più spazi contemporaneamente, L’attività media di ogni Vacant è di circa un mese, giusto il tempo di esaurire la merce, per poi chiudere i battenti e spostarsi altrove.
In generale, si tratta di un negozio multibrand che propone un assortimento di abbigliamento e accessori estremamente contenuto in termini quantitativi, con edizioni limitate. Lo stile è fortemente distintivo, alludendo esplicitamente allo squatter style e allo street style nella maggior parte delle creazioni esposte. Gli investimenti per l’apertura dei negozi sono ridotti al minimo, tanto che le superfici che vengono di volta in volta affittate non prevedono quasi alcun intervento di tipo architettonico, lasciando pressoché inalterate le strutture degli esercizi precedenti e riducendo al minimo i costi di servizio, evitando di apporre i cartellini dei prezzi, ad esempio, o evitando la vendita assistita.
I Moving Shop, cioè gli spazi commerciali iteneranti allestiti su mezzi mobili quali autoveicoli, motocicli, autobus e camion, rappresentano una variabile specifica dei vacant shop.
In questo caso lo spazio del negozio è sostituito da una attività itinerante, su veicoli mobili, che si spostano in maniera programmata.
Benchè il trasferimento su mezzi mobili di una attività commerciale sia una modalità commerciale antica , si pensi al tradizionale commercio itinerante, oggi questa attività assume connotati del tutto nuovi in rapporto alle tecnologie.
Tralasciando le caratteristiche dei mezzi di trasporto che sono estremamente mutevoli, passando da obsoleti autobus a due piani, a camioncini Kombi e motocicli a tre ruote, sino a moderni SUV, la vera innovazione tecnologica è data dall’integrazione con la rete internet.
La tracciabilità dei Moving Shop è resa possibile da sistemi GPS di rilevazione dei percorsi, rendendo possibile una completa visibilità delle tappe del percorso commerciale in rete.
Per concludere la rassegna terminologica delle voci che riconducono al termine onnicomprensivo di Pop Up Retail, infine, si cita il Guerrilla Store, oggetto di una specifica successiva trattazione, che si riferisce esclusivamente al concept di progetto ideato dalla designer Rei Kawakubo per l’azienda giapponese Comme Des Garçons. E’ doveroso riconoscere, tuttavia, come anche in questo caso la definizione di Guerrilla Store sia stata attribuita a torto ad altri esempi di distribuzione a tempo determinato ed itinerante, soprattutto a causa del significato simbolico e fortemente allusivo del suo nome, che, rimandando alle repentine azioni di lotta e irruzione di piccoli gruppi armati, si presta facilmente all’uso narrativo, spettacolare e metaforico del linguaggio giornalistico, che si trova a dover descrivere realtà nuove e poco conosciute e, per questo, non ancora ascrivibili con sicurezza a classificazioni ben precise. In ogni caso, è necessario precisare che la formula del Guerrilla Store e in modo meno esplicito e convinto il Vacant Shop, traggono ispirazione da una recente disciplina, il Guerrilla Marketing, di cui traducono alcuni dei principi fondamentali a livello di progettazione architettonica.
1. Commercio e dimensione urbana
2. Gli spazi di vendita della moda e il design: la vetrina e il magazzino moderno
3. Riconoscibilità della marca e spazi di vendita: le origini
4. Gli anni Sessanta: Biba, Mary Quant e la Swinging London
5. Gli anni Settanta e Ottanta: verso un nuovo atteggiamento progettuale
6. Il punto vendita come esperienza della marca
9. Espressività della marca e diversificazioni commerciali: i multibrand
10. Il Pop-Up Retail: una classificazione degli spazi commerciali temporanei
11. Principali esemplificazioni di pop up retail
13. Arte e consumo negli spazi di vendita: lo spazio della vetrina e la mostra surrealista del 1938
14. L'apporto della Pop Art: Keith Haring e il Pop Shop
15. Esemplificazioni recenti: Prada Marfa
16. Una nuova modalità di rappresentazione della marca: i concept book