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Antonio Franco Mariniello » 10.Le case e la metropoli


Casa o metropoli?

La civiltà contemporanea è civiltà metropolitana.
L’uomo continuerà ad abitare la Metropoli nonostante le sue contraddizioni e i suoi conflitti. In questa vicenda urbana la casa ha sempre segnato un fattore di relativa stabilità storica dell’umano nella città; la casa ha significato sempre la tendenza alla costruzione di una quotidianità pacifica ed armoniosa (“abitare è essere in pace” diceva Heidegger) anche nella ‘disumana’ aggregazione metropolitana.
Il bisogno di ‘centro’, che sembra contraddistinguere il modo attuale di vivere la città contemporanea, trova nella casa come costruzione umana significativa, come architettura, un elemento certo di riferimento, nel tempo e nello spazio, un dominio di relativa autonomia del ’sé’, nella incessante dinamica tra il ‘muoversi’ e lo ’stare’ che scandisce la vita della metropoli.

Los Angeles. Tratta da: wikimedia

Los Angeles. Tratta da: wikimedia


La casa nella metropoli

La questione metropolitana non si esaurisce nella questione della residenza adeguata, giacché la complessa articolazione funzionale della città contemporanea pone con contestuale urgenza – per la stessa eliminazione dei ghetti marginali – la soluzione di problemi quali la mobilità, la dislocazione multipolare di attrezzature di servizio ai vari livelli, la riqualificazione e valorizzazione delle parti storicamente significative, la riconversione di aree industriali dismesse.

Tuttavia essendo il criterio di compatibilità delle destinazioni d’uso urbano da riferirsi in primo luogo alla residenza come funzione urbana primaria, in una logica di Piano che rifiuti lo zoning monofunzionale, l’abitazione conserverà il ruolo di tessuto connettivo dello scenario urbano, elemento di coesione che preserva il senso civile degli spazi urbani: le ‘case’ continueranno a garantire un rapporto di ‘appartenenza’ reciproca tra gli uomini e le loro città.

Hutong di Pechino. Tratta da: wikimedia

Hutong di Pechino. Tratta da: wikimedia


La casa come metafora urbana

Non è possibile descrivere una città, senza descrivere le sue case. La casa metropolitana non è affatto priva di radici, ma rimanda a significati desunti dalla storia della casa come fattore formativo dell’architettura della città europea, e come luogo della dialettica tra spazio individuale e spazio collettivo.
L’interpretazione critica del fenomeno abitativo considera la casa come linguaggio, come edificio, come metafora urbana.
Infatti, se l’esperienza urbana comporta in se stessa problemi di linguaggio, tanto da richiedere molteplici livelli interpretativi, la casa stessa è pluralità di linguaggio: vuoi perché la sua architettura ha significato se messa in relazione con la città e la natura, vuoi perché la formazione di un linguaggio avviene in prima istanza tra le mura domestiche e solo successivamente l’individuo lo confronta con altri linguaggi.

Come edificio, la casa confronta se stessa con l’universo urbano: essa contiene in sé una valenza linguistica esterna riferibile alla città, ed un’altra che appartiene alle sue connotazioni interne. I due campi di significazione, interno ed esterno, attribuiscono alla casa una leggibile funzione di metafora urbana, di allusione alla città che le sta intorno e che essa stessa contribuisce a formare; ed i rimandi sono specifici e differenti per ciascuna individualità urbana o almeno per aree geografiche culturalmente omogenee.

Spazi pubblici e spazi privati

I caratteri della casa mediterranea rinviano fortemente al suo esterno, agli edifici e spazi pubblici, veri e propri prolungamenti e complementi dell’abitazione, sui quali i cittadini hanno sempre potuto contare per integrare il proprio ‘comfort domestico’ spesso inferiore a quello delle case delle altre aree geografiche. Quest’ultima qualità semantica della casa, questa capacità di alludere ad una ’sua’ città, ad un modo di abitare urbano, rende possibile e interessante ricercarne le radici e definire i caratteri di una casa metropolitana.
Molte analogie con la condizione morfologica urbana contemporanea rendono interessante il precedente dell’antica metropoli romana che resta ancora un forte paradigma di complessità urbana.

In primo luogo per la presenza di un eccezionale ‘fatto urbano’ come il Foro che conteneva in sé le strutture di riferimento, il modello delle relazioni che saranno presenti più tardi nelle piazze e nel sistema di spazi pubblici della città italiana in generale; e inoltre per una considerevole presenza di una residenza di massa sviluppatasi sul tipo ad insulae, dove la gran parte della popolazione alloggiava in edifici multipiani e preferiva passare il suo tempo aggirandosi nelle piazze e nei grandi edifici pubblici come le terme e i mercati.

Pianta del Foro Romano del 1904. Tratta da: wikimedia

Pianta del Foro Romano del 1904. Tratta da: wikimedia


La casa antica

Gli edifici residenziali dell’antica Roma, come quelli di Ostia, si sviluppano su quattro o cinque piani a blocco, con un piccolo cortile all’interno e testimoniano le scarse comodità dell’epoca unitamente al fatto che la vita si svolgeva molto più nelle piazze e nelle terme che in queste case. A tal riguardo Carlo Aymonino nel rilevare come la struttura urbana di Roma antica presentasse una singolare commistione di aree residenziali e di monumenti, dove l’aspetto pubblico era esasperato ed esemplare, nota che la casa si fa quantità anonima di residenza. La casa aveva uno schema semplice poiché la città era complessa ed in ciò questa poteva sopperire alla carenza di comodità nelle abitazioni. Il valore urbano dei manufatti abitativi non era legato ad una propria specifica qualità individuabile nelle architetture della casa, quanto piuttosto nel loro costituirsi ‘collettivo’, come insieme di materia ordinaria che supporta e sostiene la singolarità dei luoghi pubblici costruiti.

Soltanto in un periodo medievale la casa acquisterà una forza tipologica (determinata dalla forma generale della città murata) tale da influenzare essa stessa la conformazione dello spazio urbano. Il peso della quantità residenziale condizionerà in tal modo lo sviluppo delle grandi città fino a tutto il XIX secolo.

Ostia, portici lungo il tratto nord del cardine massimo. Tratta da: wikimedia

Ostia, portici lungo il tratto nord del cardine massimo. Tratta da: wikimedia


La casa nella cultura urbana moderna

La cultura urbana europea moderna si è orientata verso il modello abitativo collettivo producendo gli exempla delle Höfe nella Vienna Socialdemocratica e delle Siedlungen tedesche: quest’ultima se si vuole, come soluzione di compromesso in quanto tentava, con il tipo a schiera, di ‘urbanizzare’ l’individualismo rurale del modo di vita del colono. Non solo, ma per di più, la casa della Siedlung era concepita per dei ‘tempi’ e ritmi che non erano certamente quelli della convulsa e febbrile vitalità della grande città europea (pensiamo ai 200 metri quadri di orto da coltivare dietro la casa). La questione non era dunque di fuggire dalla metropoli, visto ciò che esse erano diventate, o di portare la campagna in città: il problema era ed è di imparare ad abitare la grande città da parte dell’individuo metropolitano che si trovava di fronte ai caratteri dell’organizzazione funzionalistica della esistenza, dell’anonimato, dell’indifferenza ai valori, tipici della grande concentrazione urbana del XX secolo.

Bruno Taut, Hufeisensiedlung, Berlino, 1925. Tratta da: wikimedia

Bruno Taut, Hufeisensiedlung, Berlino, 1925. Tratta da: wikimedia


La casa nella cultura urbana moderna (segue)

Ci vorrà la potenza intellettuale dei grandi architetti Moderni, da Gropius ad Hilberseimer a Le Corbusier, per impostare la questione in termini di razionalità freddamente aderente ai termini del reale.
Due celebri saggi di Gropius, raccolti in Architettura Integrata, polemizzano radicalmente con il modello della casa unifamiliare mostrando i vantaggi del tipo collettivo per alloggi minimi correttamente impostati, definendone in maniera articolata i criteri di progettazione.

In Hilberseimer, l’ideologia della grande città e dell’estraniazione dell’individuo vengono implicitamente accettate nel suo progetto al pari della logica dell’uomo anonimo, tanto che il tipo di abitazione proposto nel suo Grosstädtarchitektur rappresenta veramente il punto limite di indifferenza semantica nella architettura domestica del Moderno: l’assenza assoluta di quelle ‘tracce’ tanto ricercate dagli interni della dimora borghese europea.

Le Corbusier conferma l’eccezionale originalità della propria ricerca e nella Maison des Hommes illustra la Città moderna e la casa adatta a questa. Soltanto qui, entro la poetica di Le Corbusier, sembra prender corpo quest’estremo tentativo di appaesarsi nella contemporaneità senza nulla mutuare dalla nostalgia che anima ogni intérieur della tradizione domestica borghese.

La casa nella cultura urbana moderna (segue)

Dalla Maison Citrohan, al Padiglione dell’Esprit Noveau, Le Corbusier compie un percorso dimostrativo che tende a trasformare l’idea della casa come dimora di un uomo moderno consapevole della storicità della propria kultur nella forma economicamente e socialmente adeguata dell’alloggio per tutti della nuova era. La casa dell’Esprit Noveau, la cellula dell’Immeuble Villa, e la cellula per l’Unité d’Habitation sono si una macchina per abitare, ma il processo che le fa funzionare come ‘casa’ non risiede tanto in una meccanica sequenza di operazioni di uso, quanto in un complesso procedimento di reciproche ‘azioni’ estetiche, psicologico-percettive, tra chi usa e vive quegli spazi e la forma degli spazi stessi. Sono queste le qualità del tutto opposte al carattere sostanzialmente ‘consolatorio’ della casa rifugio dell’abitare urbano borghese, ma sono anche uno straordinario arricchimento nella concezione dell’alloggio per il tipo della casa collettiva.

Le Corbusier, Padiglione dell’Esprit Nouveau, Parigi, 1925. Tratta da: politecnico di Torino

Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau, Parigi, 1925. Tratta da: politecnico di Torino


La casa nella cultura urbana moderna (segue)

La contrazione dimensionale e la tipologia costruttiva che ne debbono garantire l’economicità della diffusione di massa, sono processi non riduttivi o banalizzanti perché avvengono sotto il controllo di una geometria ‘alta’, capace di giocare finanche come fatto poetico. Per cui quello spazio acquista ’senso di casa’ per chi lo abita, semplicemente perché ha quella forma determinata e non tanto perché è disseminato di tracce nostalgiche del proprio immaginario esistenziale. In questo modo e forse solo in Le Corbusier, Kultur e Civilisation sembrano ricomporsi, l’una in costante presenza dell’altra, nella tensione ad armonizzare i due termini più irriducibili della condizione Moderna.
L’interno, in Le Corbusier, parla lo stesso linguaggio dell’esterno: percorrere quelle case, attraversarle con lo sguardo è possibile ed è come percorrere ed attraversare un frammento della complessità dello spazio della città contemporanea, e lo si può fare in armonia, in pace con se stessi e con i segni più ‘duri’ e dissonanti della metropoli, abitando, cioè, nello stesso ‘tempo’, la casa e la città.

Le Corbusier, Padiglione dell’Esprit Nouveau, interno, Parigi, 1925. Tratta da: politecnico di Torino

Le Corbusier, Padiglione dell'Esprit Nouveau, interno, Parigi, 1925. Tratta da: politecnico di Torino


I materiali di supporto della lezione

C. Aymonino, Il significato della città, Laterza, Bari, 1975

W. Gropius, Premesse sociologiche per gli alloggi minimi di popolazioni urbane industriali, e Casa unifamiliare, edifici medi o blocchi alti?, in Architettura integrata, Milano, Il Saggiatore, 1963, pp.126-140 e pp. 141-158.

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