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Antonio Franco Mariniello » 7.Tipo e Progetto


Il tipo e il luogo nel processo progettuale

L’attività intellettuale che produce il Progetto è un processo di conoscenza della realtà: il suo essere insieme attività analitica e sintetica produce progressivamente livelli di conoscenza sempre più prossimi ed aderenti al mondo che il progetto tende a trasformare.
L’esito di questo processo di conoscenza (costituito dal Progetto) è l’opera di architettura.
All’interno di questo processo la tipologia svolge un ruolo fondamentale nella strutturazione della forma architettonica.
In realtà, dal punto di vista di una didattica della architettura, la tipologia si pone come tendenza alla ricostruzione di uno ’statuto’ formale trasmissibile, cioè, come un principio di costituzione della forma.

Che cosa è il tipo?
Il ‘tipo’ nasce ogni qualvolta un insieme di elementi formali si costituisce come struttura di uno spazio idoneo ad indicare — secondo “leggi” proprie del sistema architettonico — un comportamento o comunque a rinviare a qualcosa che sta aldilà della forma (ad es. la funzione).

Interpretazioni del tipo

Tre interpretazioni del tipo

Si possono individuare tre diversi atteggiamenti di ricerca nella interpretazione del ‘tipo’:

  • l’interpretazione fenomenologica, di carattere storico-culturale, che conduce all’esame del ‘tipo’ inquadrato in un particolare contesto di cultura architettonica e sfocia nella verifica storica della sua varia fenomenologia
  • l’interpretazione ontologica, che fa riferimento ad indagini extra architettoniche di natura teoretica, filosofica (si pensi ai numerosi possibili riferimenti al mondo delle idee platoniche, alla categoria aristotelica del generale, allo schema kantiano, ecc.)
  • l’interpretazione filologica, che ricerca una spiegazione logica del continuo processo di tipizzazione ed indaga i caratteri del suo esplicarsi

Questi tre indirizzi ammettono, naturalmente, interferenze reciproche.

Interpretazione fenomenologica

Il primo autore che fornisce una lettura razionale dell’interpretazione quasi metafisica che del tipo dà Quatrèmere de Quincy nel XVIII sec., è Giulio C. Argan.
Per Argan il suggerimento tipologico nasce a monte del processo di progettazione e si desume, criticamente, dal raffronto di esempi concreti:
L’operazione che conduce all’individuazione del tipo è simile a quella di ridisegnare su carte trasparenti opere già realizzate che abbiano particolari caratteri comuni, di sovrapporre i disegni e di individuare tutti gli elementi coincidenti, per scartare quelli che non coincidono.
(G. C. Argan, conferenza del 1962 sulla tipologia architettonica)

Il tipo, cioè, come struttura della forma.
Il tipo è una formula, non una forma. Formula assoggettabile a verifica empirica e che acquista una sua validità proprio perché desunta da innumerevoli casi concreti (gli edifici confrontati).
Il momento tipologico si pone quindi inizialmente come fase di analisi, di acquisizione schematica che la mente tende subito a superare nell’invenzione formale.
Quella di Argan è una interpretazione ‘fenomenologica‘, che descrive cioè il fenomeno ‘tipo’ così come esso si presenta nella realtà e nel procedere del suo ciclo esistenziale.

Aldo Rossi, Cabine dell’Elba (1983). Fonte: Bruno Longoni

Aldo Rossi, Cabine dell'Elba (1983). Fonte: Bruno Longoni


Interpretazione ontologica

Un’interpretazione ontologica la offre Cesare Brandi (in Eliante o dell’Architettura, Einaudi, Torino, 1965) quando individua nella “tettonica” l’antefatto della architettura, causa della formazione del tipo nei bisogni pratici, nei mezzi per soddisfarli, nel clima, nella condizione economico-sociale complessivi di un’epoca.
Il tipo esiste di per sé, indipendentemente dal processo conoscitivo del soggetto che lo riconosce in un processo di astrazione che lo determina.
Nella linea ‘ontologica’ si muove anche quella interpretazione del tipo come struttura delle leggi intime e profonde di un periodo architettonico.

Le Corbusier, Maison Domino (1914-1915). Fonte: Politecnico di Bari

Le Corbusier, Maison Domino (1914-1915). Fonte: Politecnico di Bari


Interpretazione ontologica (segue)

All’interno del filone interpretativo ‘ontologico‘, che trae origine dagli studi di Muratori, è utile ripercorrere la posizione di Caniggia che nega la capacità innovativa alla progettazione come innovazione e trasformazione radicale di assetti tipologici consolidati.
La progettazione per Caniggia è “riprogettazione” dato che l’ambiente umano è sempre già strutturato, è operazione tendente a mutare un equilibrio ambientale; e il “linguaggio” di un autore di un’opera si risolve come partecipazione individuale alla “lingua” comune.
Egli definisce i due momenti principali del processo di formazione dell’architettura come attività ‘civile’ per eccellenza:

  • la “coscienza spontanea“, intesa come “attitudine” di un soggetto operante ad “aderire” alla sostanza civile ereditata
  • la “coscienza critica“, che deriva principalmente da una crisi di codificazione e costringe ad operare delle scelte, perché è essa stessa prodotto di incertezza

Nei momenti di maggiore continuità civile l’esperienza concreta dell’architettura tende a costruire dei sistemi di saperi integrati, per dare risposta alle necessità del progetto.
Tali cognizioni sono già un organismo, sono già pre-proiezione di quel che sarà l’oggetto realizzato, finito, pure essendo anteriore alla stessa fisicità dell’oggetto stesso.
Questo organismo è il tipo.

Processo tipologico

Il tipo dunque non è prodotto di coscienza critica, non è una funzione logica: il tipo c’è indipendentemente dalla coscienza critica che riesce ad individuarlo, ed è prodotto di “coscienza spontanea.
La sua individuazione è frutto di coscienza critica, ma la sua esistenza è ’sintesi a priori’, ‘concetto’, ossia esiste nella mente dell’artefice prima dello stesso progetto dell’opera, non è una prefigurazione di aspetti parziali, ma di tutti questi insiemi.
È evidente che si può parlare, per Caniggia, di storicità del tipo solo in quanto appartiene ad un momento ed a un luogo determinati.
Nelle epoche storiche in cui esiste ed è operante un sostanziale legame organico tra committenza, ideatori, esecutori e fruitori dell’architettura, l’attività costruttiva che attua l’architettura si sedimenta nel tempo come un “patrimonio di continuità civile” rappresentato da una sostanziale e comune aderenza al “processo tipologico“.
La progettazione si configura per Caniggia come “individuazione intenzionale del processo tipologico”
, e, dunque, come attività “critica” in grado di prevedere una mutazione all’interno del processo tipologico: di prevedere cioè quel tale cambiamento che induce una trasformazione ’significativa’ e rilevante nell’insieme strutturale che abbiamo chiamato ‘tipologia’.

Interpretazione funzionalistica

L’interpretazione ‘funzionalistica‘ riduce il tipo ad uno schema che sintetizza “caratteri distributivi” comuni di una particolare categoria di edifici, privandolo così di quel “residuo formale” che, sebbene rarefatto dalla schematizzazione, permane come suo elemento costitutivo e imprescindibile.

Tanta articolazione di interessi e di posizioni sulla questione tipologica conferma la natura della tipologia edilizia come fenomeno strutturale dell’architettura e come fattore attivo del progetto.

Di ‘tipi’ intesi in tal senso si occupava la manualistica ottocentesca (di stampo positivistico) nei “caratteri distributivi“, raggruppando edifici aventi in comune una determinata funzione sociale (scuole, abitazioni, ospedali, ecc;) ed edifici aventi un analogo impianto strutturale-distributivo (es. battistero a pianta centrale).
In questo stesso significato è stato adottato dai tentativi di sistematizzazione illuministica (tra ‘700 e ‘800) dove era già presente l’esigenza di legare il termine ad un’analisi a posteriori tesa a classificare il già costruito o a fornire regole per le nuove costruzioni.

Jean Nicolas Louis Durand, Insieme di edifici risultante da diverse combinazioni di elementi (XIX secolo). Fonte: arkyotras.wordpress.com

Jean Nicolas Louis Durand, Insieme di edifici risultante da diverse combinazioni di elementi (XIX secolo). Fonte: arkyotras.wordpress.com


Rivoluzione tipologica

L’istanza di un pieno sviluppo delle potenzialità estetiche complessive di un’epoca, benché fondata sul riconoscimento di tutta l’eredità della storia, induce a ritenere che ciò che più conta non è il rispetto o la acritica soggezione ad un ‘tipo’, quanto la ricerca per la produzione di ‘modelli‘, cioè di soluzioni nuove, esemplari e come tali da tener presente per la produzione che loro segue, anche se si tratta, nei casi buoni, di fatti irripetibili, in quanto eccezionali, appunto.
La rivoluzione del cosiddetto ‘Movimento Moderno‘, osserva Quaroni, è stata, prima di ogni altra cosa, una rivoluzione tipologica.
Non c’è stato edificio che abbia mantenuto, a rivoluzione compiuta, il tipo o i tipi, il modello o i modelli che esistevano prima.
La parola ‘modello’ conserva, nell’uso corrente, il significato di opera unica e irriproducibile, ma anche ‘esemplare’, come cioè qualcosa da imitare, da prendere a riferimento: ed è ciò che in pratica accade ai progettisti allorquando tendono a riproporre o a ‘citare’ in nuove opere alcune caratteristiche o alcune parti di opere ‘esemplari’.

Le Corbusier, Unità d’abitazione a Berlino (1957). Fonte: wikipedia

Le Corbusier, Unità d'abitazione a Berlino (1957). Fonte: wikipedia


Tipologia edilizia e morfologia urbana

Il rapporto tra tipologia e morfologia

Il rapporto tra tipologia e morfologia lega insieme in una relazione di reciprocità i due principali prodotti dell’architettura: l’edificio e la città.
Infatti ‘la progettazione’ e la successiva costruzione di un edificio collocano una precisa tipologia edilizia all’interno di una morfologia urbana esistente o prevista nella progettazione urbana.
Il rapporto fra le due strutture, quella grande contenente (città o quartiere, cioè aspetto ‘morfologico’ ) e quella piccola contenuta (edificio, cioè aspetto ‘tipologico’) è un rapporto reciproco nel senso che la ripetizione e la disposizione di un tipo determina, praticamente, certi aspetti morfologici, e a suo tempo l’aspetto morfologico risulta compatibile con certi aspetti tipologici e non con altri (L. Quaroni, Progettare un edificio: otto lezioni di architettura, Mazzotta, 1977, p.70).

A partire dallo stesso modello tipologico si possono ottenere realtà architettoniche del tutto diverse: a partire dallo stesso tipo ‘a schiera’, cioè da un modello di casa unifamiliare articolata su più piani, si otteneva l’insula romana, la casa tradizionale olandese sui canali di Amsterdam o di Harlem, la terrace-house georgiana di Londra, Edinburgo e Bath.

Interpretazioni del tipo

Carlo Aymonino, Complesso abitativo “Monte Amiata” Quartiere Gallaratese, Milano (1967-1972). Fonte: wikipedia

Carlo Aymonino, Complesso abitativo "Monte Amiata" Quartiere Gallaratese, Milano (1967-1972). Fonte: wikipedia


I materiali di supporto della lezione

Mariniello, Pre-testi - Sussidiario di Composizione, Liguori, Napoli, 2005

Letture

AA.VV., Aspetti e problemi della tipologia edilizia, Cluva, Venezia, 1964

AA.VV., La formazione del concetto di tipologia edilizia, Cluva, Venezia, 1965

AA.VV., Rapporti tra la morfologia urbana e la tipologia edilizia, Cluva, Venezia, 1966

G.C. Argan, Progetto e destino, il Saggiatore, Milano, 1965

C. Aymonino, Lo studio dei fenomeni urbani, in La città di Padova, Officina, Roma, 1970

G. Caniggia, Composizione architettonica e tipologia edilizia, Marsilio, Padova, 1979

A.C. Quatremère de Quincy, Encyclopedie méthodique-Architecture, Parigi, 1788-1825

M. Rebecchini, Il fondamento tipologico dell'architettura, Bulzoni, Roma, 1978

CASABELLA, nn. 509-510, monografico sui Terreni della Tipologia

Sguardi

Paul Klee, Strada principale e strade laterali, 1929, Colonia, Wallraf-Richartz-Museum

Paul Klee, Agglomerati di baracche, 1932, Basilea, Kunstmuseum

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