Questa lezione è frutto dei numerosi interventi a convegni e dalle lezioni svolte nei Corsi di Storia dell’Urbanistica presso la Facoltà di Architettura di Napoli, dal 1994 ad oggi. La Facoltà di Architettura, come è noto, non affronta corsi di Archeologia, né classica, né medievale, né affronta il delicato ed attuale tema dell’archeologia urbana e dell’archeologia in città. Discipline e tematiche presenti fra le discipline umanistiche, ossia nelle Facoltà di Lettere e Filosofia e nelle Specializzazioni post-laurea in quel settore disciplinare.
Dal canto nostro pur constatando tutto ciò ci sembra rilevante per la formazione dell’allievo architetto affrontare questi temi nel corso di storia della città e del paesaggio, fondato sull’indagine sui tessuti urbani dei centri storici. Proprio nell’ottica di far comprendere all’allievo architetto il problema base della città storica: la sua stratificazione sopra-suolo e sotto suolo in un’unica necessità, ci sembra utile affrontare tali argomenti.
Fondamentale obiettivo del corso di storia della città, in una ottica conservativa, deve essere quella della conoscenza dei tessuti storici per una reale conservazione delle città e l’archeologia ci pone davanti alle preesistenze materiali della città antica.
Questa Lezione quindi su tali argomenti ha come ambizione quella di fornire la possibilità di un dialogo con altri specialisti della storia tra cui annoveriamo insieme agli storici della città anche gli archeologi.
In questa linea di intenti si farà particolare riferimento alla dimostrazione dell’archeologia come fonte materiale dello sviluppo storico della città, portando esempi di città e delle nuove scoperte archeologiche, che mentre da un lato chiariscono dei punti nodali della storia urbana di quelle città dall’altro pongono in evidenza tutta la complessità che queste “scoperte” comportano per la loro conservazione.
1. L’archeologia ed il problema della stratificazione delle città e del territorio
Al nuovo interesse per lo studio dei monumenti archeologici da parte di architetti conservatori, in termini di restauro d’architettura, va aggiunto che dopo quasi un secolo di ricerca sui monumenti anche l’archeologia si è posta il problema delle città e del territorio di appartenenza, quale parte da essa strutturata.
Con la scoperta dell’ urbanistica antica negli anni ‘50 si avvia una nuova riflessione critica sulla dimensione urbana unitamente agli studi specifici sulle città strettamente relati al dibattito sul recupero dei centri urbani, dopo il periodo della ricostruzione dei danni della II guerra mondiale.
Bruno d’Agostino ha studiato attentamente la storiografia urbanistica delle città antiche dalla metà dell’Ottocento ad oggi, ad essa vi rimando per una puntuale disamina. L’autore mette in luce la nascita dell’interesse per la trasformazione urbana e il tentativo di studiare il processo formativo degli insediamenti antichi più complessi attraverso l’uso dei dati archeologici.
Gli studi hanno un salto di qualità con lo sviluppo della ricerca archeologica tramite l’uso della fotografia aerea e della foto interpretazione come strumenti di lettura e una nuova conoscenza della città antica.
Attraverso le relazioni di scavo si ricostruisce lo sviluppo urbano e nelle grandi linee la struttura delle città chiarendone le principali vicende urbanistiche.
Da queste ricerche scaturiscono valide indicazioni per una nuova strategia di tutela!
Come è facile immaginare a voi tutti ben diverse sono le problematiche conservative di uno scavo archeologico condotto in una città morta come Pompei, o Paestum ad esempio cioè su aree libere da condizionamenti di altre costruzioni e scavi invece condotti al disotto di città costruite e abitate a tutt’oggi.
Nelle città a continuità di vita si pone in primis il problema dell’opportunità o meno di riportare alla luce o non, le scoperte effettuate tramite gli studi e le indagini non invasive condotte, ponendo problemi di ordine valutativo ed urbanistico, non indifferenti.
Si pensi alle nuove scoperte, anni 2000, effettuate al Rione Terra di Pozzuoli o a quelle operate tra il 2003 ed il 2005 a Napoli.
Nasce con queste nuove problematiche l’ archeologia urbana, in quanto disciplina che vede come “centro del suo interesse la città stessa, il fenomeno urbano, piuttosto che un qualche periodo della storia della città o un qualche aspetto della sua attività”.
La patria dell’archeologia urbana è la Gran Bretagna e questo aspetto della ricerca archeologica si è venuto a definirsi proprio in relazione agli interventi resesi necessari nelle città distrutte dai bombardamenti. Nasce l’attenzione al sottostante tessuto archeologico delle città di lunga tradizione e allo studio di tali preziosi palinsesti in vista di una loro conservazione.
A Napoli solamente dopo il terremoto dell’80 si ha coscienza dell’estesa presenza di una potente stratificazione insediativa in alcuni punti della città storica.
La questione delle stratificazioni nelle città storiche pone la necessità delle analisi delle strette relazioni esistenti tra la conservazione del patrimonio storico-archeologico-architettonico e le istanze contemporanee, ovvero una loro reintroduzione nell’uso della città attuale.
Scrive nel 1983 Henry Cleer: l’archeologia urbana “va riferita all’applicazione pratica delle tecniche archeologiche a questo campo di studi nelle circostanze ambientali della città moderna.
L’ Archeologia urbana non è, nè archeologia in città, nè archeologia della città, nè archeologia in ambiente urbano, ma è definita come “una nozione nuova che va intesa come esame dell’insieme della storia delle città nella loro complessità e non come studio tematico di una parte di esse”.
“L’archeologia urbana, scrive il Biddle nel 1974, vede, come centro del suo interesse, la città stessa, il fenomeno urbano, piuttosto che un qualche periodo della storia della città o un qualche aspetto della sua attività”.
Le città sono perciò i siti archeologici più vasti e complessi e pongono alla nostra attenzione i problemi di integrazione delle preesistenze con la città odierna e tra l’archeologia e le diverse discipline storiche e progettuali, in questa linea devono interessare l’allievo architetto progettista e restauratore (da T. Colletta, Archeologia urbana e storia urbanistica…, 2007).
L’archeologia urbana scrive giustamente Daniele Manacorda “non coincide con la pratica dello scavo archeologico in città”, ma ha come obiettivo prioritario “la comprensione dello sviluppo di un insediamento cittadino nel corso del tempo (nascita, crescita, declino e trasformazione, analisi funzionale degli spazi, tipologie residenziali, consumi) è quindi una archeologia della città“.
Non c’è chi non veda l’estrema vicinanza di tali considerazioni sulla disciplina archeologia urbana con quella di storia urbana o di storia dell’urbanistica!
Le indagini archeologiche costituiscono una base di fonti documentarie materiali imprescindibili per la conoscenza dell’evoluzione urbana nei secoli seguiti alla caduta dell’impero romano.
Gli Interventi di archeologia urbana degli ultimi venti anni hanno sostanzialmente accresciuto le conoscenze sulle fasi della città e la storia urbana inserisce i materiali archeologici e le evidenze delle “scoperte”, in un percorso cronologico rigoroso ed integra con le fonti scritte informazioni archeologiche.
(da D. Manacorda, Prima lezione di archeologia, Roma-Bari, Laterza, 2004 )
Inoltre inserisce la documentazione nella più generale modificazione e traformazione della città utilizzando le fonti storiche e tutta la documentazione cartografica ed iconografica utile ad una completa ricostruzione della vicenda storica nella sua struttura materiale.
Inoltre utilizza lo strumento delle “piante ricostruttive” delle diverse fasi della storia della città, su base catastale o fotogrammetrica per restituire dimensionalmente la stratificazione bi-millenaria della città storica. L’intento è di ricostruire, tramite la lettura della stratificazione storica degli impianti, la storia degli insediamenti in una costante ottica conservativa.
Le sinergie di scambio fra le due discipline possono essere messe in atto, dal momento che gli obiettivi sono gli stessi, mentre i mezzi e i metodi differiscono: la prima usando quali fonti i reperti, la seconda usando come mezzi le fonti storiche descrittive, iconografiche e cartografiche come utili strumenti ad una restituzione delle trasformazioni attuate nei tessuti urbani, secondo il metodo storico tradizionale.
L’archeologia è caratterizzata dal metodo attraverso cui acquisisce le sue conoscenze, cioè (direttamente o indirettamente) il rinvenimento e lo scavo sul terreno.
E’ la “scienza dell’antichità”, secondo l’etimo greco, ma si tratta dell’antichità studiata attraverso i monumenti, cioè le testimonianze materiali, a differenza dello studio attraverso i documenti, cioè le testimonianze letterarie, che è proprio della filologia. L’archeologia è senza dubbio una disciplina storica.
Le tecniche però di cui si serve sono sempre più, avvertiva il Moscati, quelle delle scienze in senso stretto, avendo subito la disciplina forti trasformazioni nel divenire delle scienze che ne investe i caratteri, le strutture e la stessa concezione di fondo.
L’analisi e la ricostruzione dei processi formativi delle città storiche secondo il metodo storico urbanistico fonda, come si è più volte messo in evidenza, sulla diversificazione e l’uso delle fonti (fonti scritte e d’archivio; fonti iconografiche e cartografiche, pre-catastali e catastali, specialistiche e storico-interpretative e principalmente sulle piante ricostruttive dei tessuti urbani e sulle cartografie interpretative. Si vedano le lezioni nn. 6 – 9).
La città è un luogo, un sito complesso e la diversità dei centri urbani apre la porta ad una moltitudine di studi possibili. La città concentra nel suo suolo una infinità di indici che lo scavo archeologico rivela.
(da T. Colletta (a cura di), Le piante ricostruttive dei tessuti urbani medievali e moderni….2006)
L’archeologo approfondisce della storia delle città di scegliere e di spiegare nel dettaglio le cause e le ragioni del frastagliamento della trama urbana. Lo spazio urbano era ritmato per la presenza di luoghi pubblici, chiese, cimiteri, piazze del mercato, castelli ai quali conducevano le strade principali. Questi sono gli stessi ingredienti che in tutti i luoghi e a tutte le epoche hanno costituito gli elementi fondanti del paesaggio urbano. Ciò che differiscono sono le condizioni locali, politiche, religiose, sociali, climatiche etc…che hanno creato l’identità urbana di ciascuna città. Giustamente il Poleggi in un ben noto saggio metodologico intitolato “Storia o archeologia della città?”, riconosce nella crescente coscienza della fecondità di una lettura materiale della città un’ipotesi, che egli stesso chiama “uno spavaldo interrogativo epistemologico” di vedere unite o anche separate storia della città ed archeologia urbana.
Egli in una critica alla lettura sociologica della città fondata sulle tabelle statistiche, ma non sulla ricerca cartografica, ventilata da Marcel Roncayolo nel 1976 (vedi lezioni 2 e 3), è della stessa opinione e vede anche un oggetto di studio per cui la storia dell’urbanistica può anche divenire archeologia urbana.
Egli infatti aggiunge che nella complessità di temi ed intersezioni che sono proprie della città i successi dell’archeologia soprassuolo proprio perchè fecondi di dati e di rilevamenti promettenti potrebbero, se affiancati da altre fonti preziose, risollevare e far puntare ad esiti più ampi di storia. La restituzione equilibrata dei dati sempre più numerosi che appartengono allo spazio urbano e alle sue fonti punta al riconoscimento della complessità del manufatto.
(da E. Poleggi, Storia o Archeologia della città?, in “Urbanistica”, n.91, 1988, pp.7-10)
La storia delle città, come più volte è stato osservato e da più autori, ha da sempre interessato la pianificazione urbanistica, spesso riducendola in forma di premessa, costringendola in una successione cronologica di strumenti urbanistici ossia ad un semplice succedersi di elencazione delle trasformazioni urbane più evidenti.
L’intrigante materialità della città comincia ad emergere alla metà degli anni’70 ponendosi come fonte inequivocabile e di dignità pari alle fonti scritte per la ricostituzione di una storia unificata, fondata su oggettive connotazioni documentali.
(vedi lezioni 4 – 6 sulle fonti per la storia della città)
Ne consegue, scrive sempre il Poleggi nel 1988, che è possibile sostenere “un approccio storiografico che punta sulla materialità e dunque attraverso l’impiego di fonti dirette (il manufatto urbano) e indirette (scritte e iconografiche), sino ad ipotizzare la fondazione di un’archeologia urbana” (da E. Poleggi, Storia o archeologia … 1988).
Studiare la materialità della città è stata la spinta posta in atto dagli studi di storia urbana dell’ultimo ventennio, in una corretta restituzione di tutti i dati ottenuti con precisi rimandi tra manufatto esistente e fonti di archivio.
La complessità dell’oggetto urbano diviene protagonista, il manufatto ha la consistenza multipla della sua materialità che va interpretata oggi così come è , ma anche riesaminata per ciò che è stata o voleva essere.
Questione decisiva è la costruzione di una periodizzazione della città, che non sia soltanto aggettivata dalla storia degli stili e dalla storia delle architetture.
Per fondare una storia sullo spazio concreto di cui le ricerche su Genova di cui Grossi Bianchi e Poleggi sono testimonianza, ci vuole l’esercitazione alla micro lettura per arrivare all’identità storica del costruito e rimettere in causa il sistema conoscitivo della città: la sistematica ricognizione degli edifici residenziali ripartiti per parrocchie storiche nella citta’ murata, la storia delle proprietà di villa nel suburbio,la storia del particellare e delle trasformazioni edilizie, le vicende dei loro produttori e fruitori, nonché ogni fonte di cultura metrica, ossia misurazioni, analisi dei materiali, censimenti, descrizioni notarili, estimi e catasti (da P. Grossi Bianchi, E. Poleggi, La costruzione di una città portuale. Genova, Genova, Sagep, 1978 ).
E’ necessario per la storia urbana una compenetrazione dei metodi di ricerca, una storia in cantiere in cui fondamentali sono i dati materiali; le evidenze archeologiche. Tra le migliori integrazioni tra le due discipline possiamo considerare lo studio della città altomedievale che con indagini archeologiche svolte nel cuore dei centri urbani, ha condotto ad aggiornamenti circa l’urbanistica di quei secoli, molto spesso considerati “bui”. Si pensi alla Roma medievale. Enrico Guidoni ha sottolineato in più occasioni la rilevanza delle testimonianze archeologiche per la storia delle città dell’alto medioevo, proprio perché non esiste la mediazione,come per altri periodi storici, di fonti scritte esaurienti o comunque abbondanti.
La proposta è una combinazione tra le preziose testimonianze tecniche, letterarie, descrittive, trattatistiche etc… ed i dati archeologici per una ricerca efficace con nuove metodologie d’indagine e d’interpretazione”. Il dato fornito dalle cronache acquista un valore di spiccata relatività, non essendo di per sé capace di spiegare fenomeni complessi come la struttura materiale e sociale delle città; mentre il dato archeologico quale testimonianza coeva direttamente inerente all’oggetto e al suo significato contestuale rivela un valore insostituibile di spiegazione autentica e comprensibile (da E. Guidoni, Storia dell’urbanistica. Il Medioevo VI-XI secolo, Roma-Bari, Laterza, 1989).
3. Le piante ricostruttive per la restituzione dei tessuti urbani antichi, medievali e moderni utile strumento di ricerca e di tutela sia per l’ archeologia urbana che per la storia urbanistica. Molte città oggi posseggono una carta archeologica dettagliata, dove ogni rinvenimento viene puntualmente registrato nell’ obiettivo primario della tutela, ma non tutte le città di lunga tradizione posseggono una restituzione planimetrica di una “ricostruzione” per capire l’effettiva trasformazione del tessuto urbano attraverso il tempo. La ricostruzione della fisicità dell’evento, in senso misurato e dimensionalmente adeguato mette in chiaro non solamente lo sviluppo di quel centro, ma anche, tramite la ricognizione diretta, evidenzia le strutture ancora in situ dei diversi periodi storici. La ricostruzione in pianta pur se riguardante una particolare fase storica offre una visione complessiva della città nella sua evoluzione storico – urbanistica e fortemente stratificata. L’obiettivo è comune perché mentre da un lato da la possibilità di interpretare il dato archeologico nella sua stratificazione storica dall’altra offre una maggiore comprensione della città nel suo divenire storico, particolarmente per le grandi città a continuità di vita ove più forti sono gli interventi urbanistici di trasformazione del costruito urbano.
L’intento unitario è un’ottica conservativa. Come è chiarito nel programma di intenti del convegno: mappare i ritrovamenti, leggere il processo continuo di trasformazione che ha determinato l’assetto attuale dei nuclei abitati e del loro intorno, creare un sistema di riferimento capace di rendere possibile il dialogo e lo scambio di informazioni tra soggetti diversi, istituzionalmente competenti, di costruire pertanto documenti omogenei di consultazione, aggiornabili in tempi reali, significa procurarsi uno strumento insostituibile per la pianificazione della conservazione integrata delle città storiche (da T. Colletta (a cura di), Le piante …op.cit., in particolare l’Introduzione).
Si può in tal senso fare alcune considerazioni come una città come Napoli di lunga tradizione.
Abbia comunque conservato nella città moderna alcuni elementi fondanti del tessuto antico e del suo impianto originario, facilmente individuabili solamente da uno scavo archeologico come si è potuto dimostrare di recente con la scoperta nel dicembre 2003 del porto romano della Neapolis in piazza Municipio.
Basta pensare alla Napoli antica e all’annoso dibattito sull’area del vecchio policlinico o al problema della via dei Fori Imperiali sull’antico foro della Roma antica per capire la importanza delle scelte per operare un intervento di archeologia urbana più che di problematiche tecniche!
Anche per l’Archeologia urbana dunque come per i problemi conservativi e di restauro archittetonico e urbano si tratta di una scelta di mediazione tra istanza storica e istanza estetica come diceva molto giustamente Cesare Brandi nel lontano 1960.
Esemplificazione di alcuni casi in cui l’archeologia urbana si è rivelata contributo fondamentale per la storia urbanistica di quella città.
Il rapporto stretto tra le “scoperte” archeologiche e la storia urbana si né rilevato di recente a Napoli, con la reale adesione pratica al metodo di interrelazione disciplinare.
1. La storia urbana di Napoli antica si è fortemente avvantagiata dalle recenti “scoperte” (2003-2004) dell’ archeologia urbana, sebbene occasionali essendo in relazione allo scavo della Linea 1 della Metropolitana.
Ciò non pertanto la certificazione del sito del porto romano della città di Neapolis ha posto una conclusione veritiera, con il reperimento di tre grandi imbarcazioni romane, ad un secolo di dibattiti sulla localizzazione dell’antico bacino di approdo e di conseguenza sull’urbanizzazione della fascia costiera.
E’ d’obbligo per fondare una coscienza ambientale nei cittadini far conoscere la natura storico-archeologica dei luoghi urbani, di cui certo Napoli rappresenta un unicum per elevata stratificazione storica più che bi-millenaria.
Napoli. I livelli della stratificazione della città a piazza Municipio “Stazione Neapolis” dal periodo romano ad oggi. Museo Archeologico Nazionale (foto dell'a. 2005).
3. Ancora di rilievo è l’individuazione del sito della Cagliari romana nell’ area archeologica aldisotto della chiesa di Sant’Eulalia, lavori (1999 – 2005). Le testimonianze archeologiche documentano un caso quindi di non continuità tra il tracciato tardo romano della città storica ed il successivo insediamento tre – quattrocentesco di “Marina”. Nei lavori alla cripta della chiesa danno certezza dell’impianto della città romana e le trasformazioni avvenute nel IV secolo d Cr. Una strada lastricata diretta al mare, con lastre di calcare duro, in forte pendenza e dotata di impianto fognario ed un complesso monumentale con colonnato con una colonna dello spazio porticato inglobata nella struttura muraria a grossi blocchi, si ritrova ristretta e per il cambio di destinazione degli edifici e dei due grandi complessi ai lati della strada che si restringe perdendo di rilevanza. A cui si devono aggiungere gli accumuli di terra dovuti ad eventi traumatici di interramento e la cancellazione completa della trama viaria. Con il declassamento della stessa si ha un mutamento urbanistico. Il quartiere Marina infatti non presenta lo stesso orientamento della strada romana nord-ovest /sud-est , come può leggersi nell’asse longitudinale della chiesa in posizione inclinata rispetto al tessuto viario attuale. Su questi complessi verrà fondata la chiesa gotica di Sant’Eulaia, chiesa parrocchiale del quartiere Marina.
Ben più complesso e di estese dimensione è il caso della Cripta Balbi a Roma per le numerose evidenze archeologiche portate alla luce con estrema scientificità, e ampliamente documentati.
Il complesso della Cripta Balbi ed il Museo di Roma nel Medioevo rappresentano un esempio tra i più riguardevoli di quanto enunciato a proposito dell’interdipendenza tra archeologia urbana e storia urbanistica, anni 2000, (coordinatore dei lavori dott. Daniele Manacorda).
Il complesso si identifica con un isolato del centro storico di Roma nel Campo Marzio e si estende per circa un ettaro comprendendo anche le chiese di Santa Caterina dei Funari e San Stanislao dei Polacchi.
In epoca romana vi insisteva un portico su tre lati antistante il teatro di Lucio Cornelio Balbo costruito nel 13 a Cr. Il portico, tuttora presente con le sue poderose strutture all’interno dell’isolato attuale moderno, ben individuato con un restauro di restituzione in ferro delle antiche arcate, viene denominato Cripta.
Nel fronte opposto alla cavea del teatro si sviluppa un’esedra monumentale (oggi interamente portata in luce) tra le abitazioni private ed i palazzi nobiliari dell’isolato Mattei.
Ciò che è di rilievo sottolineare è la nuova strutturazione urbanistica e viaria della zona che viene a delinearsi dagli scavi operati in loco e la successiva parcellizzazione dell’area d’epoca romana con nuove vie ed i nuovi fronti stradali che si vanno a delineare con la lunga serie di botteghe nei percorsi di raggiungimento alle chiese ed ai monasteri, nuovamente costituiti.
Identica situazione con la via Caetani che taglia con la sua delineazione la parte della cavea del teatro dalla struttura porticata quadrata antistante.
Si può ben riconoscere allo “scavo” nel centro storico di Roma le qualità di un palinsesto unico di più di duemila anni di evoluzione urbana a partire dal monumento romano, le terme e le calcare medievali, le case ed i palazzi di impianto medievale, le trasformazioni dell’isolato con gli interventi stradali rinascimentali, poi ampliati nell’Ottocento, ossia dal V secolo al XIX secolo.
Facendo luce sulle fasi medievali di Roma l’archeologia illustra in reale la trasformazione urbanistica di un grande settore della Roma antica nel trapasso alla città medievale e alle vocazioni produttive dell’area in una forte trasformazione d’uso.
Ancora da menzionare per gli apporti notevoli alla storia degli insediamenti della Campania interna sono gli scavi condotti, sempre in provincia di Salerno a Buccino e a Conza della Campania in provincia di Avellino.
A Buccino nel centro storico tra la porta Consina, la porta Sant’Elia e la porta San Mauro tra il Duomo ad oriente ed il palazzo ducale/ castello sull’altura ad occidente è stata portata alla luce l’area archeologica dell’antico municipio romano di Volcei.
Così come gli ingenti danni del terremoto del novembre ‘80 hanno dato luogo al trasferimento della popolazione nella nuova Conza e l’indagine archeologica condotta sull’antico insediamento ha portato alla luce la città romana di Compsa. In effetti non distante dall’area dei ruderi della vecchia cattedrale di Santa Maria dell’Assunta è stato scoperto parte del foro romano di Compsa ed altre strutture al di sotto degli edifici crollati per il sisma e rimossi.
Oggi tutta l’area è un grande Parco archeologica in via di sistemazione.
Conza della Campania ed i lavori per il Parco Archeologico della città romana di Compsa al di sotto dei fabbricati distrutti dal terremoto del novembre 1980.
La fortunata situazione di un insediamento cittadino romano, abbandonato dopo il sisma e perciò facilmente agibile per l’esplorazione archeologica, ha suggerito di iniziare da esso un lavoro di ampie prospettive che mira ad acquisire conoscenze e materiali nuovi nell’ambito della vasta problematica storico – culturale offerta dal fenomeno urbano in Campania durante l’epoca romana.
Sfruttando l’opportunità del sito si spera di porre le basi metodologiche e tipologiche per più ampie esplorazioni in prospettiva di allargare il parco archeologico per addivenire a nuove indagini sulla strruttura urbana dell’antica Compsa romana.
Il problema dell’archeologia urbana si riconduce in altri termini, come si è cercato di individuare in questa Lezione con alcune esemplificazioni, ad un problema di tutela e di restauro conservativo della città antica con tutti i problemi che tale tutela di una struttura urbana complessa comporta.
Anche per l’archeologia urbana come per il restauro d’architettura è di fondamentale rilevanza per la conduzione ottimale il carattere interdisciplinare o pluridisciplinare dell’operazione e degli interventi sul tessuto urbano del centro antico.
Bisogna cioè pervenire ad una strategia globale dell’operazione del recupero del centro storico, come ha affermato il Di Stefano in più occasioni e trova conferma nei metodi dell’archeologia urbana.
Ossia ci vogliono nelle città antiche da conservare e recuperare non solo architetti, storici della città, ma anche archeologi ed esperti restauratori del costruito.
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La Lezione è svolta su alcune ricerche ed interventi a convegni.
Le immagini qui inserite sono tratte dalle mie ricerche di storia dell'urbanistica, e dalle Lezioni svolte durante il corso degli anni.
Il testo, rielaborato per la lezione, è tratto dalla relazione di Teresa Colletta, "Archeologia urbana e storia urbanistica” presentata al Convegno dell'ICOMOS – comitato italiano, al Convegno Nazionale, Archeologia, città, paesaggio, del 16-17 dicembre 2005 a Napoli, presso la Chiesa Trecentesca di Donnaregina e pubblicato in R. Genovese (a cura di), Archeologia, città, paesaggio, Napoli 2006.
T. Colletta, "Napoli Antica, Soprintendenza Archeologica per le Province di Napoli e Caserta", Mostra e Catalogo, Napoli 1985 in "Storia della città" n.40, 1986, pp. 82-85.
Per ulteriori approfondimenti su Napoli:
M. Napoli, Napoli greco-romana, Topografia e Archeologia, in AA.VV., Storia di Napoli, vol. I, Napoli, ESI, 1968;
E. Greco, La città ed il territorio: problemi di storia topografica, Atti del XXVII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1987;
S. De Caro, La ricerca archeologica, in AA.VV., La Metropolitana di Napoli, nuovi spazi per la mobilità e la cultura, Napoli 2000;
D. Giampaola, Dagli studi di Bartolomeo Capasso agli scavi della metropolitana: Ricerche sulle mura di Napoli e sull'evoluzione del paesaggio costiero, in “Napoli Nobilissima“, V.s., vol.V, fs.I-II, 2004, pp. 35-56;
T. Colletta, Napoli città portuale e mercantile dall'Alto medioevo al Viceregno spagnolo, Roma, Kappa Edizioni, 2006 (in corso di stampa).
Per ulteriori approfondimenti su Cagliari e Roma:
AA..VV., Cagliari. Le radici di Marina, dallo scavo archeologico di Sant'Eulalia un progetto di ricerca e valorizzazione, Cagliari, Scuola Sarda Editrice, 2002;
AA.VV., Museo Nazionale romano. La Cripta Balbi, Milano, Electa. (2000), rist. 2004;
S. Baiani, M. Ghilardi (a cura di), La Cripta Balbi-Fori Imperiali, Roma Kappa Edizioni, 2000, pp.24-62. e CD.Rom, La Cripta Balbi ed il Museo Nazionale di Roma medievale, 2005.