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Rosalba Filosa Martone » 3.Tipologie di gestione delle aziende di servizi pubblici


Tipologie di gestione delle aziende di servizi pubblici

La categoria delle aziende di servizi pubblici viene individuata attraverso un criterio oggettivo, di tipo giuridico-amministrativo, che può essere così sintetizzato: l’esplicito riconoscimento attraverso un provvedimento legislativo dell’essenzialità del servizio per la collettività con la conseguente assunzione da parte della pubblica amministrazione della responsabilità del suo espletamento.

Si parla di responsabilità del suo espletamento e non di espletamento diretto poiché tra le forme organizzative gestionali in cui può essere svolto il servizio pubblico è prevista anche la delega dello svolgimento dell’attività ad aziende distinte dalla pubblica amministrazione. In questi casi l’ente delegante assolve al suo ruolo di responsabile mediante l’imposizione all’azienda delegata di vincoli ed obiettivi definiti nell’interesse della collettività e, attraverso il controllo cui sottopone l’azienda, ne garantisce il conseguimento.

Tipologie di gestione delle aziende di servizi pubblici

Allorquando la pubblica amministrazione pone in essere questo riconoscimento, l’azienda cui viene affidato il compito di espletare il servizio verrà denominata azienda di pubblica utilità, ma nulla viene stabilito sulla tipologia di azienda che potrà svolgere tali attività. Le aziende di servizi pubblici sono, quindi, una categoria trasversale rispetto alle tipologie d’azienda:

  • impresa,
  • azienda di erogazione,
  • azienda no profit.

Esse possono appartenere indifferentemente ad una delle tre tipologie, in quanto la caratteristica che le contraddistingue non è nella finalità aziendale, ma nel dover sottostare alla volontà della pubblica amministrazione competente che ha avocato a sé la gestione del servizio e, riconoscendolo per legge di interesse generale, ne controlla e condiziona lo svolgimento, sempre nel rispetto della creazione di valore (utilità) per la collettività.

Concetto di impresa

“Nel caso dell’impresa la finalità alla base dell’istituto aziendale si concreta in un proposito lucrativo, ossia nel proposito del conseguimento di un guadagno dal dispiegamento dell’attività e dall’impiego dei beni. L’impresa realizza, da una parte, la soddisfazione dei bisogni dei terzi a sé estranei, cui consente la disponibilità dei prodotti e dei servizi che essa appresta, e, dall’altra, la soddisfazione dei bisogni di coloro nel cui interesse è condotta, ai quali assicura, attraverso i guadagni, il mezzo di procacciamento dei beni necessari alla soddisfazione dei bisogni propri” (Amodeo, 1965: 15).

Da ciò deriva che le aziende sono definite imprese se il fine prioritario della loro attività è il conseguimento e la massimizzazione del profitto.

Quando le attività di servizi pubblici sono svolte da imprese esse svolgeranno la loro attività contemperando il loro obiettivo di conseguire le condizioni di equilibrio economico e raggiungere il profitto sperato con il vincolo di assicurare l’erogazione del servizio a tutti i cittadini che lo richiedono.

Esempi di impresa

Esempi di impresa


Concetto di azienda di erogazione

L’azienda di erogazione è un istituto economico diretto a realizzare l’immediata soddisfazione dei bisogni umani attraverso l’attività associata di più persone e l’impiego coordinato di un complesso di beni.

“Si interpreti in un modo o nell’altro la soddisfazione dei bisogni come finalità assegnata all’istituto aziendale, è certo che due vie vi sono per il raggiungimento di quel fine: o l’azienda è mezzo diretto di soddisfazione di bisogni, ovvero quella soddisfazione è apparentemente collocata di là della realizzazione immediata di una finalità lucrativa. Nel primo caso si è di contro a quelle aziende che si denominano di erogazione, nel secondo si tratta di quelle aziende che si indicano come aziende di produzione od imprese.

L’azienda di erogazione appare allora come un istituto economico al quale sono estranee finalità di lucro. Esso è diretto a realizzare l’immediata soddisfazione dei bisogni umani attraverso l’attività associata di più persone e l’impiego coordinato di un complesso di beni” (Amodeo, 1965: 15).

Esempi di azienda di erogazione

Esempi di azienda di erogazione


L’azienda no profit

Secondo la definizione del SNA –Sistem of National Account- le aziende no profit (not for profit) sono enti giuridici o sociali creati per lo scopo di produrre beni o servizi il cui status non permette loro di essere fonte di reddito, profitto o altro guadagno di tipo finanziario per chi le costituisce, controlla o finanzia.

Nel linguaggio comune il settore del no profit viene da molti identificato con il volontariato che ne costituisce solo un aspetto parziale e molto specifico. Le Onlus (organizzazione non lucrative di utilità sociale) costituiscono, invece, un variegato panorama di realtà appartenenti alla cosiddetta economia civile cui è dedicato il prossimo paragrafo.

Concetto di azienda no profit

Concetto di azienda no profit

Esempi di aziende no profit

Esempi di aziende no profit


Il fine delle aziende di pubblica utilità

Nel settore della sanità, della formazione e dell’assistenza sociale assistiamo all’esistenza di aziende di servizi pubblici che sono aziende di erogazione (come le aziende sanitarie locali e le scuole pubbliche), altre sono imprese (case di cura private convenzionate, scuole private riconosciute), altre infine, aziende no profit (come le organizzazioni che erogano servizi di formazione e sanitari a categorie svantaggiate).

E’ il fine aziendale e non l’attività svolta che differenzia queste aziende, sebbene non possiamo non sottolineare che spesso tale fine ha delle importanti implicazioni sulla modalità di svolgimento dell’attività, soprattutto in settori così critici come quelli descritti.

L’economia solidale

La teoria economica solidale è basata su rapporti di reciprocità.

Alla razionalità strumentale, per la quale l’uomo è portato a manipolare l’ambiente ostile in base ai propri bisogni senza curarsi degli effetti a lungo termine, si contrappone una saggezza sistemica, in base alla quale l’uomo controlla se stesso e i suoi interventi sugli ecosistemi.

Ad una concezione atomistica della dimensione economica, per cui il comportamento economico è determinato dalla somma dei comportamenti individuali, si passa a dare peso fondamentale alla dimensione sociale di gruppo.

L’economia solidale intrattiene rapporti con il settore privato, con il settore pubblico e con la sfera sociale evitando di rifiutare il mercato. A dispetto dei meccanismi di selezione naturale delle imprese in base alla loro efficienza e della crescente globalizzazione dei mercati, l’economia solidale si propone di lenire il malessere sociale globale; rivolgendosi a soggetti socialmente svantaggiati e rinvestendo i propri utili in attività a fine solidaristico, agisce come meccanismo di redistribuzione del reddito e di riduzione delle disuguaglianze.

La nuova economia solidale può fornire mezzi davvero interessanti: le banca etiche, i GAS (Gruppi d’Acquisto Solidale), l’Economia di Comunione, il Commercio Equo e Solidale, le reti di discussione che affrontano problemi legati all’ambiente e alla qualità della vita, e cosi via.

I principi dell’economia solidale

L’economia solidale:

  • dà posto nella normale attività d’impresa a soggetti svantaggiati, come risorse e non come vincoli;
  • valorizza i lavoratori volontari, che, sotto varie forme e modalità, sono una componente essenziale delle imprese so-lidali;
  • cerca di rimanere “sociale” anche diventando sempre più “impresa”, sviluppando una cultura aziendale della gratuità, che deve impregnare di sé tutta la visione aziendale (Bruni, 2003: 168-169).
I principi dell’economia solidale

I principi dell'economia solidale


L’economia solidale: l’inclusione

E’ necessaria un’economia che includa tutti:

Come sappiamo, il profitto di un’azienda è legato al rapporto tra costi e ricavi: occorre minimizzare i primi e aumentare i secondi. Per ridurre i costi si tende a ridurre al massimo tutte le loro componenti e, in particolare oggi, i costi ambientali ed il costo del lavoro. Questo processo produce i disastri a cui tutti ormai assistiamo e spinge a ridurre o, dove possibile, eliminare, le regole di salvaguardia del lavoratore.

Un welfare dell’inclusione deve assicurare, attraverso scelte trasparenti della collettività, forme di solidarietà per quanti rischiano di essere estromessi, nei fatti, da una copertura previdenziale dignitosa o dalla possibilità di godere dei servizi sociali fondamentali: chi ha subito lunghi periodi di disoccupazione, chi non è autosufficiente, chi lavora in attività usuranti o pericolose, chi è impegnato in una attività di cura o di assistenza, chi ha un’occupazione discontinua, chi è impegnato in attività indipendenti o autonome spesso sprovviste di coperture previdenziali e sociali.

L’economia solidale: l’inclusione

Un vero impegno all’inclusività (come accesso universale all’informazione e al sapere, l’accesso universale all’educazione, la protezione della vita culturale delle comunità e l’eguale condivisione dei progressi scientifici e tecnologici), necessita dell’allocazione di considerevoli risorse materiali e immateriali da parte della comunità internazionale e dei governi nazionali per superare questi ostacoli.

E’ solo col contributo di tutti che il sistema sociale potrà svilupparsi positivamente.

L’economia solidale: la reciprocità

La relazione di reciprocità può essere espressa nei termini di un insieme di trasferimenti bidirezionali, indipendentemente volontari l’uno dall’altro, ma tra loro collegati.

La caratteristica di indipendenza implica che ciascun trasferimento è a sè considerato, volontario, cioè libero; quanto a dire che nessun trasferimento è condizione per il verificarsi dell’altro, dal momento che non vi è obbligazione esterna alcuna in capo al soggetto trasferente.

Il concetto di reciprocità

Il concetto di reciprocità


L’economia solidale: la gratuità

Qual è lo specifico di quella che chiamiamo “economia solidale“? Ovviamente la risposta è complessa, ma di sicuro il principio di gratuità costituisce quello “specifico” che rende l’economia solidale. L’economia solidale non crede cioè che la funzione della gratuità possa essere svolta, con pari o migliore efficienza, da contratti sofisticati.

La cultura aziendale di gratuità deve tradursi in procedure, in buone pratiche, in una “governance di gratuità” che investe la quotidianità dell’impresa.

La cultura della gratuità non va confusa con l’altruismo, con la filantropia, o tanto meno con l’assistenzialismo: gratuità non significa essere più “buoni” o altruisti di altri, ma va invece letta come una forma di “interesse” saggio, sostenibile, che parte dalla consapevolezza che non si può essere felici da soli, e che non è possibile fare la propria felicità senza fare quella degli altri, come sapeva già 250 anni fa Antonio Genovesi, e diceva durante le sue lezioni di economia civile a Napoli:

“…fatigate per il vostro interesse; niuno uomo potrebbe operare altrimenti, che per la sua felicità; sarebbe un uomo meno uomo: ma… se potete, e quanto potete, studiatevi di far gli altri felici… E legge dell’universo che non si può far la nostra felicità senza far quella degli altri” (Genovesi, 1963: 449).

L’economia solidale: un paradosso

Nessuno vorrebbe vivere in un mondo dove infermieri, insegnanti, dottori, baristi e macellai agissero solo negli stretti limiti del contratto, dove ogni loro azione è solo l’esecuzione di una prestazione prevista. Molti servizi “relazionali” per poter rispondere alle esigenze dei clienti richiedono una certa dose di non strumentalità e di genuinità. Questo per dire che anche nei comportamenti di mercato i più “normali” c’è bisogno di un di più che il contratto non può prevedere. Certo potremmo pure rassegnarci ad una vita economica senza questo di più: ma avremmo un’economia e una società certamente più povere. Quanto si sta verificando in questi ultimi anni mostra che la domanda di beni relazionali cresce con il reddito, e con essa anche la domanda di quel di più. Accade quindi che il rapporto umano genuino o non strumentale stia diventando il bene scarso nelle economie avanzate.

L’economia solidale: un paradosso

Il paradosso che emerge quando il contratto cerca di utilizzare -perché “funziona”- questi comportamenti genuini. Accade che essi si snaturano, si distruggono: se sono pagato per sorridere ad un anziano, il mio sorriso perde quel di più che è quanto esattamente voleva l’anziano-cliente; o se mi insegnano ad essere gentile e interessato al cliente per vendere di più, nel momento in cui il cliente percepisce la strumentalità del mio atteggiamento ottengo proprio l’effetto opposto a quello desiderato.

L’emergere dell’economia solidale dice quindi che anche dentro i meccanismi di mercato c’è bisogno di qualcosa di diverso rispetto al semplice e semplicistico self-interest. Neanche il mercato può funzionare col solo interesse personale: se nel calcolare l’efficienza delle istituzioni economiche facciamo troppo affidamento sul tornaconto economico è difficile che saremo in grado di costruire né buone né efficienti imprese, né buone né efficienti società (Zamagni, 1996: 7 segg.).

Un mercato a più dimensioni

Le nuove dimensioni del mercato

Le nuove dimensioni del mercato


I materiali di supporto della lezione

Amodeo D. (1965), Ragioneria generale delle imprese 2° ed., Napoli, Giannini

Bruni L. (2003/2), ”L'economia civile e il principio di gratuità”, Nuova Umanità, Città Nuova, n. 146, XXV

Bruni L., Zamagni S. (2004), Economia civile, Mulino, Bologna

Filosa Martone R., (2005), Le aziende di servizi pubblici, in Lezioni di Economia e Gestione delle Aziende di Servizi Pubblici, CUEN, Napoli

Genovesi A. (1824) [1765-1767], Lezioni di Economia civile, Società Tipografica dei Classici Italiani, Milano

Lonardi E. (2003), “Economia solidale: perché un mondo diverso è possibile”, sito internet: http://www.agliincrocideiventi.it­/archivio/politica/ Economia­%20­solidale.htm, fonte AceA

Vittadini G. (a cura di) (1997), Il non profit dimezzato, Milano,Etas Libri

Zamagni S. (1997) “Il non profit della società postfordista alla ricerca di nuova identità”, in Cittadini G. (a cura), (1997), Il non profit dimezzato, Milano, Etas Libri

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