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Francesca Sorrentini » 6.L'organizzazione territoriale dell'industria: teoria e fattori


Articolazione della lezione

Obiettivo

Analizzare i fattori della localizzazione industriale e le implicazioni economico-territoriali

Argomenti

  • Origine delle attività industriali
  • Le fasi del processo di industrializzazione
  • I fattori della localizzazione industriale
  • Il modello di Weber

Origine delle attività industriali

Industria
Insieme delle attività manifatturiere di trasformazione di prodotti primari (dell’agricoltura, minerari, forestali, dell’allevamento) in beni destinati al consumo.

L’ Artigianato è la più antica forma di industria.

L’attività manifatturiera comprende tre fasi distinte:
1) Approvvigionamento
Una o più materie prime o semilavorati sono riuniti in un determinato luogo dove si procede alla loro trasformazione.

2) Produzione
Trasformazione delle materie prime e dei componenti in prodotto finito.

3) Distribuzione
Il bene prodotto è collocato sul mercato, che sarà quello dei consumatori finali, allorché l’impresa produce un prodotto finito o quello delle imprese stesse, se dal processo produttivo origina un semi-prodotto che costituirà a sua volta una «materia prima» (sotto forma di semilavorati, componenti oppure macchine utensili) utilizzata da altre unità produttive.

Rivoluzioni industriali

I Rivoluzione industriale (1730-1870)
Passaggio da un’organizzazione produttiva basata sul massiccio impiego di lavoro manuale e su processi lavorativi isolati ed eterogenei verso un’organizzazione produttiva basata sull’impiego sistematico e intensivo delle macchine, le quali innalzarono notevolmente il rendimento del lavoro.

II Rivoluzione industriale
a) conversione dell’energia meccanica fornita dalle acque dei fiumi o dal vapore in energia elettrica (dinamo);
b) introduzione del lavoro a catena.

III Rivoluzione industriale (dopo la Seconda Guerra Mondiale)
a) scoperta dell’energia atomica;
b) moltiplicazione dei materiali sintetici prodotti dalla petrolchimica;
c) applicazione dell’elettronica alle telecomunicazioni e al controllo dei processi produttivi.

Prima Rivoluzione industriale

Caratteristiche:
- nuovi processi produttivi nel settore tessile.

Invenzione del telaio ad acqua, della giannetta filatrice, del filatoio intermittente…, che hanno, tra l’altro, come conseguenze:

  • notevole decremento dei costi di produzione;
  • maggiore competitività dell’Inghilterra.

- invenzione della macchina a vapore (1760)

Sostituzione dei cavalli utilizzati nelle miniere per trainare i carrelli di carbone (“cavallo vapore”=unità di misura). Ha consentito di:

  • sfruttare più a fondo i giacimenti minerari (pompe di drenaggio);
  • dare impulso alla siderurgia e alla meccanica.

- fattori di localizzazione

  • giacimenti di materie prime e di fonti di energia: i luoghi ricchi di carbone e di energia idrica hanno avuto un ruolo privilegiato;
  • città: le imprese tendono a localizzarsi negli spazi urbani, per la disponibilità di mano d’opera, in gran parte proveniente dalla campagna.

Seconda Rivoluzione industriale

Caratteristiche:
a) Conversione dell’energia meccanica in energia elettrica, che trovò impiego in:

  • illuminazione;
  • mezzi di comunicazione (trazione di tranvai e locomotive ferroviarie);
  • industria siderurgica (forno elettrico);
  • industria chimica (sodio, alluminio, soda caustica..).

La possibilità di trasportare l’energia elettrica a una certa distanza dai luoghi di produzione ha consentito alle imprese di localizzarsi anche fuori dai bacini carboniferi e dalle valli fluviali.

Seconda Rivoluzione industriale

b) Lavoro a catena
Il modello di organizzazione produttiva della manifattura è definito Ford-taylorista:

  • separazione netta delle mansioni tra gruppi di lavoratori;
  • scomposizione del processo produttivo in segmenti separati  all’interno dell’impresa;
  • grande dimensione degli impianti;
  • introduzione della catena di montaggio;
  • concentrazione spaziale (almeno in una prima fase);
  • integrazione verticale del ciclo produttivo;
  • elevati livelli di occupazione e di produzione di beni standardizzati.

Seconda Rivoluzione industriale (segue)

c) Fattori di localizzazione

  • manodopera: la forza lavoro abbondante e poco qualificata era indispensabile per affermare il nuovo modello organizzativo, basato su mansioni semplici e ripetitive;
  • capitale: la lavorazione in serie richiedeva la costruzione di fabbriche sempre più grandi e, quindi, ingenti investimenti per impianti complessi;
  • mercato: le città accoglievano la gran parte della produzione, anche perché dotate di migliori sistemi di trasporto;
  • inerzia‘: le grandi imprese nascevano dalle unità di piccola e media dimensione, oppure per inglobamento progressivo di quelle esistenti in un processo continuo di integrazione orizzontale e verticale;
  • economie di agglomerazione (quelle di tipo urbano sono dette anche economie di urbanizzazione): la singola impresa usufruiva di condizioni favorevoli per l’utilizzo comune con altre imprese di un unico sistema di infrastrutture e di servizi, come reti stradali, ferroviarie, servizi di consulenza e di ricerca tecnico-scientifica.

Seconda Rivoluzione industriale (segue)

La Seconda Rivoluzione industriale si è giovata anche di altre invenzioni:

  • motore a scoppio;
  • telegrafo;
  • telefono;
  • nuove tecniche di produzione dell’acciaio;
  • nuove tecniche di trasformazione del rame e dell’alluminio che l’Europa attingeva dalle colonie.

Paesi protagonisti:

  • Germania;
  • Stati Uniti (essendo dotati di risorse riuscirono a saltare la fase artigianale dell’industria).

Terza Rivoluzione industriale

La Terza Rivoluzione industriale, sul piano tecnologico, ha ulteriormente accresciuto la produzione di massa e, su quello geografico, ha originato conseguenze socioeconomiche soprattutto negli Stati Uniti e nel Giappone, il cui sviluppo ha ridimensionato la supremazia dell’Europa, e ha interessato anche altre aree del mondo.

Le imprese tendono a modificare i propri comportamenti localizzativi:

  • rilocalizzazione (o decentramento territoriale);
  • decentramento produttivo;
  • formazione di sistemi industriali periferici.

Terza Rivoluzione industriale (segue)

Rilocalizzazione (o decentramento territoriale)
Per l’aumento dei costi nelle aree urbane, le imprese trasferiscono i propri impianti nelle zone suburbane o in quelle più decentrate.
Tra le due guerre mondiali, la rilocalizzazione ha interessato gli USA e, successivamente, le grandi agglomerazioni industriali europee, dove si è assistito ad un processo centrifugo di allargamento delle aree urbane (ad esempio, Detroit e i corridoi industriali), con una duplice finalità:

  • conseguire più bassi costi di insediamento e di manodopera;
  • mantenere i benefici ottenuti dalla vicinanza ai vecchi centri urbani, dove sono localizzate altre funzioni terziarie utili all’industria (istituti finanziari, centri di consulenza, di ricerca ecc.).

Terza Rivoluzione industriale (segue)

Decentramento produttivo
Fenomeno in parte simile al precedente, ma rispondente a motivazioni e logiche diverse.

La grande dimensione degli impianti non risulta più conveniente a causa di:

  • crescente sindacalizzazione della forza lavoro;
  • rapida obsolescenza degli impianti produttivi.

L’impresa scompone il ciclo produttivo, affidando alcune fasi di lavorazione ad unità di minore dimensione e non necessariamente ubicate nella stessa area geografica.

Si verifica il graduale passaggio dal modello di organizzazione fordista a quello post-fordista, ossia un sistema di produzione flessibile.

Terza Rivoluzione industriale (segue)

Formazione di sistemi industriali periferici
Organizzazione di un insieme di piccole imprese concentrate su spazi ben delimitati e funzionalmente integrate.
Questi sistemi nascono in seguito a processi di decentramento, avviati da imprese generalmente di grandi dimensioni, oppure a un processo autonomo di sviluppo, determinato dal livello di interazioni raggiunte dal contesto sociale, economico e territoriale (ad esempio, lo sviluppo industriale delle regioni dell’Italia centrale e nordorientale).

I fattori della localizzazione industriale

I fattori della localizzazione possono articolarsi nei seguenti gruppi:

Naturali

  • acqua;
  • clima;
  • articolazione ed estensione delle terre emerse e delle linee costiere;
  • altimetria;
  • caratteri geologici del terreno.

Tecnici

  • fonti di energia;
  • materie prime;
  • trasporti.

Demografici

  • quantità, distribuzione e densità della popolazione;
  • dinamica demografica;
  • qualità socioeconomiche della popolazione.

I fattori della localizzazione industriale (segue)

Storico-culturali

  • tradizione artigianale;
  • organizzazione sociale.

Economici

  • capitale;
  • lavoro;
  • conoscenze tecnologiche.

Psico-sociali

  • atteggiamento del decision-maker;
  • amenity paesaggistico-ambientali.

Politici

  • azione politico-economica dello Stato e delle Istituzioni locali;
  • organizzazione e pianificazione territoriale.

Teoria della localizzazione industriale

L’impresa tende ad ubicarsi nell’area in cui sussistono le condizioni più utili al suo insediamento, cioè quelle in grado di assicurarle i massimi profitti.

L’economista tedesco Alfred Weber (1868-1958) ha elaborato una teoria per dimostrare che la localizzazione ottimale coincide con il punto di minimo trasportazionale, cioè con il punto in cui la somma delle spese di trasporto sostenute per trasferire le materie prime, dai luoghi di approvvigionamento ai siti di trasformazione e da questi ai mercati di consumo, risulta più bassa.

Teoria della localizzazione industriale (segue)

Per la disponibilità delle risorse, invece, distingue:

  • materie prime ubicate: sono disponibili solo in determinati luoghi (come risorse minerarie e fonti di energia);
  • materie prime ubiquitarie: sono presenti in modo più o meno diffuso (come l’acqua, le pietre, la sabbia);
  • materie prime perdenti peso: il prodotto finito incorpora solo una parte della materia prima e l’altra viene eliminata (come l’acciaio nei riguardi dei minerali di ferro);
  • materie prime nette: il loro peso coincide con quello del bene finito.

Teoria della localizzazione industriale (segue)

Considera tre luoghi con precise caratteristiche:

  • luogo di approvvigionamento della materia prima (F’);
  • luogo di approvvigionamento di energia (F”);
  • mercato di consumo dei prodotti finiti (M).


Teoria della localizzazione industriale (segue)

L’industria si localizzerà nel punto di minimo trasportazionale, all’interno del triangolo con i vertici F’, F”, M, che costituisce il luogo ottimale di localizzazione (O). In particolare, andrà a situarsi nelle seguenti posizioni:

  • nel baricentro geometrico: costo di trasporto della materia prima = costo di trasporto della fonte di energia e ciascuno di essi = costo di trasporto del prodotto finito dalla fabbrica al mercato di consumo (se, e solo se, le materie prime e la fonte di energia non perdono peso nel processo di trasformazione);
  • in un punto diverso dal baricentro geometrico, ma vicino ai luoghi di approvvigionamento delle materie prime, qualora queste perdano peso rispetto a quello dei prodotti finiti (come per i minerali metallici);
  • in un punto diverso dal baricentro geometrico, ma in prossimità del mercato di sbocco, se i prodotti finiti acquistano peso o volume rispetto alle materie prime.


Teoria della localizzazione industriale (segue)

In seguito, Weber, consapevole della necessità di comparare un certo numero di localizzazioni in un’area delimitata, perfezionò il suo modello per ricercare la soluzione più soddisfacente. Pertanto, introdusse l’uso delle isòtime e delle isodàpane.

  • isòtime = linee che uniscono tutti i punti che hanno un uguale costo di trasporto per una determinata merce, a partire da ognuno dei punti del triangolo e, per lo spazio isotropico, assumono la forma di circonferenze concentriche.
  • isodàpane = linee ellittiche che uniscono tutti i punti che presentano lo stesso costo totale di trasporto: si ricavano congiungendo i punti di intersezione delle isòtime riferite alle materie prime e al prodotto finito. La scelta localizzativa cadrà all’interno dell’isodapàna di valore inferiore (nella figura coincide con la numero 7).
Formica, 1999, p. 250.

Formica, 1999, p. 250.


I materiali di supporto della lezione

FORMICA C., Lo spazio geoeconomico. Strutture e problemi, Torino, Utet, 1999.

Altri riferimenti bibliografici:

BECCATTINI C., Il distretto industriale, Torino, Rosemberg&Sellier, 2000.

DINI F., Geografia dell'industria. Sistemi locali e processi globali, Torino, Giappichelli, 1995.

WATTS D., Geografia industriale, Bologna, Zanichelli, 1993.

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