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Luigi Maria Sicca » 7.Dall'attore individuo all'attore gruppo. Approccio psicoanalitico all'azione organizzativa:


Obiettivi della lezione

proporre un terzo passo nel delicato passaggio del nostro sguardo di studenti e di studiosi di organizzazione, dall’attore individuo all’attore gruppo. A tale scopo, intendiamo:

  • illustrare alcuni esiti dell’esperienza del Tavistock Institute;
  • esplorare il versante affettivo, irrazionale ed inconscio dell’agire individuale nelle organizzazioni aziendali;
  • integrare la psicologia clinica con le esigenze di progettazione della microstruttura del lavoro.

Articolazione della lezione

  1. “Il visibile e l’invisibile”… nelle organizzazioni;
  2. psicoanalisi e diagnosi organizzativa;
  3. ansia ed organizzazione;
  4. il ruolo della supervisione;
  5. conclusioni e prossima lezione.

Questa lezione è stata redatta  in collaborazione con Paolo Valerio, Professore Ordinario di Psicologia Clinica Responsabile dell’Unità di Psicologia Clinica e Psicoanalisi Applicata, Dipartimento di Neuroscienze.

“Il visibile e l’invisibile”… nelle organizzazioni

Cosa è il modello Tavistock di Londra ?

Il modello Tavistock (1947) si è sviluppato a partire da due Istituzioni:

  • il Tavistock Institute of Human Relations, che si muove nell’ottica di un’integrazione tra ricerca e pratica nelle organizzazioni;
  • la Tavistock Clinic di Londra, che si inquadra in una cornice teorica specificamente psicodinamica.

Il “modello Tavistock” si caratterizza come:

a) metodo di analisi, diagnosi e progettazione organizzativa;

b) strumento per il sostegno a manager e professionisti delle organizzazioni (aziendali e non);

c) tecnica di aiuto alle organizzazioni in difficoltà, attraverso lo sviluppo delle competenze degli attori coinvolti: individui, gruppi, aziende e network di aziende.

“Il visibile e l’invisibile”… nelle organizzazioni (segue)

Esistono diverse scuole di pensiero che si occupano dell’interazione formale/informale, visibile/invisibile, conscio/inconscio, ecc…

La lente di ingrandimento del “modello Tavistock” applica al complesso delle relazioni (individuo/gruppo/organizzazione/network) il binomio “psicologia clinica-studi organizzativi”.

In linea con il “modello Tavistock”, ci focalizzeremo prevalentemente sugli aspetti psy, senza trascurare il riferimento sistematico a quelli organizzativi.

“Il visibile e l’invisibile”… nelle organizzazioni (segue)

L’essenziale è invisibile agli occhi” di …manager e professionisti d’azienda.
Le relazioni che si instaurano tra individui nello sviluppo dell’azione organizzativa sono regolate sia da compiti ed obiettivi ben dichiarati, sia da aspetti emozionali inconsci che alimentano le dinamiche che alcuni autori definiscono nella “zona d’ombra” delle organizzazioni (Perini, 2007).

Compiti ed emozioni contengono dunque – al tempo stesso – sia aspetti formali, sia informali, sia visibili che invisibili, consci ed inconsci. Integrare queste dimensioni polari può favorire il superamento delle difficili (talvolta inevitabili) e rischiose empasse che si frappongono agli obiettivi di performance aziendale.

Nella dialettica tra livelli di azione/attore, le emozioni individuali (paure, desideri, ecc..) si traducono in miti e fantasie collettive che incidono profondamente sulla progettazione delle strutture e sul comportamento organizzativo di manager e professionisti d’azienda.

Psicoanalisi e diagnosi organizzativa

Le dinamiche emotive inconsce, non rappresentano un “errore” o una “patologia” dell’agire organizzativo, ma rientrano nella fisiologia delle dinamiche di funzionamento della “zona d’ombra” e richiedono, a chi opera nelle organizzazioni, strumenti diagnostici che ben sono stati codificati dalla letteratura psicologico clinica e socio-organizzativa.

Il binomio psicoanalisi-organizzazioni è rintracciabile già nelle opere freudiane: in Psicologia della masse e analisi dell’Io (1921), Freud affronta il problema della leadership e delle dinamiche implicite nella relazione di una massa con il proprio capo.
Freud sosteneva che la capacità di lavorare, insieme a quella di amare, rappresenta una delle due colonne portanti della salute psichica e della maturità civile.

Alla fine degli anni 40′ l’interesse per il binomio psy-organizzazioni coinvolge diverse figure professionali: psichiatri, psicoanalisti, psicologi sociali (Rickman, Sutherland, Bridger, Trist, Main, Bion) che, nell’immediato dopoguerrra, si occuparono della riabilitazione sociale dei reduci e del trattamento delle nevrosi di guerra. In particolare, l’ospedale militare di Northfield (Birmingham), divenne la sede di importanti sperimentazioni psico-sociali sui gruppi di lavoro, sulla gruppo analisi, Main, sul modello di cura residenziale noto come “comunità terapeutica”. È in questo panorama scientifico-culturale si sviluppa e si consolida il modello Tavistock.

Psicoanalisi e diagnosi organizzativa (segue)

L’approccio psicoanalitico alle organizzazioni permette di capire come emergono i processi istituzionali inconsci e latenti e come, mediante un processo di interpretazione, i problemi “invisibili” vengano portati all’attenzione dell’organizzazione e degli individui.

Esperienza, conoscenze e creatività, nella ricerca di soluzioni a problemi in precedenza “nell’ombra” , si traducono in competenze individuali ed organizzative (gruppi, aziende e network).

L’approccio psicoanalitico alle organizzazioni può aiutarci a:

  • individuare dove cercare i problemi quando si presentano difficoltà organizzative inspiegabili con un tradizionale approccio razionalista;
  • comprendere i livelli di ansia che derivano dal lavoro.

Entrambe queste esigenze pongono un problema diagnostico. Infatti:

  • fenomeni appartenenti alla “zona d’ombra” sono per lo più inconsci e quindi non è possibile conoscerli ad un livello razionale: spesso, così, si finisce col girare a vuoto alla loro ricerca e può succedere che manchi persino la percezione dell’esistenza di un problema;
  • il carattere invisibile è il prodotto di una serie di difese individuali ed organizzative che non possono essere analizzate e affrontate senza suscitare grandi resistenze.

Psicoanalisi e diagnosi organizzativa (segue)

Diagnosticare un sintomo è una condizione necessaria, ma non sufficiente per intervenire sulle cause dei problemi.
Nella progettazione dell’organizzazione aziendale non basta quindi rimuovere un ostacolo, una volta individuato, ma occorre - attraverso l’esperienza – agire alle radici del problema, arginando la tendenza che esso ha di presentarsi nuovamente (coazione a ripetere, si veda anche la lezione 20 sul tema del cambiamento organizzativo).

In tale prospettiva, quando parliamo di diagnosi organizzativa possiamo distinguere tra:

  • prospettiva “clinica” e psicodinamica che considera le organizzazioni come dei “pazienti bisognosi” di un trattamento ed esplora le ricadute dei sentimenti inconsci e dei relativi meccanismi difensivi. Le emozioni sono concepite come processi individuali, interiori, legati alla soggettività e alle esperienze infantili;
  • prospettiva “sociocostruttivista”, che considera le emozioni nella sfera lavorativa legate non solo alle precoci esperienze di socializzazione dell’individuo, ma anche all’incontro nel “qui ed ora” dell’organizzazione (si veda in proposito la lezione 17).

Psicoanalisi e diagnosi organizzativa (segue)

Le relazioni che esistono tra esigenze di progettazione delle strutture ed i problemi di comportamento organizzativo rappresentano quella “barriera non eludibile” che lo studente di organizzazione aziendale, come il manager ed i professionisti d’azienda non devono mai trascurare per diventare abile in termini diagnostici.

Il concetto di “lavoro emozionale” (elaborato da Hochschild nel 1983) può rappresentare un utile strumento per muoversi lungo questa frontiera che attraversa le situazioni che si manifestano nelle pratiche quotidiane. Infatti, analizzare la dimensione emozionale del lavoro, consente:

  • di comprendere le fonti di resistenza per gli individui nello sviluppo dell’azione organizzativa;
  • di cercare delle possibili soluzioni rispetto alle esigenze di armonizzazione degli obiettivi delle performance individuali con lo stress, il malessere e le insoddisfazioni organizzative;
  • di tradurre in “pratiche manageriali” la ricerca di un equilibrio tra razionalità/prevedibilità, da un lato, ed emotività/irrazionalità, dall’altro.

Psicoanalisi e diagnosi organizzativa (segue)

Il “Modello Tavistock“, suggerisce la centralità delle difese organizzative rispetto all’ansia degli individui ai vari livelli dell’azione organizzativa (gruppi, azienda e network).

L’approccio psicoanalitico può aiutarci a comprendere e a riflettere sui meccanismi di contenimento dell’ansia: “ri-conoscere” l’esistenza di un piano emozionale inconscio, può consentire di capire dove cercare i problemi, con importanti risultati pratici, sia per chi si affaccia alla disciplina del mercato del lavoro, sia per chi già opera nelle organizzazioni aziendali e deve affrontare le continue sfide che derivano dai moderni sistemi competitivi.

La sfida raccolta dal modello Tavistock di fare dialogare le scienze sul funzionamento della mente e l’organizzazione aziendale tende a convergere sui problemi di gestione e regolazione l’ansia individuale e collettiva sui luoghi di lavoro. E’ pertanto indispensabile analizzare il binomio “ansia ed organizzazione”.

Ansia ed organizzazione : problema millenario o “contemporaneo” ?

Lungo la distinzione tra “visibile/invisibile, dal punto di vista inconscio (“l’essenziale è invisibile agli occhi”) si pone il problema di trovare un punto di equilibrio tra le esigenze legate alle identità dei singoli attori individuali e quelle di “appartenenza” ai livelli superiori dell’azione organizzativa (gruppo, azienda e network).

Molte ansie sono “realistiche” e legate a situazioni concrete, come nel caso di lavori rischiosi, delicate responsabilità decisionali, insicurezza nel rapporto di impiego, ecc. Altre ansie riflettono angosce e fantasie più profonde ed irrazionali ed assomigliano a quelle che popolano il mondo infantile o l’esperienza psicotica: la perdita d’amore, la mortificazione narcisistica, la persecuzione, l’abbandono, le rivalità e le aggressioni invidiose, la fusione e lo smarrimento dell’identità all’interno del gruppo.

Ansia ed organizzazione : problema millenario o “contemporaneo” ? (segue)

Possiamo allora distinguere tre categorie di ansie che operano a differenti livelli:

  • ansia primitiva;
  • ansia che deriva dalla natura del lavoro;
  • ansia individuale.

L’ansia primitiva è onnipresente, onnicomprensiva ed appartiene al destino dei singoli e dell’umanità. Le organizzazioni aiutano ad allontanare il timore dell’ignoto: per esempio, appartenere ad un gruppo di amici, ad un’aula universitaria, oppure ad un’importate azienda del sistema pubblico, ecc.., oltre a “servire” ad obiettivi “pratici” (la compagnia, l’apprendimento, il guadagno, il posto fisso, ecc..) risponde anche all’esigenza di bilanciare l’ansia primitiva. Esiste, inoltre, un’ansia insita nella natura del lavoro e derivante dal lavoro in sé. Tale ansia entra in risonanza con l’ansia primitiva ed innesca anche aspetti di ansia personale.

Organizzazioni come contenitori dell’ ansia

Le organizzazioni possono essere considerate dei sistemi specializzati nella gestione dell’ansia. Ad esempio:

  • la sanità ad un livello esplicito (visibile) persegue la promozione della salute, mentre ad un livello più profondo (invisibile) si fa carico di paure che affliggono tutti gli individui, come quella di morire, di provare dolore, di invecchiare e decadere nel corpo e nella mente, di perdere forza ed autonomia.
  • alla scuola ed all’università si attribuisce un esplicito e visibile compito di fornire istruzione, educazione, conoscenze e competenza, ma ad un livello invisibile si tratta essenzialmente di organizzazioni destinate a gestire l’ansia (di genitori e figli) circa la possibilità di riuscire a sopravvivere, nel futuro, valorizzando forme “ufficiali” di “azione cooperativa”.

Organizzazioni come contenitori dell’ ansia (segue)

Contro le ansie, le organizzazioni tendono ad erigere dispositivi di difesa, analogamente a quanto accade nelle menti dei singoli: tali difese, incorporandosi nella struttura e nei comportamenti organizzativi possono trasformarsi in simboli, miti ed artefatti, regole e procedure, che finiscono con influenzare, a loro volta, nuove strutture e/o vecchi comportamenti, lo stesso clima organizzativo, le procedure ed i processi, ecc … .

E’ anche in relazione a questo sguardo sulle organizzazioni, che occorre valutare le strategie di isolamento o di abbandono, le resistenze al cambiamento, l’irrigidimento burocratico, delle routine e delle procedure; freddezza affettiva nelle relazione di lavoro (lezione 4 e ss.).
Tutti ingredienti che rimandano gli studenti, ancora una volta, alla frontiera (non eludibile) progettazione-comportamento organizzativo, necessaria per imparare a svolgere correttamente le proprie attività di diagnosi organizzativa.

Ansia ed organizzazione: le organizzazioni come contenitori dell’ ansia (segue)

Le difese organizzative, come afferma la Menzies, possono divenire anti-task cioè anti-compito, se distolgono l’individuo dallo svolgimento del proprio lavoro, fino a generare un clima e comportamenti “antisociali”, ovvero non in linea con gli obiettivi di performance così come “disegnati” in fase di progettazione della microstruttura.
In proposito, la Wittemberg sottolinea che quando ci si trova Di fronte ad una nuova esperienza (ad esempio la prospettiva di un nuovo lavoro o di una nuova casa, un nuovo corso di studi o il passaggio dall’università al mondo del lavoro, ecc…), si attivano speranze ed aspettative e con esse inevitabilmente una buona quota di ansia che porta a costruire delle difese:

“E’ nella natura di ogni cosa nuova il non sapere come sarà né dove ci porterà: questa incertezza, la sensazione cioè di trovarsi di fronte all’ignoto oscuro e inesplorato conduce di per se stessa ad un certo grado di angoscia ….”
ed ancora:
“….l’essere preparati al cambiamento – per esempio aspettandoselo o pensandoci o portando con sé un equipaggiamento protettivo come un ombrello – può rendere quest’ultimo più tollerabile…”.

Per imparare ad apprendere da di nuove esperienze, abbiamo bisogno di un buon equipaggiamento emotivo, ossia “…un certo grado di equilibrio interno fondato su un bagaglio di buone esperienze che sia in grado di aiutarci durante la tempesta, e di fiducia in buoni oggetti interni….”.

Organizzazioni come contenitori dell’ ansia : il burnout

Il verbo to burn-out si può considerare sinonimo di to fail, ovvero fallire, venire a mancare; diventare debole. Procedendo con sinonimi e significati affini, si può considerare: to wear out: logorarsi; stancarsi; esaurirsi; giungere al limite. Burnout può significare, allora: bruciato, logorato, cortocircuitato.

Quando ci troviamo di fronte ad un problema-testo, dunque, proviamo innanzitutto a capirne il significato, partendo dall’etimologia.

Il burnout interessava, in origine, gli ambienti di lavoro sanitari e, più in generale, il mondo delle “organizzazioni di cura”, a seguito di eccessivi carichi di lavoro (Maslach e Leiter, 2000). Oggi interessa molte organizzazioni, anche lontane dal contesto in cui nasce questo fenomeno e risulta essere un utile “exemplum” per capire il nesso tra ansia ed organizzazioni.

Conseguenze del burnout sono: basso committment, poca soddisfazione, disturbi psicosomatici, abuso di sostanze che alterano l’attenzione, disturbi depressivi, cali della performance. Le possibili conseguenze che questo tipo di fatica può avere sull’organizzazione del lavoro sono, ad esempio: turnover, assenteismo, scarsa qualità del servizio, ecc…

Organizzazioni come contenitori dell’ ansia : il burnout (segue)

Il job burnout ha a che fare con la sensazione di “aver tirato troppo la corda”, di essere emotivamente logorato e di non avere più energie.

Esso non va confuso con lo stress, che presenta invece un quadro psicofisico più circoscritto. Lo stress, infatti, è reversibile ed ha a che fare con un generico disadattamento anche nella variante positiva di eustress.

Nel job burnout – invece – prevale una ridotta efficacia personale ed un crescente senso e percezione di inadeguatezza (Bandura, 1976).

Gli approcci individuali mettono l’accento sul ruolo dell’individuo e dei processi intrapsichici da un punto di vista:

  • psicodinamico (Freudenberger – Fischer et alii, 1983), allo scopo di gettare lo sguardo sugli aspetti patologici connessi ai disturbi della personalità;
  • cognitivo (Edelwich & Brodsky, 1980), allo scopo di gettare lo sguardo sulle aspettative che interessano attività lavorative in relazione al contesto;
  • energetico (Hobfoll, 2000), allo scopo di gettare lo sguardo sul rapporto tra richieste esterne e risorse.

Seguendo il modello Tavistock, il problema del burnout esclusivamente dal punto di vista dell’intrapsichico è probabilmente incompatibile con i tempi degli odierni sistemi di gestione delle risorse umane e, più in generale, con le esigenze di budget delle funzioni HR.

Il ruolo della Supervisione

Nelle relazioni terapeutiche di matrice psicoanalitica con il termine supervisione ci si riferisce ai percorsi di formazione degli psicoanalisti. Con la nascita della psichiatria, della psicologia di comunità e l’evoluzione della psicoterapia di gruppo (Bion, Folukes) lo strumento della supervisione si sposta al mondo delle organizzazioni aziendali, che vengono “interpretate” nella loro dimensione dinamica.
La supervisione in azienda – per accompagnare e sostenere la formazione continua – non ha nulla di “nuovo”, ma si rifa alle tradizioni millenarie delle organizzazioni formali di tipo pre-capitalistico.
La supervisione è affidata a volte ad un dipendente dell’organizzazione (supervisore interno), mentre altre volte ad un attore esterno.
La supervisione, nel linguaggio aziendale non indica un intervento di diagnosi e soluzione dei problemi tout court, ma uno specifico approccio alle relazioni tra clienti e fornitori interni.

Il ruolo della Supervisione (segue)

Nella gestione delle relazioni affettive, politiche e cognitive tra supervisore e attore organizzativo (ciascuno al proprio livello di azione) si rende ineludibile definire:

  • chi è  il “cliente-committente” (ossia coloro che beneficiano della supervisione – titolari di una posizione organizzativa, azionisti, ecc.. – e che la richiedono);
  • che cosa vuole il “cliente” (ossia l’analisi della domanda e l’individuazione delle attese implicite, “invisibili” nella richiesta manifesta);
  • il contesto della relazione “cliente-committente” (il momento in cui l’osservazione/supervisione viene richiesta definisce i contorni della relazione).

Conclusioni e prossima lezione

In questa lezione si è fatto un ulteriore passo in avanti lungo il percorso in cui ciascuno di noi sposta gradualmente il proprio sguardo di studioso e studente dall’attore individuo al gruppo.
A partire dall’ esperienza del Tavistock Institute, si è richiamata l’attenzione sull’importanza di esplorare il versante affettivo, irrazionale ed inconscio dell’agire organizzativo. Questo approccio interessa non solo la sfera individuale e della messa in discussione degli assetti intra-psichici delle persone, ma anche successive aggregazioni dell’attore, lungo quella frontiera non eludibile “progettazione-comportamento organizzativo”.
Nella prossima lezione si affronterà il tema dell’attore- gruppo, a partire da alcuni aspetti definitori.

Riferimento ai capitoli 3 e 8 del testo.

I materiali di supporto della lezione

Bion, W. R. (1961) Esperienze nei gruppi, Armando Editore, Roma, 1971. Bion, W.R. (1962) Apprendere dall'esperienza, Armando Editore, Roma, 1971. de Vita, P.-Mercurio, R.-Testa, F. (2007) Organizzazio Aziendale: assetto e meccanismi di relazione, Torino: Giappichelli

Freud, S. (1921) Psicologia delle masse ed analisi dell'Io Hinshelwood R.D., Skogstad W. (2000) Osservare le organizzazioni, Routledge, London. Menzies, I. (1960)

I sistemi sociali come difesa dall'ansia. In: M.Lang e K.Schweitzer (a cura) Psicoanalisi e Socioanalisi. Napoli: Liguori, 1984

Perini, M. (2007) L'organizzazione nascosta. Dinamiche inconsce e zone d'ombra nelle moderne organizzazioni, Milano: Franco Angeli

Salzberger-Wittemberg, I. (1983) Di fronte ad una nuova esperienza, Prospettive psicoanalitiche nel lavoro istituzionale, 1, 1, 20-38.

Sicca, L.M. (2008) Musica, Maestro: dalle organizzazioni millenarie alle (più recenti) organizzazioni aziendali, in Persone & Conoscenze, n. 36

Di fronte ad una nuova esperienza di Isca Salzberger Wittemberg

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