Cenni storici
Porto Marghera è l’area industriale di Marghera, una municipalità di Venezia.
La costruzione di quello che sarebbe stato il porto di Mestre, allora comune autonomo, e della relativa area industriale ebbe inizio nel 1917. Il complesso decollò subito, al punto che, nel 1928 (quando ormai Mestre era confluita da due anni nel comune di Venezia), vi si erano già insediate 58 industrie. Uscito distrutto dalla seconda guerra mondiale, si riprese bene, facendo registrare, nel 1955, circa 18.000 dipendenti, con il settore chimico che rivestiva un ruolo trainante.
L’area fu in seguito ampliata con la realizzazione di una seconda zona industriale, occupata pressoché completamente dal Polo chimico della Montedison, costituitasi nel frattempo dalla fusione di due tra i più importanti gruppi industriali italiani: Montecatini e Edison (1967). In quegli anni, il numero dei lavoratori era salito a 30.000.
La massima crescita di Porto Marghera si ebbe tra gli anni ‘60 e ‘70, dopo di che cominciò una crisi lenta, ma progressiva, che portò, all’inizio degli anni ‘80, alla chiusura di impianti e stabilimenti, soprattutto nei settori di base, e ad una perdita annua di 1.000-1.200 posti di lavoro.
Nel settore chimico va segnalata la fusione, nel 1988, tra l’azienda privata Montedison e la pubblica Enichem, che portò alla creazione della Enimont; tale esperienza si concluse nel 1990, con la cessione, da parte della Montedison, di quasi tutto il settore chimico all’azienda di stato. La situazione di forte indebitamento in cui si venne a trovare Enichem, anche per effetto del giro di tangenti che accompagnò l’operazione, portò man mano ad un lento declino, con la progressiva cessione di attività. L’impianto che dava lavoro a 14.000 addetti ora non supera le 2.000 unità.
L’industria più importante del polo produttivo di Porto Marghera diventa, negli anni ‘50, la petrolchimica, ossia quella branca della chimica che utilizza i derivati leggeri della distillazione del petrolio (la cosiddetta virgin naphta) per produrre composti che vengono utilizzati come tali o come materia prima per la produzione di una vasta gamma di prodotti chimici, dai detergenti ai fertilizzanti, agli elastomeri, alle fibre sintetiche, alle materie plastiche ecc. Tra gli intermedi impiegati vi è l’etilene, composto base nella sintesi del cloruro di vinile monomero e, dunque, del PVC.
La produzione di PVC ebbe inizio, a Porto Marghera, nei primi anni ‘50.
Nel corso dei decenni, essa ha dato lavoro a molte migliaia di persone; tuttavia, ha causato danni gravissimi all’ambiente (già alla fine degli stessi anni ‘50, l’Istituto di Igiene dell’Università di Padova rese noti dati preoccupanti sull’inquinamento atmosferico nella zona) e, soprattutto, alla salute dei lavoratori, molti dei quali, purtroppo, sono deceduti in seguito all’esposizione al CVM.
Veduta del Petrolchimico di Marghera. Fonte: Maedios
Una serie di indagini scientifiche e di rapporti interni di aziende produttrici del PVC dimostra che la pericolosità dell’esposizione al CVM è nota già da molti decenni. A tale riguardo, si riportano di seguito alcune tappe significative di questo percorso di conoscenza e l’atteggiamento delle industrie interessate:
Il riconoscimento, nel 1973, della cancerogenicità del CVM da parte dell’OMS e la morte negli anni, per angiosarcoma epatico, di numerosi compagni di lavoro addetti, soprattutto, alla pulizia delle autoclavi e all’insaccamento del PVC spingono un operaio, Gabriele Bortolozzo, ad intraprendere una lunga battaglia contro il petrolchimico di Porto Marghera, per la nocività dei processi produttivi e l’assoluta mancanza di sicurezza in cui i lavoratori sono costretti ad operare.
Bortolozzo, entrato in fabbrica a 22 anni, nel 1956, viene descritto come una persona tranquilla, ma molto decisa nel rivendicare il rispetto della salute degli operai; pertanto, oltre a denunciare con forza le condizioni di lavoro malsane, comincia un’opera di raccolta sistematica di tutto quanto possa servire a dimostrare l’origine professionale di quelle morti, in particolare si procura le cartelle cliniche dei compagni deceduti. Nel contempo, si batte contro la pratica, messa in atto dall’industria, di sversare enormi quantitativi di fanghi chimici tossici nelle acque della laguna.
Nel 1994 presenta alla Procura della Repubblica di Venezia un esposto in cui chiede l’intervento della magistratura perché “ricerchi le responsabilità del crimine che si perpetua da più di vent’anni”. Le esposizioni dei lavoratori al CVM raggiungono, infatti, migliaia di ppm, contro un TLV-Ceiling (v. lezione n. 7, slide 11) proposto, nel 1963, dalla ACGIH di 500 ppm.
La lotta di Bortolozzo e le testimonianze dei protagonisti e dei familiari delle vittime del Petrolchimico sono riprodotte in due significativi documentari: “Un inganno letale” e “Le lacrime amare di Porto Marghera”.
Partendo dall’esposto presentato da Gabriele Bortolozzo, il Sostituto Procuratore Felice Casson avvia delle indagini che lo portano, nell’ottobre 1996, a chiedere il rinvio a giudizio di 28 dirigenti ed ex-dirigenti della Montedison e della Enichem.
L’accusa è di:
In particolare, il PM accusa i dirigenti di aver volutamente sottovalutato gli effetti tossici del CVM, pur conoscendoli dal 1972, e di non aver tutelato adeguatamente la salute dei lavoratori, della popolazione limitrofa e dell’ambiente.
Il processo si apre il 13 marzo 1998, nell’aula bunker di Mestre. Lo Stato si costituisce parte civile, chiedendo un risarcimento di 71 mila miliardi di lire, ma, prima della sentenza, stipula un accordo con la Montedison, in base al quale l’Azienda verserà la somma di 550 miliardi come contributo alle opere di bonifica. A sua volta, Enichem, poco dopo l’inizio del processo, si accorda con una parte dei parenti delle vittime per un risarcimento di circa 70 miliardi di lire, ottenendo, come contropartita, il loro ritiro dal processo stesso.
Il 2 novembre 2001 viene emessa la sentenza. Tutti gli imputati vengono assolti, in quanto, secondo il giudice:
a) tutte le malattie da CVM sono riconducibili all’elevata esposizione subita dagli anni Cinquanta fino ai primi anni Settanta, quando si ignorava la tossicità del CVM, che è stata evidenziata solo nel 1973;
b) dopo quell’anno, Montedison ed Enichem hanno realizzato tempestivamente sugli impianti gli interventi necessari a ridurre l’esposizione dei lavoratori a livelli compatibili con le norme di protezione, che solo allora sono state emanate dal legislatore;
c) il processo ha consentito di accertare che lo stato di inquinamento dei canali, pur sussistente, si riferisce ad epoche in cui non esistevano norme di protezione ambientale, che sono state emanate e rese effettive tra metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Lo stato attuale di contaminazione dei canali e degli organismi in essi viventi, pur essendo rilevante, non è tuttavia tale da costituire, secondo i parametri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, un pericolo reale per la salute pubblica.
Dunque, gli imputati vengono assolti:
Di conseguenza, nessun risarcimento spetta ai parenti delle vittime.
- sette omicidi colposi precedenti, sempre causati da angiosarcoma;
- dodici casi di lesioni colpose per altre neoplasie, epatopatie e sindromi di Raynaud;
- scarichi inquinanti nella laguna;
- omessa collocazione di impianti di aspirazione dal 1974 al 1980.
Gli stessi ex dirigenti sono assolti, perché il fatto non costituisce reato, dall’accusa di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro fino a tutto il 1973.
In ogni caso, i condannati fruiscono della sospensione condizionale della pena.
1. Infortuni e malattie professionali
2. Principali malattie professionali denunciate nel comparto industriale
3. Fattori di rischio fisici: rumore - vibrazioni
4. Fattori di rischio fisici: radiazioni ionizzanti- campi elettromagnetici - videoterminali
5. Rischio biologico - Rischio Chimico e variabili che lo influenzano
6. Agenti chimici pericolosi per la sicurezza e per la salute
8. Agenti cancerogeni. L'amianto
9. Rischio da altri agenti cancerogeni
10. Gestione dell'emergenza - impianti ad alto rischio
11. Sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL)
12. Normativa di riferimento sul sistema sicurezza sul lavoro in Italia
14. Esempi di lavorazioni pericolose: la produzione di pvc
15. Esempi di lavorazioni pericolose: il caso del petrolchimico di Porto Marghera
16. Esempi di lavorazioni pericolose: produzione e applicazione degli asfalti
17. Esempi di lavorazioni pericolose: il trattamento dei rifiuti
18. Esempi di lavorazioni pericolose: cokerie - industria tessile – industria della gomma
Calia C., Porto Marghera - La legge non è uguale per tutti, ed. Becco Giallo, 2007.
Articolo tratto da la Repubblica