La sorgente EI ha due tipi di problemi.
Non si può usare se il composto non è sufficientemente volatile.
Possibili rimedi: derivatizzazione (zuccheri e composti poliossidrilati; acidi carbossilici).
Lo ione molecolare non è visibile se la frammentazione è eccessiva.
Possibili rimedi: Energia di ionizzazione più bassa di 70 eV
Se ci sono questi problemi, è spesso meglio usare un altro tipo di sorgente.
Il campione è sciolto in una matrice (solvente protico e poco volatile: glicerolo, 1-tioglicerolo, alcol 3-nitrobenzilico, trietanolammina).
La soluzione è investita da un flusso di atomi di Xe (o ioni Cs+) ad alta energia cinetica, che provocano la volatilizzazione.
La ionizzazione è dovuta a reazioni acido-base prima e durante questo processo.
Si formano ioni pseudomolecolari [M+H]+ (FAB+) e [M–H]– (FAB–).
Nelle figure sono mostrati due tipici spettri FAB.
Si può osservare che è stato possibile ottenere lo spettro di massa di un peptide, che è assolutamente non volatile e quindi non analizzabile con la sorgente EI.
Si vede anche che lo ione molecolare è sempre ben evidente, ma ci sono anche dei picchi di frammentazione.
L’electrospray (o ESI) è la sorgente al momento più diffusa.
Il campione è sciolto in un solvente volatile protico (miscele di acqua e MeOH, di acqua e acetonitrile, MeOH), con eventuale aggiunta di acidi organici (formico, trifluoroacetico) e/o tamponi.
La soluzione passa per un ago capillare con un forte potenziale positivo (3-4 kV), e forma uno spray di goccioline con eccesso di carica positiva.
La carica positiva delle goccioline è data da un eccesso di ioni H+.
All’interno delle goccioline, le molecole vengono protonate, e nel frattempo il solvente evapora e la densità di carica della gocciolina aumenta.
Alla fine gli ioni vengono espulsi dalla superficie della gocciolina per repulsione elettrostatica.
Se l’ago ha potenziale negativo si formano, in maniera analoga, ioni negativi.
Il processo descritto avviene a pressione atmosferica, quindi all’esterno della zona ad alto vuoto dello spettrometro.
Gli ioni che si formano entrano nello spettrometro attraverso una serie di fenditure fino ad arrivare nella zona a bassa pressione dello spettrometro di massa, dove sono accelerate ed inviate all’analizzatore.
Se la molecola ha molti siti protonabili, la sorgente electrospray genera ioni a carica multipla. Nel caso di peptidi grandi e proteine, si possono ottenere ioni con decine di cariche.
Questo è importante perché abbassa il rapporto m/z degli ioni, permettendo di analizzare ioni anche molto pesanti con analizzatori standard.
Quando si formano ioni a carica multipla, non tutti gli ioni generati hanno lo stesso numero di cariche.
Se il composto ha massa molto grande (come in questo spettro del citocromo C) si formano molti tipi di ioni e lo spettro può presentare molti picchi.
In quest’altro caso una proteina più piccola (il lisozima, MW ≈ 14300) genera solo quattro ioni diversi (in alto).
Ma il numero e tipo di picchi dipende anche dallo spettrometro e dal solvente usati (qui una miscela 1:1 di acetonitrile e di 0.1% HCOOH in H2O). Ecco un altro spettro del lisozima (in basso), piuttosto diverso dal precedente: ma le informazioni che ne ricaviamo sono identiche.
Quando gli ioni prodotti dalla sorgente ESI hanno più di una carica, bisogna conoscere il numero di cariche z per calcolare la massa m dal rapporto m/z misurato.
È ovvio che la carica di due picchi vicini differisce di una unità: quindi, per due picchi contigui, m è lo stesso, mentre z differisce di 1.
Si hanno due equazioni e due incognite (m e z1), si può quindi calcolare m.
L’electrospray è una sorgente adatta alla maggior parte dei composti, dalle piccole molecole organiche (anche non volatili) fino a macromolecole come proteine (purché esse abbiano disponibili molti siti ionizzabili). Solo composti estremamente apolari come gli idrocarburi non sono analizzabili.
La sensibilità dell’electrospray non diminuisce sostanzialmente all’aumentare della massa della sostanza analizzata.
I solventi volatili usati nell’ESI non danno picchi come quelli dati dalla matrice nel FAB, per cui il rumore di fondo è molto basso.
L’electrospray generalmente produce solo ioni pseudomolecolari; in qualche caso è possibile osservare anche ioni frammento, ed in alcuni spettrometri è anche possibile favorire la frammentazione in sorgente agendo sulle condizioni sperimentali.
La presenza di metalli alcalini non è particolarmente fastidiosa per l’analisi di piccole molecole organiche: come nel FAB, si formano ioni [M+Na]+ e [M+K]+. È invece molto dannosa per ioni poliprotonati: infatti se uno o più Na+ sostituiscono gli H+, si formano ioni aggiuntivi che complicano lo spettro e riducono la sensibilità.
MALDI è l’acronimo di Matrix Assisted Laser Desorption Ionization. La ionizzazione della molecola da analizzare è indotta da un brevissimo (dell’ordine dei ns) ma intenso impulso di luce laser ultravioletta.
Per essere efficace, la radiazione ultravioletta deve essere assorbita, per cui il campione è cocristallizzato con una matrice solida che assorbe alla lunghezza d’onda (337 nm) prodotta da un laser ad azoto.
L’impulso è concentrato su una superficie di pochi μm2, e con un microscopio si può scegliere il punto esatto del cristallo su cui mandare l’impulso laser.
Il campione assorbe l’energia dell’impulso laser e la cede alla molecola, che viene così ionizzata e volatilizzata. Si formano ioni pseudomolecolari a singola carica positivi e negativi.
Il MALDI è una tecnica di ionizzazione “soft” e ionizza bene sia piccole molecole che macromolecole senza provocare frammentazione.
Le matrici più usate sono il DHB, l’acido sinapinico e l’HCCA.
Il campione è preparato sciogliendo l’analita e la matrice in un solvente organico volatile.
Una goccia (1 μL o meno) della soluzione è posta su uno dei pozzetti del target (una piastra di acciaio) e lasciata evaporare.
La matrice cristallizza formando una soluzione solida con l’analita.
La sorgente MALDI è quindi una sorgente ad impulsi, cioè non genera un flusso continuo di ioni, ma una grande quantità di ioni tutti in una volta.
Una sorgente del genere non può essere usata con analizzatori come quello magnetico, che funzionano da filtri, perché questo richiedono un flusso continuo di ioni.
Si una invece un altro tipo di analizzatore, l’analizzatore a tempo di volo (detto anche TOF = time of flight), che sarà descritto nella prossima lezione.
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