Sezione I. Sommario:
I fini cui l’azione amministrativa deve tendere sono individuati dalla legge e si connotano per la loro dimensione pubblicistica. Per la realizzazione di tali fini, la legge attribuisce alla p.a. dei poteri: il complesso dei poteri riconosciuti in capo ad una p.a. costituisce l’attribuzione della p.a. medesima, mentre la distribuzione di tali poteri all’interno dell’ente che si considera attiene alla competenza dei suoi diversi organi.
Le attribuzioni attengono solo all’attività (e quindi ai poteri) di diritto pubblico (o attività autoritativa): nondimeno, anche quando ha luogo attraverso l’impiego di strumenti mutuati dal diritto privato, l’azione amministrativa è funzionalizzata alla realizzazione di un certo interesse pubblico.
La necessità di ripartire le competenze tra i vari organi risponde a due finalità:
L’organo costituisce lo strumento della capacità di agire dell’ente. Diversamente da quanto accade nei rapporti di diritto privato (in particolare con l’istituto della rappresentanza), nel rapporto organico vi è immedesimazione e gli effetti dell’atto posto in essere dall’organo vengono immediatamente riferiti all’ente di appartenenza: e così, quando il Sindaco emana un atto, esso è atto del Comune (cioè dell’ente di cui il Sindaco è organo).
L’organo può avere natura individuale o collegiale. In quest’ultimo caso, il funzionamento dell’organo è subordinato al raggiungimento del c.d. quorum strutturale, che solitamente è fissato nella metà più uno dei componenti dell’organo, ma che in certi casi è più elevato (come nel caso dei collegi perfetti – es.: le commissioni dei concorsi universitari – dove si richiede la presenza di tutti i componenti del collegio); raggiunto il quorum strutturale la volontà dell’organo collegiale si forma attraverso il voto espresso dai presenti.
Gli uffici, invece, sono articolazioni organizzative che hanno la funzione di preparare l’attività a rilevanza esterna propria degli organi e che quindi svolgono compiti di rilevanza meramente interna.
Accanto al rapporto d’ufficio, che rimanda a quello organico, va individuato il rapporto di servizio, che rimanda invece ad un vero e proprio rapporto di lavoro (onorario o retribuito), con la conseguenza che il rapporto che lega il funzionario alla p.a. è un rapporto complesso, nel quale convivono i due aspetti appena ricordati.
Per quanto attiene ai rapporti tra Ministri e dirigenti, la disciplina in vigore è ispirata, piuttosto che al criterio della gerarchia, ad un criterio di natura funzionale. E così il Ministro indirizza (ex ante) e controlla (durante ed ex post) l’attività, il dirigente opera le scelte gestionali. Si è così attuata una separazione di competenze tra il vertice politico e quello dirigenziale.
La questione ha dato luogo a numerosi pronunciamenti della Corte Costituzionale (problema del c.d. spoil system).
Sono particolarmente significative al riguardo le decisioni nn. 103 e 104 del 23 marzo 2007, la n. 161 del 20 maggio 2008, la n. 351 del 24 ottobre 2008, la n. 390 del 28 novembre 2008.
La Corte Costituzionale ha sanzionato con l’illegittimità le varie disposizioni di legge – statali e regionali – che prevedevano meccanismi di cessazione automatica dagli incarichi dirigenziali in caso di “avvicendamento politico”. Simili disposizioni – quando non si tratti di posizioni dirigenziali di vertice – risultano contrastare con il principio di continuità dell’azione amministrativa “che è strettamente correlato a quello di buon andamento dell’azione stessa” (Corte Cost., 23 marzo 2007, n. 103). La revoca delle funzioni legittimamente conferite ad un dirigente può essere conseguenza soltanto di una accertata responsabilità dirigenziale in presenza di determinati presupposti e all’esito di un procedimento di garanzia puntualmente disciplinato (Corte Cost., 9 maggio 2002, n. 193). È imprescindibile quindi “un momento procedimentale di confronto dialettico tra le parti, nell’ambito del quale, da un lato, l’amministrazione esterni le ragioni – connesse alle pregresse modalità di svolgimento del rapporto anche in relazione agli obiettivi programmati dalla nuova compagine governativa – per le quali ritenga di non consentirne la prosecuzione sino alla scadenza contrattualmente prevista; dall’altro, al dirigente sia assicurata la possibilità di far valere il diritto di difesa, prospettando i risultati delle proprie prestazioni e delle competenze organizzative esercitate per il raggiungimento degli obiettivi posti dall’organo politico e individuati, appunto, nel contratto a suo tempo stipulato” (così, ancora, Corte Cost., 23 marzo 2007, n. 103).
Sezione II. Sommario:
Il dibattito sugli elementi che denotano la natura pubblicistica di un ente è ancora aperto. Si individuano tre criteri:
Il primo criterio non è oggi utilmente spendibile, posto che la cura di interessi pubblici non è più affidata in via esclusiva allo Stato (o agli enti locali). Ad esempio, per estendere l’ambito di applicazione delle regole sull’evidenza pubblica, il diritto comunitario ha elaborato la nozione di organismo di diritto pubblico, ricomprendente soggetti che, anche se non pubblicistici in senso stretto, presentano le seguenti caratteristiche: 1) personalità giuridica;
2) l’influenza dominante dello Stato o di enti pubblici locali (magari attraverso il finanziamento)
3) il perseguimento di fini non commerciali, ossia di interesse generale
Anche il secondo criterio prima richiamato (quello relativo al regime dei controlli) non è utile ad una esatta delimitazione della nozione di ente pubblico, posto che per alcuni enti che sono sicuramente pubblici il sistema dei controlli è stato soppresso (come nel caso degli enti locali). L’ultimo criterio (relativo all’utilizzazione di risorse pubbliche), infine, non tiene conto del fatto che in alcuni casi anche soggetti privati godono di forme di finanziamento pubblico (come nel caso degli organismi di diritto pubblico).
Vista la scarsa affidabilità dei criteri prima richiamati, il problema della natura pubblicistica o meno di un certo ente deve trovare soluzione innanzitutto nella legge; quando non soccorre la definizione normativa, la giurisprudenza ha richiesto la concorrenza e l’aggiornamento dei criteri sopra indicati, che andranno quindi considerati congiuntamente e non singolarmente.
Così, la qualificazione di un ente come pubblico implica la contemporanea presenza dei seguenti elementi:
Gli enti pubblici economici sono qualificati – spesso dalla legge – come pubblici e nondimeno svolgono un’attività di tipo imprenditoriale.
Tale fenomeno è in una fase di forte recessione atteso il progressivo sviluppo di un processo di privatizzazione.
Lo Stato non governa più l’economia, ma si ritaglia piuttosto un ruolo di regolazione della stessa, quanto meno nei suoi settori nevralgici. In questa logica va inquadrata l’istituzione delle Autorità Amministrative Indipendenti, come l’AGCM, la Consob, l’Isvap, ecc..
Le funzioni delle A.A.I. (pur nell’eterogeneità delle diverse normative) sono così sintetizzabili:
1. I soggetti e l'oggetto del diritto amministrativo
5. I principi ed il responsabile del procedimento. La comunicazione di avvio al procedimento.
6. La partecipazione al procedimento amministrativo
8. Le diverse tipologie di provvedimento
9. La patologia del provvedimento amministrativo
11. Le procedure di evidenza pubblica
12. La giustizia amministrativa. Evoluzione storica e principi basilari