Seminario della Dott. Raffaella Miranda
Definizione: modalità particolare di comunicazione con caratteristiche peculiari che la distinguono nettamente dalle altre forme di manifestazione del pensiero. È una comunicazione con finalità lucrative alla quale ricorrono tendenzialmente le imprese (o comunque i soggetti economici).
Da ciò derivano due ordini di problematiche:
Quanto al limite qualitativo, va detto che il contenuto della pubblicità varia in ragione della sua funzione.
Il messaggio pubblicitario è connotato da:
Con lo strumento pubblicitario l’imprenditore esercita il suo diritto di iniziativa economica; ciò deve avvenire nel pieno rispetto delle regole di concorrenza leale:
Conclusione: la pubblicità deve essere:
I soggetti titolari di contrapposti interessi rispetto all’impresa ricorrente al messaggio pubblicitario:
La pubblicità ingannevole è un caso di pubblicità in cui le regole prima ricordate non sono rispettate. La pubblicità ingannevole è l’alterazione fra ciò che è reale e ciò che viene rappresentato come tale dallo strumento pubblicitario.
Disciplina non organica
Direttiva comunitaria 84/450/CEE
D.lgs. 74/92 di attuazione della Direttiva suddetta.
Codice del consumo, D.lgs. 206/2000.
C.A.P., Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, adottato per la prima volta nel 1966.
Definizione normativa
L’art. 20, co. 1, lett. b) Cod. Cons.: “qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente”.
La pubblicità ingannevole è dunque un atto contrario alla correttezza professionale.
Essa è tale quando induce in errore il consumatore, influenzandone le decisioni mediante informazioni false o il mancato apporto di informazioni rilevanti.
In caso di pubblicità ingannevole è necessario decidere, se essa abbia causato o meno un danno al consumatore.
La tutela è prevista anche per la concorrenza tra imprese.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (A.G.C.M.) è competente a decidere se ricorre o no un caso di pubblicità ingannevole e, in caso di valutazione positiva, a intervenire per far cessare l’illecito accertato. Secondo il C.A.P., invece, la competenza spetterebbe al Comitato di Controllo e al Giurì, entrambi interpellabili da chiunque vi abbia interesse. Contro le decisioni del Giurì non è però previsto appello.
Prima conclusione: più autorità sarebbero parimenti competenti
In caso di pendenza della controversia di fronte all’A.G.C.M., l’art. 27 Cod. Cons. dispone che ogni interessato possa chiedere all’Autorità garante la sospensione del procedimento in attesa della pronuncia del Giurì. La norma esprime un favor per l’autodisciplina in linea con gli orientamenti comunitari.
Altra conclusione: si potrebbe sostenere la tesi di un concorso apparente di autorità
data la diversità di parametro valutativo tra l’Antitrust e Giurì, nonché di natura delle sanzioni. In altri termini, saremmo dinanzi a un concorso di ordinamenti diversi, uno autoritativo-statuale, vincolato a un parametro valutativo di diritto positivo, riferibile all’Antitrust; l’altro privato, autoreferenziale, espressione di autogoverno di settore, riferibile al Giurì, coordinati dal legislatore per evitare dannose sovrapposizioni (In questa chiave si legga la disposizione richiamata sulla sospensione della procedura dinanzi all’Antitrust in caso di avvio del procedimento in autodisciplina)*.
[*] Sui problemi delle relazioni inter-ordinamentali, del carattere poroso dell’ordinamento statuale permeabile ai sottosistemi minori, e del ruolo di architetto di sistema di quest’ultimo, si veda G. De Minico, Regole. Comando e consenso, Torino, 2005, in part. sull’autoregolazione.
Le caratteristiche degli spot sono tali da richiedere, spesso, capacità critiche e logiche già mature. L’influenza che esercitano i messaggi pubblicitari è tanto maggiore quanto meno sviluppata è la personalità dei soggetti ai quali essi si rivolgono, o che possono comunque vederli, pur non essendo i diretti destinatari.
Sono stati evidenziate sei categorie di effetti che possono rivelarsi dannosi per i minori in caso di pubblicità radiotelevisiva:
[1] F. Cafaggi, D. lgs. 25 gennaio 1992 n. 74. Attuazione della direttiva n. 450/84/CEE in materia di pubblicità ingannevole. Commento all’art. 6, in Le nuove leggi civili commentate, 1993, pp. 746 e ss.
Anche qui c’è sovrapposizione di normative:
L’A.G.C.M. ritenne nel caso Benetton/Kirby [1] il messaggio nocivo della sicurezza psichica del minore; in esso veniva raffigurato un malato terminale di AIDS (David Kirby), assistito dai propri familiari sul letto di morte, con in calce il nome della marca di abbigliamento. L’A.G.C.M. pertanto ne vietò l’ulteriore diffusione, perchè la crudeltà delle immagini proposte – l’esibizione in modo diretto e inequivoco di una scena drammatica di tragedia familiare – violava l’intimità e la riservatezza delle persone gravemente malate, inducendo nei soggetti indifesi sentimenti di turbamento idonei a minacciare la sicurezza psichica di questi ultimi.
[1] Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Provvedimento n. 1752, Benetton/Kirby, 27 gennaio 1994, in www.agcm.it
Più frequenti sono stati i casi in cui un messaggio pubblicitario abbia minacciato in modo diretto la sicurezza fisica o psichica dei più piccoli.
Nello spot televisivo Martini una donna scambiava sguardi di intesa con un uomo, sfilava la fede dal dito e la ingeriva bevendo un bicchiere della bevanda pubblicizzata. E, subito dopo, lo spot inquadrava il collo della donna mentre deglutiva l’anello. L’A.G.C.M. vietò l’ulteriore diffusione del messaggio in quanto la scena dell’ingerimento era idonea a stimolare nei minori comportamenti emulativi, rischiosi per la loro sicurezza fisica [1].
[1] Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Provvedimento n. 3795, Martini, 11 aprile 1996, in www.agcm.it
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