Definizione: consiste nel potere delle parti di introdurre nel giudizio già instaurato motivi di ricorso ulteriori rispetto a quelli già proposti in conseguenza della conoscenza di atti ulteriori rispetto a quelli noti dalla parte.
Limite: a pena di inammissibilità, gli atti devono essere conosciuti esclusivamente dopo la proposizione del ricorso, siano stati prodotti o meno dopo il ricorso.
Il potere di proposizione di motivi aggiunti rappresenta un temperamento di carattere eccezionale al principio della determinazione del thema decidendum sulla base esclusiva dei motivi notificati entro gli ordinari termini impugnatori.
Mentre la proponibilità di motivi aggiunti riferiti ad atti adottati dalla P.A. antecedentemente all’atto impugnato ma incolpevolmente conosciuti dopo è stata sempre pacificamente ammessa, i problemi maggiori venivano posti da quegli atti adottati dalla P.A. dopo il provvedimento impugnato; per questi, la giurisprudenza pretendeva un autonomo ricorso da notificarsi presso domicili e sedi originari delle parti, con esclusione dei domicili eletti per il giudizio.
L’art. 1, legge n. 205/2000, poi recepito dall’art. 43 del Codice proc. Amm. ha conferito alle parti il potere di presentare ricorso per motivi aggiunti all’interno dello stesso giudizio pendente tra le parti, evitando, così, di dover presentare un nuovo ed autonomo ricorso da riunirsi, eventualmente, a quello incardinato.
Le parti possono (non devono) presentare motivi aggiunti nello stesso giudizio già instaurato, salvo che non si tratti di controversie in materia di contratti pubblici, ove è richiesto obbligatoriamente la forma del motivo aggiunto.
I motivi aggiunti vanno notificati al domicilio eletto dalle parti; non occorre una nuova procura al difensore già costituito nel giudizio originario (art. 24 Cod. proc. Amm., che ha recepito la giurisprudenza amministrativa prevalente).
Art. 43, Codice proc. amm. (d. lgs. n. 104/2010)
Normativa pregressa: art. 21, legge n. 1034/1971, come modif. dall’art. 1, legge 205/2000
Funzione dell’istituto: concentrazione in un unico giudizio dell’impugnazione di atti autonomi ma connessi.
Caratteri: integrazione della causa petendi della domanda originaria (mediante deduzione di “nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte”) ovvero introduzione di un nuovo petitum (mediante formulazione di “domande nuove purchè connesse a quelle già proposte”).
Novità del Codice proc. amm.:
Nelle materie descritte dall’art. 23-bis, comma 1, legge 1034/1971 (vigente fino all’entrata in vigore del Codice), il successivo comma 2 disponeva il dimezzamento dei termini processuali “salvo quelli per la proposizione del ricorso”.
Problema interpretativo conseguente: il dimidiamento dei termini processuali si applica anche al ricorso per motivi aggiunti? La dottrina maggioritaria interpretava in modo restrittivo la disposizione, propendendo per il dimezzamento dei termini processuali anche al ricorso per motivi aggiunti.
L’ottica acceleratoria che permeava l’intera l. 205 – si riteneva – imponeva di interpretare l’eccezione del dimezzamento dei termini secondo canoni di rigida tassatività; non essendo contemplata la proposizione di motivi aggiunti tra le eccezioni, se ne deduceva l’applicabilità del dimidiamento dei termini anche al ricorso per motivi aggiunti.
In presenza di tre orientamenti giurisprudenziali (applicazione del dimidiamento dei termini anche al ricorso per motivi aggiunti; applicazione termini ordinari al ricorso per motivi aggiunti; orientamento intermedio: distinzione tra motivi aggiunti per sviluppare nuove censure relative ad atti non nuovi con necessario dimidiamento termini e motivi aggiunti con cui si impugnano atti nuovi ed ulteriori, comportante l’assimilazione ad un nuovo ricorso e, quindi, dimidiamento termini), la questione fu portata all’esame della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Con sentenza n. 2155/2010, accogliendo l’orientamento che escludeva l’applicabilità del dimidiamento dei termini al ricorso per motivi aggiunti, l’Adunanza plenaria ha così motivato: “La ratio alla base della scelta normativa di non estendere il dimezzamento al termine di notifica dell’atto introduttivo del giudizio riposa nell’esigenza di garantire il pieno esercizio del diritto costituzionalmente garantito di difesa, che sarebbe risultato eccessivamente compresso per effetto dell’abbreviazione anche del termine de quo.
“Tale esigenza, pacificamente riconosciuta valida anche per il ricorso incidentale, invero risulta sussistere anche nell’ipotesi in cui il ricorrente debba articolare nuove censure in corso di causa attraverso lo strumento dei motivi aggiunti, non potendo attribuirsi rilevanza decisiva – come avviene, invece, in alcune pronunce favorevoli al dimezzamento – alla diversità di situazioni consistente nel fatto che in questa ipotesi, a differenza di quella in cui si debba proporre il ricorso introduttivo, il ricorrente ha certamente già conferito il mandato a un difensore, e pertanto i tempi necessari per l’esercizio del diritto di difesa dovrebbero essere considerati “al netto” del tempo necessario alla ricerca di un difensore ed all’instaurazione del rapporto professionale con lo stesso” (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 2155/2010).
Oggi, come visto, l’art. 43 del Codice ha confermato l’indirizzo della Plenaria consentendo la proposizione dei motivi aggiunti nel termine ordinario di sessanta giorni (salvo le disposizioni relative ai riti speciali).