Gli anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione furono caratterizzati dalla compresenza di due ordinamenti in conflitto: le norme costituzionali e il codice Rocco, che provocarono la rottura dell’unità di sintesi tra processo e giudizio. All’interno di questa spaccatura nacque l’interesse politico del giurista e l’interesse politico del giudice, entrambi coinvolti in questioni retrostanti al diritto per risolvere i problemi connessi alla scollatura tra principi costituzionali e modello inquisitorio, nonché tra una società in trasformazione e una Costituzione che aveva consacrato lo strumento per la rivoluzione sociale: la democrazia.
Le norme costituzionali imponevano l’emanazione immediata di leggi ordinarie, volte a rendere il modello processuale compatibile con la Costituzione. Ma l’inerzia dei parlamentari e del governo investì il giudice del ruolo supplente nella scelta tra forma e valori. Il fattore di crisi era nella legge perché mortificava i diritti inviolabili della persona.
In nome di una legalità sostanziale il giudice si fece carico della tutela della persona, della sua dignità e delle sue libertà. In sintesi, se il giudice avesse fatto prevalere la sua componente neutrale avrebbe dovuto applicare la legge così come era, cioè contraria alla Costituzione; se, invece, avesse accolto le istanze della realtà sociale, avrebbe dovuto attenersi ai principi della prima e rifiutarsi di applicare le norme incompatibili con essa.
In questo contesto storico soltanto apparentemente sembrò che prevalesse la componente costituzionale dell’essere la funzione giurisdizionale amministrata in nome del popolo – il giudice raccorda le istanze sociali alla legge – rispetto alla componente di garanzia della legalità, sancita nel comma 2 dell’art. 101 Cost. Dico apparentemente perché la Costituzione – tra le leggi – è fonte normativa primaria; perciò a prevalere fu il principio di legalità costituzionale.
Oggi, a fronte di un modello processuale accusatorio che nella direttiva n. 2 della legge delega prevede che «il codice di procedura penale deve attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali, ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale», per un momento si è coltivata l’illusione del periodo d’oro della pacifica legalità di cui parlava Calamandrei: il periodo della netta separazione della giustizia dalla politica, in cui il giudice può essere un “logico” in quanto il diritto che deve applicare è accettato dalla coscienza sociale.
Epperò, le aspettative legate all’entrata in vigore del codice di procedura penale nel 1989 sono state deluse dal verificarsi delle condizioni, che hanno imposto, ancora una volta, all’organo della giurisdizione il raffronto tra ciò che vige come diritto e quello che si auspicherebbe fosse il diritto. E se ieri il punto di crisi era facilmente individuabile nell’evidente antinomia ideologica tra Costituzione e codice di rito, oggi non si riesce a circoscrivere la frattura, perché questa volta essa è capillare e coinvolge elementi congiunturali eterogenei, che si riverberano sull’esercizio della funzione giurisdizionale.
Soltanto come antologia storica degli avvenimenti si richiama l’attenzione sull’intervento della Corte costituzionale del 1992 che apre la stagione involutiva e attenta all’ideologia accusatoria in nome del principio di non dispersione della prova, indebolendo la disomogeneità fasica del processo.
Corte cost. sent. 31 gennaio del 1992 n.24
Corte cost. sent. 3 giugno 1992 n.254
Corte cost. sent. 3 giugno 1992 n.255
Corte cost. sent. 24 febbraio 1995 n.60
Ad essa risponde il legislatore nel 1997 – con la l. n. 267 – che, modificando l’art. 513 c.p.p., limita l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dai coimputati durante le indagini preliminari al fine di recuperare il contraddittorio come metodo di formazione della prova. Ma la Corte nel 1998 con la sentenza n. 361 ne dichiara l’illegittimità costituzionale sottolineando l’impossibilità di escludere a priori l’acquisizione in dibattimento di elementi di prova raccolti nelle indagini preliminari o nell’udienza preliminare. Ed è questa la pronuncia che provoca la revisione dell’art. 111 Cost.
Le nuove coordinate del giusto processo, l’ampliamento delle fonti normative, nonché la molteplicità di altri fattori e di talune vicende politico-giudiziarie evidenziano il bisogno dell’opera di recupero della specificità del processo accusatorio e lo sradicamento di prassi giurisprudenziali “devianti” dovute all’acquisita supremazia del magistrato rispetto alla legge.
Tuttavia, l’inquinamento del rapporto tra legge e giudice, diversamente dall’esperienza giuridica previgente, oggi è stato determinato, talvolta, da ragioni positive perché l’organo della giurisdizione ha rivolto lo sguardo verso esigenze procedurali ancora non previste, ma necessarie al giusto processo ed implicate dal confronto con il diritto comunitario; talaltra, si è tradotto nella violazione di itinerari normativi, provocando la rottura con l’ordinamento nel suo complesso a causa dell’abnormità dei provvedimenti.
Su questo humus è germogliata la nuova crisi della legalità processuale, a fronte del carattere predominante della legalità del diritto sostanziale (art.25 comma 2 Cost.); come se il dovere di punire e reprimere la condotta criminosa dovesse necessariamente prevalere, anche sacrificando l’osservanza delle norme procedurali.
In ragione di questa complessità, per modificare tali disfunzioni e risolvere per certi versi il parossismo della funzione giurisdizionale, espungendo la crisi dalla prassi, non è sufficiente il ricorso a forme di responsabilità del giudice, ma occorre risalire alla pluralità delle cause. Soltanto in questa direzione si potrà tentare il recupero della legalità processuale come referente e modello di sistema.
Ristabilire – oggi – l’identità del processo accusatorio significa trovare il punto di equilibrio tra modello, giusto processo e tutela dei diritti inviolabili dell’uomo. Le istanze sociali, questa volta, non chiedono, né si accontentano del ruolo politico del giudice, ma pretendono l’assunzione di precise responsabilità da parte del legislatore nel ripristino della forza delle norme perché soltanto ad essa va affidata la tutela dei diritti del cittadino, che, se violati, feriscono la persona e, attraverso di essa, la collettività.
1. Democrazia, legalità e processo
3. Il conflitto tra le due Corti
4. Il principio di legalità processuale
8. L'incompatibilità del giudice per gli atti compiuti nel procedimento
9. L'opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione
10. La difformità della richiesta di rinvio a giudizio dal modello legale
11. Le vicende dell'imputazione
12. Il principio di correlazione tra l'accusa contestata e la sentenza
13. La nullità della sentenza per difetto di contestazione
14. L'invalidità della domanda di accesso ai riti alternativi
15. Il ricorso immediato della persona offesa e l'inerzia del pubblico ministero
P. Nuvolone, Legalità, giustizia e difesa sociale esigenze fondamentali del processo penale moderno, cit., p. 982.
G. Tarello, Atteggiamenti culturali sulla funzione del giurista-interprete, in Diritto, enunciati, usi, cit., p. 488.
P. Calamandrei, La crisi della giustizia, in Opere giuridiche, vol. I, Napoli, 1965, p. 579.
G. Tarello, Atteggiamenti culturali sulla funzione del giurista-interprete, in Diritto, enunciati, usi, Bologna, 1974,
p. 488 ss.
P. Nuvolone, Legalità, giustizia e difesa sociale esigenze fondamentali del processo penale moderno, in Riv. it. dir. proc. pen., 1964, p. 982.
G. Riccio, Politica penale dell'emergenza e Costituzione, Napoli, 1982, p. 13-14.
G. Riccio, Ideologie e modelli del processo penale, Napoli, 1995, p. 8-9.
U. Scarpelli, L'educazione del giurista, in Riv. dir. proc., 1968, p. 1
R. Treves, Gustizia e giudici nella società italiana, Bari, 1972
L. Caiani, I giudizi di valore nell'interpretazione giuridica, Padova, 1954.
G. Neppi Modona, Una «scuola» dimenticata: il socialismo giuridico nel diritto penale, in Giustizia e Costituzione, 1971, n. 4, p. 29 ss.
N. Bobbio, Quale giustizia, quale legge, quale giudice, in Quale giustizia, 1971, p. 273.
P. Calamandrei, La funzione della giurisprudenza, in Opere giuridiche, cit., p. 616.
Occhiocupo, La Corte costituzionale come giudice di «opportunità» delle leggi , in La Corte costituzionale tra norma giuridica e realtà sociale. Bilancio di vent'anni di attività, Bologna 1978, p. 18.
C. Iasevoli, Le cause della crisi della legalità, in La nullità nel sistema processuale penale, Padova, 2008, p. 37.
Corte cost. sent. 2 novembre 1998 n.361
Corte cost. sent. 24 febbraio 1995 n.60
Corte cost. sent. 3 giugno 1992 n.254
1. Democrazia, legalità e processo
4. Il principio di legalità processuale
I podcast del corso sono disponibili anche su iTunesU e tramite Feed RSS.