Sulle patologie dell’atto introduttivo dell’udienza preliminare la Cassazione ha assunto un atteggiamento ambivalente, prospettando itinerari esegetici divergenti. Il primo secondo cui sarebbe abnorme l’ordinanza del giudice dichiarativa della nullità della richiesta di rinvio a giudizio e/o restitutoria degli atti al pubblico ministero senza “contraddittorio” in quanto determinerebbe un’indebita regressione del procedimento in violazione del principio di irretrattabilità dell’azione penale. Viceversa, il secondo nega l’abnormità di tale provvedimento, ritenendo che competa funzionalmente al giudice verificare l’adempimento, da parte del pubblico ministero, dell’obbligo di procedere all’enunciazione in forma chiara e precisa dell’imputazione, sicchè l’esercizio del potere giudiziale non può ritenersi extra ordinem, sebbene talora non corretto per le forme adottate.
E lungo questo orizzonte speculativo si colloca anche l’orientamento della Corte costituzionale secondo cui al giudice dell’udienza preliminare non è preclusa la possibilità di sollecitare il pubblico ministero a procedere alle necessarie integrazioni e precisazioni dell’imputazione inadeguata, sia pure attraverso un provvedimento di trasmissione degli atti, che intervenga dopo la chiusura della discussione.
Su queste premesse il punto di approdo delle Sezioni unite costituisce il risultato di un’indagine esplorativa che ha condotto le stesse a privilegiare la tesi dell’abnormità del provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare dichiari la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per la genericità o l’indeterminatezza dell’imputazione. Ritengo che il fondamento di questo assunto sia da ricercarsi nella premessa del ragionamento secondo cui l’inosservanza del modello legale ex art. 417 c.p.p. non si traduce nella violazione delle regole concernenti l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale ex art. 178 lett. b) c.p.p.
Da qui l’interrogativo se l’omessa previsione della sanzione, nel contesto della prescrizione dei requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio, si spieghi nell’ottica di una logica complessiva della disciplina dell’udienza preliminare oppure se essa effettivamente integri una lacuna normativa. E, tralasciando i profili etimologici dell’espressione “requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio”, si coglie la duplice valenza di questa norma: essa predispone il modulo tipico per l’ordinario esercizio dell’azione e, al contempo, rappresenta la regola di comportamento per il pubblico ministero.
Ciò nonostante il legislatore non ha avvertito il bisogno di sanzionare espressamente le patologie dell’atto, neanche cogliendo l’occasione offerta dall’interpolazione novellistica dell’espressione in forma chiara e precisa nel testo dell’art. 417 lett.b) c.p.p., pur avendo previsto il rimedio della nullità del decreto di rinvio a giudizio, nel momento stesso in cui evidenziava la centralità dell’atto imputativo nell’ambito della fenomenologia processuale.
Ora, se all’interno dell’elencazione tassativa dei requisiti tipici della richiesta è possibile distinguere tra elementi formali e sostanziali, la funzione di controllo del giudice dell’udienza preliminare si muove in termini di inammissibilità e non di nullità dell’atto introduttivo, in particolare, la fonte attributiva del controllo formale è da rinvenirsi nell’art. 127 comma 9 c.p.p. secondo cui l’inammissibilità dell’atto introduttivo del procedimento è dichiarata dal giudice con ordinanza, anche senza formalità di procedura. Anche se mancasse una norma dello stesso tenore, la legittimità della declaratoria d’inammissibilità della richiesta potrebbe affermarsi sul rilievo che questa specie di invalidità si riferisce alle domande di parte e che la sua tipicità si valuta rispetto alle situazioni e non alla previsione legislativa, non trattandosi di un sistema a fattispecie chiuse.
La funzione di controllo del giudice sulla formulazione dell’imputazione riveste connotati peculiari, poiché lo svolgimento dell’udienza preliminare consente quelle verifiche affinchè l’accusa assuma connotati sempre più definiti, sebbene l’art. 417 lett. b) c.p.p. imponga la presenza dei requisiti della chiarezza e della precisione, già al momento di presentazione della richiesta di rinvio a giudizio. Invero, le ragioni determinanti l’omessa previsione della sanzione rispetto ai vizi dell’imputazione appaiono legate alla consapevolezza che quest’ultima – come requisito dell’atto introduttivo – è espressione della determinazione del pubblico ministero avente ad oggetto il primo stadio di solidificazione della storicità del fatto e della sua veste formale e, pertanto, si muove in una dimensione unilaterale, che è quella dell’azione.
Il provvedimento conclusivo dell’udienza, nella forma del decreto di rinvio a giudizio, non è lo strumento offerto al giudice per il controllo sulla domanda, ma è il risultato dell’espletamento di quel controllo; l’imputazione – come requisito del decreto – è stata già filtrata dal confronto dialettico davanti al giudice terzo ed imparziale, perciò, essa assume rilevanza in una prospettiva tridimensionale e, quindi, non più unilaterale. Si vuole dire che avendo superato il momento della verifica, essa si colora di una duplice configurazione: se già rappresentava l’esercizio dell’azione, ora, è divenuta thema probandum et decidendum, proiettandosi verso il giudizio.
Un dato normativo sul quale riflettere è costituito dalla prescrizione della nullità della richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416 comma 1 c.p.p. sia per l’omissione dell’invito a presentarsi per rendere interrogatorio (art. 375 comma 3 c.p.p.) sia per l’omissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari (art. 415 bis c.p.p.). Ma qui la norma istituisce una relazione di strumentalità tra i due atti e la richiesta – interna quanto all’elevazione dei primi a presupposto della seconda ed esterna quanto alla loro antecedenza logica nella successione della progressione processuale – che garantisce col rimedio della nullità speciale perché l’ipotesi si coniuga all’inosservanza di un atto dovuto in precedenza non alla struttura della richiesta: nullità e non inammissibilità per l’evidente forza garantista della prima e perché vizio di un comportamento necessitato di un soggetto pubblico, inficiante l’esercizio del diritto di difesa.
In relazione alla fattispecie di cui all’art. 416 comma 2 c.p.p. la diversa configurazione del sindacato giurisdizionale dipende dall’identificazione del regime di rilevabilità e/o di deducibilità del vizio. Sul punto l’idea prevalente nell’elaborazione giurisprudenziale riconduce la patologia alla nullità a regime intermedio ai sensi dell’art. 180 c.p.p., così riconoscendo al giudice il potere di rilevare il vizio ex officio, fino alla deliberazione della sentenza di primo grado.
La tesi, quindi, disconosce il carattere abnorme dell’ordinanza dichiarativa della nullità dell’atto introduttivo, poiché la regressione sarebbe uno degli effetti previsti dall’art. 185 comma 3 c.p.p. Inoltre, il pubblico ministero avrebbe la facoltà di esercitare nuovamente l’azione penale, previa la rinnovazione dell’atto dichiarato nullo, cioè, dopo aver inoltrato l’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p.
Ora, ammesso che il regime intermedio, individuato attraverso l’impropria commistione tra nullità speciale e nullità di ordine generale, contempli il potere del giudice di rilevare il vizio, questi non potrebbe farlo de plano, cioè fuori udienza e senza ascoltare le parti, perché la nullità a regime intermedio non è rilevabile – diversamente da quella assoluta – in ogni “stato”, cioè anche nel corso di un momento interinale che intercorre tra l’atto di instaurazione dell’udienza e il suo svolgimento. Anche se non manca chi riconosce al giudice il potere di dichiarare d’ufficio la nullità della richiesta di rinvio a giudizio senza fissare l’udienza preliminare. La questione ha riverberi importanti sotto il profilo dell’attuazione delle garanzie, non a caso la giurisprudenza ritorna a definirne gli ambiti, escludendo fuorvianti assimilazioni tra la patologia e la fattispecie di omessa citazione dell’imputato, di obbligatoria presenza del difensore, di errore nell’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale.
Perciò il bisogno di una chiave di lettura quanto più possibile aderente alla filosofia razionale che ha ispirato la struttura portante del sistema della nullità. In primo luogo va osservato che all’interno del genus si distingue tra nullità speciali e nullità di ordine generale; e se alla prima tipologia appartengono le fattispecie che sanzionano espressamente l’inosservanza di talune disposizioni stabilite per gli atti del procedimento (art. 177 c.p.p.), alla seconda si riportano, invece, le fattispecie di ordine generale, la cui operatività s’innesta rispetto a quelle situazioni in cui non è previsto il rimedio.
Si tratta di classificazioni tra loro alternative, dal momento che i contesti di applicabilità si originano l’uno, da una chiara presa di posizione normativa, l’altro, da un atteggiamento silente del legislatore. Alla categoria di appartenenza corrisponde un distinto regime di deducibilità e rilevabilità del vizio e l’ontologia della differenziazione è da rinvenirsi nella progressiva misurazione della gravità dell’inosservanza. Insomma, per risalire al regime della nullità speciale non si possono scomodare le categorie di ordine generale perché nell’ambito della disciplina s’individuano percorsi autonomi di applicabilità del rimedio.
A fronte del dato che la nullità sia espressamente comminata, discendono due conseguenze: a) la classificazione della nullità come speciale; b) la collocazione della stessa nell’ambito dell’itinerario prescritto dal combinato disposto degli artt. 181 e dell’art. 179 comma 2 c.p.p. Ora, l’apparente distonia nel medesimo versante normativo tra l’espressa previsione della sanzione e l’omessa specificazione del regime va spiegata nell’ottica di una chiara scelta di politica legislativa, dal momento che esso risulta essere scritto nel corpus di norme che la disciplinano. Il regime relativo costituisce la regola generale per le nullità speciali, che soltanto eccezionalmente possono essere insanabili e rilevate d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, cioè, quando il legislatore oltre a specificarne il genus, contestualmente ne definisce il carattere assoluto (es. art. 525 comma 2 c.p.p.).
Dunque, l’ipotesi di omissione degli atti strumentali alla richiesta di rinvio a giudizio (art. 416 comma 1 c.p.p.) integra una nullità speciale e, perciò, relativa, che può essere dichiarata soltanto su eccezione di parte, sollevata prima del decreto che dispone il giudizio o della sentenza di non luogo a procedere, ovvero nel caso in cui non si proceda con udienza preliminare, nel termine stabilito dall’art. 491 c.p.p., restando altrimenti definitivamente preclusa. In sintesi, la situazione invalidante di cui all’art. 416 comma 1 c.p.p. esula dalla funzione di controllo del giudice dell’udienza preliminare, che, in mancanza dell’attivazione delle parti, non può rilevarla ex officio: se la parte interessata accetta gli effetti dell’atto, l’acquiescenza sana il vizio.
Su queste premesse si origina la convinzione che il silenzio del legislatore in ordine ai vizi dell’imputazione non rappresenta un difetto di coordinamento all’interno della struttura dell’udienza preliminare, quanto piuttosto il risultato della scelta tra rimedio sanzionatorio e rimedio correttivo, e la prevalenza di quest’ultimo è attestata dalla predisposizione degli strumenti per emendare le imperfezioni relative al profilo sostanziale dell’atto introduttivo (art. 417 lett. b c.p.p.) L’itinerario correttivo è tracciato dagli artt. 421; 421 bis; 422; 423 c.p.p.; attraverso questo itinerario si attua la correzione dei vizi dell’imputazione prima dell’emissione del provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare. Per questa via, l’emendatio muta in attività fisiologica dell’udienza, la cui proiezione finalistica esclude che quelle imperfezioni siano causa di invalidità dell’atto. Il percorso descritto, quindi, rappresenta il rimedio, ma non si connota come sanzionatorio.
All’interno di questo percorso “virtuoso” riveste un ruolo centrale il confronto dialettico di cui all’art. 421 c.p.p.; ed è da questo confronto che elementi, in un primo momento non sufficientemente considerati, possono assumere una rilevanza non solo pregnante, ma addirittura diversa al punto da rendere indispensabile l’aggiornamento del “fatto”. Da qui il carattere fondamentale del segmento procedimentale della “discussione”. Peraltro, se l’imputazione manca del tutto; vale a dire: se difetta il requisito essenziale della domanda, il giudice potrà restituire gli atti al pubblico ministero a causa dell’inammissibilità della stessa, perché l’omissione nega ab origine l’espletamento della funzione giurisdizionale. Eppure in questo caso permangono dubbi circa la necessità di una previa audizione delle parti. Al di fuori di questa fattispecie casistica, quando il giudice si trova di fronte ad un atto imputativo dal contenuto generico o alternativo (furto/ricettazione; corruzione/concussione) ha il dovere di espletare l’attività di controllo nel confronto dialettico e consentire l’operatività dei meccanismi correttivi.
A fronte di queste patologie il giudice non può emettere de plano l’ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero, proprio perché tali vizi possono essere corretti attraverso l’esercizio della funzione di controllo dell’udienza preliminare. Perciò, appare condivisibile l’orientamento che definisce abnorme il provvedimento giudiziale di trasmissione degli atti al pubblico ministero affinchè costui precisi l’imputazione indicata in maniera generica nella richiesta di rinvio a giudizio, dal momento che il legislatore predispone – lo ripetiamo – il percorso di emendatio dell’atto. Di conseguenza, il comportamento del giudice che si ponesse al di fuori di tale schema è non solo causa di un’indebita regressione del processo, in assenza dei presupposti legittimanti, ma determina un pregiudizio irreparabile ed irrimediabile.
Sul punto non manca chi sostiene che l’assenza o la genericità dell’imputazione sia riconducibile all’errore nell’iniziativa del pubblico ministero in ordine all’esercizio dell’azione penale, cioè alla nullità di ordine generale di cui all’art. 178 lett. b) c.p.p.; laddove, la mancanza o il difetto di altri elementi secondari integrerebbero la situazione descritta dall’art. 178 lett. c) c.p.p. Ed in quest’ottica sarebbe legittima l’ordinanza di trasmissione degli atti del pubblico ministero come effetto conseguente alla declaratoria di cui all’art. 185 comma 2 c.p.p.
L’orientamento è opinabile per quanto fin qui detto e soprattutto perché le cause di nullità costituiscono un sistema organico a fattispecie chiuse a cui non è possibile ricondurre la patologia, in base al rilievo – già evidenziato – che il legislatore, rispondendo ad una logica di simmetria interna alla normazione dell’udienza, limita l’operatività della sanzione alle sole ipotesi descritte dall’art. 416 comma 1 c.p.p., escludendone, poi, la previsione in riferimento ai presupposti tipici della domanda (art. 417 c.p.p.). Invero, nell’art. 417 lett. b) c.p.p. non è prescritta la nullità dell’atto per un difetto inerente all’imputazione, a mio avviso, nell’intento di rimettere al sindacato del giudice – caso per caso – l’analisi della rilevanza e dell’incidenza del vizio, nonché della sua capacità di impedire l’esercizio della funzione di controllo.
In verità, mi sembra maggiormente conferente al sistema la ricostruzione delle Sezioni unite, che individua all’interno della normazione dell’udienza preliminare i rimedi fisiologici di correzione dell’imprecisa formulazione dell’imputazione come espressione “naturale” della funzione istituzionale di controllo. Perciò anche la Corte non ritiene applicabile la nullità alla fattispecie e afferma la valenza endofasica dell’itinerario correttivo (artt. 421; 423; c.p.p.) dei vizi dell’atto imputativo, all’interno del quale, si colloca anche lo strumento atipico dell’ordinanza di trasmissione degli atti, che si radica pur sempre nel terreno della funzione istituzionale di controllo di legalità dell’esercizio dell’azione penale e , di riflesso, della corretta formulazione dell’imputazione.
Le Sezioni unite affermano che «il giudice dell’udienza preliminare, dal momento della presentazione dell’atto introduttivo fino all’esito della discussione nel confronto dialettico fra le parti, ancor prima dell’adozione dei tipici provvedimenti conclusivi della fase ex art. 424 c.p.p., qualora ravvisi nell’atto di imputazione l’assenza del contenuto minimo indispensabile o la sua imperfezione e inadeguatezza per difetto di chiarezza e precisione dei fatti storici contestati, ha il “potere-dovere” di attivare i meccanismi correttivi nel corso dell’attività fisiologica della medesima udienza, rappresentando con ordinanza motivata e interlocutoria, gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche del vizio di imputazione e richiedendo espressamente al pubblico ministero di provvedere alle opportune precisazioni e integrazioni secondo il paradigma integrativo dettato dall’art. 423 comma 1 c.p.p.».
L’impostazione è rafforzata dalla ratio sottesa alla predisposizione della sanzione per la mancata o insufficiente indicazione del requisito previsto dall’art. 429 comma 1 lett. c) c.p.p. La tipologia di questo provvedimento è strutturata sul carattere polimorfo dell’imputazione in uscita dall’udienza e proiettata sul dibattimento; essa si manifesta, cioè, sotto il duplice profilo del thema probandum ed decidendum; perciò, se nonostante l’attivazione dei meccanismi previsti sopravvivessero imperfezioni, queste non sarebbero più tollerabili. Insomma la sanzione è dettata a tutela della funzione dell’atto e della sua natura giurisdizionale. Quanto alla classificazione di tale nullità va precisato che essa è speciale e pertanto segue il regime relativo, così come prescritto dall’art. 181 comma 3 c.p.p. in perfetta simmetria con l’opzione inerente all’omissione degli atti strumentali alla richiesta di cui all’art. 416 comma 2 c.p.p.
1. Democrazia, legalità e processo
3. Il conflitto tra le due Corti
4. Il principio di legalità processuale
8. L'incompatibilità del giudice per gli atti compiuti nel procedimento
9. L'opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione
10. La difformità della richiesta di rinvio a giudizio dal modello legale
11. Le vicende dell'imputazione
12. Il principio di correlazione tra l'accusa contestata e la sentenza
13. La nullità della sentenza per difetto di contestazione
14. L'invalidità della domanda di accesso ai riti alternativi
15. Il ricorso immediato della persona offesa e l'inerzia del pubblico ministero
G. Riccio, Contributo allo studio dell'inammissibilità nel processo penale, in Studi sul processo penale, Napoli, 1998, pag.168.
G. Riccio, Fatti “nuovi” e fatti “diversi” nel regime delle contestazioni suppletive, in Dir. giust., 2004, n. 13, p. 63.
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Cass. pen. sez. VI, 7 ottobre 2004, n.42011, in C.E.D. Cass.n.230384.
Cass. pen. sez. VI, 10 novembre 2004, n. 48697, in C.E.D. Cass. n.230842.
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Cass. pen. sez. VI, 5 giugno 2003, n.34955, in Cass.pen., 2004 pag. 3673.
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