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Clelia Iasevoli » 8.L'incompatibilità del giudice per gli atti compiuti nel procedimento


L’art. 34 c.p.p.

L’art. 34 c.p.p. rappresenta lo sforzo del legislatore di individuare a priori il complesso delle cause atte a turbare l’imparzialità del giudice rispetto agli ulteriori esiti di una determinata vicenda, in conseguenza di una concorrente o pregressa attività o posizione funzionale. Nella rubrica della norma si rinviene la connessione letterale al parametro di riferimento specificato nel pregresso compimento di determinati atti: è questa la fonte del pregiudizio dell’ulteriore esercizio della funzione giudiziale. Il comma 1 dell’art. 34 prescrive il limite negativo all’espletamento della funzione in altro “grado” o in sede di rinvio o di giudizio di revisione per il giudice che abbia pronunciato o abbia concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento.


Il previo contatto del giudice con il fatto

Il criterio discretivo che orienta l’applicazione dell’art. 34 c.p.p. è il previo contatto del giudice con il fatto. Questo criterio fonda il legame teleologico tra i diversi livelli su cui si muove l’istituto (gradi, fasi, funzione), svelando la logica interna all’ordine decrescente. Nel comma 2 dell’art. 34 c.p.p. si rinviene un vincolo connettivo tra il presupposto del pregresso compimento di specifici atti e lo sviluppo in “orizzontale” del processo, implicando lo spostamento dell’attenzione sulla fase del giudizio in senso lato rispetto a quella che la precede (indagini preliminari) con testuale riferimento ai provvedimenti conclusivi della stessa. Non è un caso che la lacunosità della norma abbia fondato molteplici questioni di legittimità costituzionale; non lo è considerato l’omesso richiamo a situazioni assimilabili sotto ogni aspetto a quelle espressamente menzionate.

I reiterati interventi della Corte costituzionale

La Corte costituzionale attraverso sentenze additive ha predisposto le coordinate idonee a delimitare i confini dell’art. 34 comma 2 c.p.p., reclamante un’estensione necessitata dal raffronto con l’assetto sistematico. Nell’opera della Corte è possibile estrapolare due canoni d’identificazione della situazione “pregiudicante” e di quella “pregiudicata”. Anzitutto, è necessario che il giudice abbia previamente compiuto una valutazione di merito sulla sussistenza degli elementi che giustificano l’ipotesi accusatoria; in secondo luogo occorre che lo stesso giudice sia chiamato a partecipare al giudizio. Invero, la Corte utilizza il termine merito in senso atecnico, nelle sentenze additive il riferimento al merito della valutazione determinante la forza pregiudicante è da rinvenirsi nell’apprezzamento del fatto storico o del materiale ad attitudine probatoria che lo accompagna. Perciò il Giudice delle leggi amplia la incompatibilità dal “precedentemente deciso” al “precedentemente conosciuto”.

Incompatibilità=incompetenza funzionale

Il criterio selettivo delle situazioni che impedirebbero al giudice di espletare nuovamente la funzione nel giudizio va identificato nella valutazione non formale, ma contenutistica delle risultanze processuali. In questa direzione l’art. 34 c.p.p. rivela la sua connotazione di origine come manifestazione negativa di competenza funzionale in ragione dei connotati strutturali della progressione per gradi e per fasi. Da qui la convinzione che nel codice si rinvengono norme descrittive in maniera specifica e tassativa delle situazioni che appartengono alla competenza funzionale. Da qui la codificazione della competenza funzionale attraverso disposizioni che prevedono l’attribuzione di compiti d’ufficio a seconda della specificità del contesto procedimentale e delle regole di appartenenza dell’atto o di determinate attività del giudice, la cui eterogeneità è composta sul versante unitario del risvolto negativo della funzione: l’incompatibilità.


Incompatibilità=incompetenza funzionale II

Perciò la competenza funzionale appartiene all’ampia sfera della giurisdizione e non agli ambiti ristretti della competenza (che è soltanto uno degli aspetti della giurisdizione); appartiene alla logica della attribuzione e non alla filosofia della competenza. Il collegamento intrinseco con l’atto spiega perché il vizio afferisca alla capacità specifica di esercizio della funzione giurisdizionale e non alla capacità generica rilevante ai fini dell’applicabilità dell’art. 178 lett. a) c.p.p., che coinvolge il versante dell’idoneità attribuita con la nomina e con il conferimento della funzione, prescindendo da una vicenda giudiziaria specifica.

L’incompatibilità funzionale

L’art. 34 comma 2 bis c.p.p. sembrerebbe introdurre una forma di incompatibilità della funzione in sé senza il riferimento ai contenuti dell’attività pregressa. Ora, se le fasi processuali si articolano in aderenza ai connotati tipici della funzione del giudice nel contesto della fase stessa e a seconda del suo oggetto (artt. 328; 416; 449; 458 c.p.p.), in questa complessa interazione sistemica potere e oggetto determinano i contenuti e i limiti della competenza funzionale, coinvolgendo oltre al versante dei gradi e delle fasi, anche l’esercizio in sé della funzione. Perciò la previsione dell’incompatibilità funzionale nell’art. 34 comma 2-bis c.p.p. costituisce, nonostante l’infelice formulazione, l’approdo normativo dello sviluppo di una precisa logica volta a rafforzare e preservare la funzione di controllo dell’udienza preliminare, ogni qual volta la specificità del ruolo o di talune attività pongono il giudice a contatto con gli elementi di prova.

Un’ipotesi di incompatibilità assoluta?

Si tratta di verificare se il comma 2-bis dell’art. 34 c.p.p. sancisca un’incompatibilità assoluta fra le funzioni di giudice dell’udienza preliminare e giudice per le indagini preliminari anche a prescindere dalla tipologia delle attività espletate. Al riguardo vi è chi afferma la connotazione assoluta del dictum del comma 2-bis, ritenendo che essa sia una conseguenza diretta dell’attribuzione di poteri più forti al giudice dell’udienza preliminare (artt. 421 bis e 422 c.p.p.). La tesi non ci convince, sebbene sia stata confermata dalla Corte costituzionale che, in talune decisioni di manifesta infondatezza, richiama l’attenzione sull’avvenuta mutazione della fisionomia dell’udienza preliminare che da momento processuale, orientato al controllo sull’azione, sarebbe divenuta momento di “giudizio”.


Le obbiezioni…

Se il legislatore (l. n. 479/1999) avesse voluto trasformare l’udienza preliminare in giudizio di merito, l’incompatibilità tra giudice per le indagini preliminari e giudice dell’udienza preliminare sarebbe stata riconducibile al comma 2 dell’art. 34 c.p.p., poichè proprio quella trasformazione avrebbe configurato il presupposto prima mancante. Riteniamo che identificare l’oggetto del decreto di rinvio a giudizio con la valutazione di responsabilità significa attribuire allo stesso la forza che aveva la sentenza e/o l’ordinanza con cui il giudice istruttore concludeva l’istruzione; con il conseguente capovolgimento dell’onere probatorio, tipico dell’esperienza processuale previgent. E se così fosse sarebbe minata alla radice la legittimità del doppio grado di giudizio di merito, divenendo l’appello un terzo ingiustificato giudizio di merito.

Il presupposto del previo compimento di atti

L’incompatibilità sancita dall’art. 34 comma 2-bis c.p.p. non ha valenza assoluta, ma pone in primo piano la funzione, richiamando l’attenzione dell’interprete sui confini oltre i quali la coesistenza di quella funzione in capo allo stesso giudice persona fisica non è più possibile, nel medesimo procedimento, a causa del contenuto specifico dell’attività espletata dal giudice per le indagini preliminari. A nostro avviso è la stessa rubrica dell’art. 34 c.p.p. ad imporre il nesso strutturale tra la pregressa attività compiuta e tutte le situazioni ivi descritte, compreso il comma 2-bis che, quindi, va raccordato al presupposto del previo espletamento di atti compiuti nel procedimento. Siffatto presupposto congiunge i diversi piani della rappresentazione codicistica dell’ordine decrescente che va dai gradi, passa per le fasi, tocca la funzione stessa di ius dicere, predisponendo in maniera radicale la tutela dell’imparzialità del giudice. Perciò sono esclusi dall’ambito operativo dell’incompatibilità funzionale soltanto i provvedimenti che non hanno consentito al giudice per le indagini preliminari la formazione di un convincimento sull’idoneità degli elementi di prova a sostenere l’accusa in giudizio.

…il comma 2-ter dell’art.34 c.p.p.

In questa ricostruzione il comma 2-ter dell’art. 34 c.p.p., pur avendo natura derogatoria, non costituisce il numerus clausus delle eccezioni alla regola, escludendo dalla casistica della fonte del pre-iudicium soltanto i provvedimenti suscettibili di un’aprioristica classificazione per la natura evidentemente ordinatoria. Ne consegue che il comma 2-ter conferma l’assimilazione del criterio selettivo delle situazioni di incompatibilità funzionale con il previo espletamento di un’attività che abbia consentito al giudice per le indagini preliminari la valutazione contenutistica degli elementi di prova e, quindi, il vaglio dell’ipotesi accusatoria. Questa chiave di lettura esclude con certezza dall’ambito operativo del comma 2-bis i provvedimenti indicati dal comma 2-ter; per tutti gli altri, invece, è necessario la verifica caso per caso della ricorrenza dell’effetto pregiudicante.


…il comma 2-quater dell’art. 34 c.p.p.

Other Placeholder: Il comma 2-quater dell’art.34 c.p.p. pare voler recuperare il principio di immediatezza (il giudice che raccoglie le prove è lo stesso della decisione) che, invece, sarebbe violato qualora il giudice, una volta assunto l’incidente probatorio, fosse ritenuto incompatibile a gestire la fase del giudizio. L’apparente incongruenza della norma è rivelata dalle logiche di immediatezza che governano il rapporto tra giudice e prova; e sebbene l’ipotesi non sia per volontà legislativa riconducibile nell’alveo dell’incompatibilità, essa non esclude l’operatività degli strumenti processuali dell’astensione e della ricusazione.

I materiali di supporto della lezione

G. Di Chiara, L'incompatibilità endoprocessuale del giudice, Torino, 2000.

G. Riccio, Incompatibilità del giudice, ecco tutte le oscillazione della consulta, in Dir.giust., 2003, n. 1, pag. 39.

C. Iasevoli, L'incapacità specifica di esercizio della funzione per incompatibilità determinata da atti compiuti ne procedimento, in La nullità nel sistema processuale penale, Padova, 2008, pag. 378.

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