L’ordinamento, nel prevedere genericamente il difetto di contestazione come causa invalidante la sentenza (art. 522 c.p.p.), ha oscurato l’indice differenziale tra le diverse fattispecie coinvolte, riconducendole – sebbene in un’ottica maggiormente garantista – nell’ambito sanzionatorio della nullità. Ed in questo ambito è annoverabile anche l’inosservanza delle regole di condotta di cui all’art. 521 commi 2 e 3 c.p.p., sebbene essa manifesti i tratti dell’abnormità, ma ragioni di sistema escludono l’operatività di questo rimedio nelle situazioni in cui il legislatore abbia predisposto la sanzione.
Sicchè l’espressa comminatoria della nullità non consente il ricorso all’abnormità di origine giurisprudenziale, rispondendo – quest’ultima – alla logica dell’estrema ratio. Il non aver colto, però, l’eterogeneità tra le diverse situazioni patologiche ha indotto la giurisprudenza a ricorrere alla teoria del pregiudizio effettivo, determinando così lo snaturamento del principio di correlazione nell’ottica limitativa della concreta possibilità riconosciuta all’imputato, in dibattimento, di difendersi sul quid aliud ivi emerso.
Più specificamente secondo la Corte di cassazione il raggiungimento dello scopo finirebbe per assumere efficacia sanante rispetto alla accertata e dichiarata diversità del fatto e rispetto alla incompatibilità tra fatto accertato in sentenza e fatto contestato. La tesi è opinabile; vuoi perché oscura il significato giuridico della previsione ex lege della nullità, privando di rilevanza il dato della difformità dallo schema legale di riferimento, vuoi perché lascia passare in secondo piano il disvalore del modulo contestativo, difforme dalle forme prescritte dall’ordinamento ed essenziali ai contenuti di garanzia.
Vero è che l’art. 522 c.p.p. raccorda in maniera unitaria la complessa fenomenologia dell’inosservanza del percorso regolante le vicende dell’imputazione nella fase dibattimentale. Nel predisporre la nullità a tutela della legalità del procedimento contestativo, la norma – volutamente – non distingue tra le cause di invalidità, ritenendo rilevante il solo dato dell’inosservanza. Non a caso la rubrica della disposizione costituisce il criterio discretivo che ne orienta l’applicazione, evidenziando il nesso teleologico tra irritualità del modulo contestativo e nullità della sentenza, ciò è sufficiente ad innescare il meccanismo sanzionatorio a prescindere dalla concreta lesione del diritto di difesa.
Dunque, la lesione del diritto tutelato è presunta nella violazione della legalità del procedere che interrompe la progressione processuale degli atti verso l’attuazione del principio di correlazione. Si pensi all’ipotesi in cui dal verbale di udienza non risulti che il giudice abbia informato l’imputato del diritto di chiedere un termine a difesa ex art. 519 c.p.p.: l’omissione si traduce in causa di nullità della sentenza.
La previsione di puntuali modalità procedurali risponde all’esigenza di consentire l’articolazione delle strategie difensive e l’instaurazione del contraddittorio fra le parti nel momento di formazione e di assunzione delle prove, momento finalizzato alla dimostrazione o alla confutazione dell’oggetto della contestazione.
Peraltro, la normazione del rimedio sanzionatorio di cui all’art. 522 c.p.p. comporta un duplice ordine di effetti: la classificazione della nullità come speciale e la collocazione della stessa nell’itinerario delineato dal combinato disposto degli artt. 181 e 179 comma 2 c.p.p., all’interno del quale il regime relativo costituisce la regola per le nullità speciali, che soltanto in via eccezionale possono essere insanabili e rilevate d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento: quando l’ordinamento oltre a specificarne il genus contestualmente ne definisca il carattere assoluto (es. art. 525 comma 2 c.p.p.).
Dunque, l’appartenenza al regime relativo si spiega in una logica preventiva che rende conoscibile ex ante la sanzione – cioè prima ancora che si realizzi la causa invalidante – e per questa ragione il sistema pone il vizio nella disponibilità strategica delle parti. In sintesi, la chiara presa di posizione legislativa (art. 522 c.p.p.) in ordine alla sanzione è finalizzata a ripristinare al più presto la legalità violata della sentenza, sottraendo la stessa all’incertezza della individuazione ex post delle cause invalidanti di ordine generale, che avviene attraverso un’operazione interpretativa, dopo che si è integrata la inosservanza. E se è così tra le due tipologie vi è un rapporto di alternatività ad excludendum, cioè non si possono richiamare le fattispecie di ordine generale per risalire al regime della nullità espressamente indicata.
Di conseguenza, trattandosi di nullità speciale (=relativa) l’eccepibilità del difetto di correlazione della sentenza è espressione di autonomia del potere dispositivo degli interessati. In un processo partecipato il legislatore attribuisce alla parte l’onere di ripristinare la regolarità del procedere: partecipazione significa anche e soprattutto responsabilità. E, trattandosi di una causa di invalidità verificatasi nel giudizio essa dev’essere eccepita con l’impugnazione della sentenza ex art. 181 comma 4 c.p.p. La nullità si converte in un motivo di impugnazione per espressa statuizione legislativa.
Ebbene, il giudice di appello consente il recupero di un grado di giudizio, da un lato, dichiarando la nullità in tutto o in parte della sentenza appellata e, dall’altro, disponendo la trasmissione degli atti al giudice di primo grado qualora vi sia stata condanna per un fatto diverso o applicazione di una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa da quella ordinaria o di una circostanza aggravante ad effetto speciale (art. 604 comma 1 c.p.p.), sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti, poiché per questa fattispecie opera il secondo comma dell’art. 604 c.p.p.
Se, invece, vi è stata condanna per un reato concorrente o per un fatto nuovo il giudice di appello dichiara nullo il relativo capo della sentenza ed elimina la pena corrispondente, dandone notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni (art. 604 comma 3 c.p.p.).
Dunque, l’ordinamento affida alle parti il ripristino della legalità del percorso normativo violato, posto a presidio del diritto di difendersi provando, avendo già affidato al giudice l’attuazione dei meccanismi correttivi, il cui ambito di attività è posteriore rispetto all’operato del pubblico ministero, fungendo da controllo di questo operato, ed è preventivo rispetto all’emanazione della sentenza, svelando la natura di norma di cautela dell’accertamento.
In sintesi, la delimitazione rigorosa dei confini estensivi degli effetti della nullità all’inosservanza delle disposizioni del capo IV all’interno del primo comma dell’art. 522 c.p.p. codifica i tratti dell’invalidità come inosservanza delle regole di condotta stabilite nello stesso capo.
Nel secondo comma dell’art. 522 c.p.p. l’inosservanza assume la specificità di un vizio contenutistico estrapolabile dal corpo della sentenza. In sintesi la reazione ordinamentale si muove in una duplice direzione: ripristinare la legalità violata dalla “irritualità” della nuova contestazione che sfocia nel vizio di correlazione e, al contempo, contenere la diffusione della nullità in termini strettamente necessari.
Insomma, la composita disciplina delle nuove contestazioni è preordinata a garantire, attraverso il contraddittorio, il pieno esercizio del diritto di difesa, perciò, l’inosservanza di ogni sua norma ferisce il diritto realizzando una lesione che si connota per la specificità del contenuto, non essendo stata riconosciuta la possibilità all’interessato di difendersi in relazione alla fattispecie ritenuta in sentenza e non contestata: il soggetto è condannato per un fatto diverso da quello indicato nel decreto di rinvio a giudizio.
Tuttavia, la dottrina riconduce nell’ambito dell’art. 522 c.p.p. accanto ai vizi del procedimento di nuova contestazione che in via derivata causano l’invalidità della sentenza anche la patologia che afferisce direttamente alla sentenza. Da qui la difficoltà di individuare le coordinate di applicazione della sanzione e l’ambigua commistione tra nullità speciali e di ordine generale.
Ora, se i parametri di selezione dell’invalidità sono l’accusa contestata e l’oggetto su cui verte la sentenza, questi tratti connotativi, così determinati, non possono genericamente essere assimilati alle situazioni tipiche di cui all’art. 178 lett. c) c.p.p. in cui l’accezione tecnica delle espressioni “intervento, assistenza e rappresentanza” non sembra comprendere nel contesto definitorio la peculiriatà del caso di specie.
Per questa ragione, ed a scanso di equivoci, il legislatore ha prescritto un percorso di applicabilità della sanzione sottratto all’operazione esegetica di discriminazione della rilevanza delle irritualità alla stregua dei criteri ivi indicati. Ne consegue che la individuazione del regime di rilevabilità e/o di deducibilità del vizio esula da questo contesto. Secondo, invece, la tesi prevalente il giudice, condannando per un fatto diverso o nuovo rispetto a quello cristallizzato nel capo di imputazione, si sostituirebbe indebitamente all’organo titolare dell’accusa; e ciò sarebbe sufficiente alla configurazione della causa invalidante di cui all’art. 178 lett. b) c.p.p. con la conseguenza che sotto il profilo del difetto iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale non sarebbe più sostenibile l’orientamento giurisprudenziale basato sul criterio teleologico che circoscrive le esigenze di tutela del diritto di difesa.
L’assunto non sembra condivisibile per evidenti dubbi di coerenza sistematica dal momento che il rimedio della nullità assoluta non appare conciliabile con la logica di conservazione e, quindi, di economia processuale, che si evince dal comma 2 dell’art. 522c.p.p. secondo cui «la sentenza di condanna pronunciata per un fatto nuovo, per un reato concorrente o per una circostanza aggravante senza che siano state osservate le disposizioni degli articoli precedenti è nulla soltanto nella parte relativa al fatto nuovo, al reato concorrente o alla circostanza aggravante».
1. Democrazia, legalità e processo
3. Il conflitto tra le due Corti
4. Il principio di legalità processuale
8. L'incompatibilità del giudice per gli atti compiuti nel procedimento
9. L'opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione
10. La difformità della richiesta di rinvio a giudizio dal modello legale
11. Le vicende dell'imputazione
12. Il principio di correlazione tra l'accusa contestata e la sentenza
13. La nullità della sentenza per difetto di contestazione
14. L'invalidità della domanda di accesso ai riti alternativi
15. Il ricorso immediato della persona offesa e l'inerzia del pubblico ministero
C. Iasevoli, I vizi dell'atto imputativo, in La nullità nel sistema processuale penale, 2008, pag. 471 e ss.