Etsi cum sociis – nefas – cum liberis tamen et ingenuis dimicatum est: quis aequo animo ferat in principe populo bella servorum?
In un noto testo dell’Epitome di Floro, 2.7 (3.19), sulle guerre servili, si parla della difficoltà di tollerare guerre che hanno come avversari degli schiavi (quis aequo animo ferat in principe gentium populo bella servorum?) «chi potrebbe con animo tranquillo (aequo animo) tollerare delle guerre di schiavi contro un popolo che è princeps gentium?»
All’inizio del paragrafo VIII, sulla guerra contro Spartaco, poi, lo storico commenta: «In verità si potrebbe anche sopportare questa vergogna (dedecus servilium armorum) (di combattere con degli schiavi) perché, quantunque dal punto di vista della loro sorte siano completamente sottomessi, tuttavia costituiscono comunque un secundum genus hominum, un genere umano di seconda classe, e possono essere associati ai vantaggi (bona) della nostra libertà».
Floro era uno storico e retore vissuto tra I e II secolo d.C., che scrisse tra l’altro un “Compendio di Tito Livio”(Epitome).
Che gli schiavi possano ad un certo momento arrivare a godere della libertà, della libertà romana, sembra attenuare il dedecus costituito dalle guerre servili .
A proposito delle rivolte servili, e della guerra contro Spartaco e i suoi seguaci, schiavi e gladiatori, Floro appunto (2.8) definisce gli schiavi “un genere umano di seconda classe”, partecipi, comunque della natura umana…
Floro però non riesce a definire questa guerra contro Spartaco: «La guerra combattuta contro Spartaco e i suoi non so come chiamarla … Infatti, dal momento che degli schiavi combatterono come soldati (militaverint) dei gladiatori comandarono, quelli uomini della piú infima condizione, questi della peggiore, accrebbero le sciagure di Roma con il disonore (l’infamia, la vergogna)».
2.8 (3.20) 1. Enimvero et servilium armorum dedecus feras; nam etsi per fortunam in omnia obnoxii, tamen quasi secundum hominum genus sunt et in bona libertatis nostrae adoptantur: bellum Spartaco duce concitatum quo nomine appellem nescio; 2. quippe cum servi (servi: servi liberi Bambergensis) militaverint, gladiatores imperaverint, illi infimae sortis homines, hi pessumae auxere ludibriis calamitatem Romanam.
Ricordiamo brevemente la rivolta di Spartaco, avvenuta probabilmente nel 73 a.C., quando una settantina di gladiatori della scuola del lanista Lentulo Battiato, capeggiati dal trace Spartaco, si ribellarono e si diedero alla fuga da Capua verso sud. Le file dei ribelli si arricchirono di schiavi fuggitivi, di poveracci che cercavano occasioni di riscatto, di vagabondi e briganti.
Il governo di Roma inizialmente sottovalutò il movimento, e le file dei rivoltosi si accrebbero fino a raggiungere le migliaia; non avevano un piano preciso, ma rimasero nella penisola italica costituendo un esercito ben armato ed equipaggiato.
I consoli non riuscirono a sconfiggere Spartaco ed i suoi, che scorrazzarono per la penisola finché probabilmente nel 71 (l’anno preciso non è determinabile), l’esercito di Spartaco fu annientato definitivamente da Crasso e poi da Pompeo che era sopraggiunto in aiuto di Crasso.
Mosaico conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Madrid. Rappresenta scene di combattimenti tra gladiatori, per la precisione un retiarius che viene ucciso (come dimostra il segno simile a zero spaccato) dal suo avversario (addosso al quale aveva gettato la rete). La datazione è al IV secolo d.C. Fonte: Wikimedia Commons.
A parte i dubbi espressi tra gli studiosi che i gladiatori fossero tutti di condizione servile, mentre forse, ancorché legati all’impresario da auctoramentum (giuramento con il quale il gladiatore giurava di combattere fino alla morte), vi erano, e Spartaco tra questi, dei liberi (obbligati nei confronti del lanista anche con un contratto di locatio operarum), occorre prestare attenzione alla composizione dei rivoltosi del movimento capeggiato dal gladiatore trace.
Secondo un’opinione non da tutti condivisa, ma che a me pare alquanto convincente, formulata dal professore Guarino in un suo famoso studio appunto su Spartaco, nelle file del gladiatore vi erano molti liberi, braccianti impoveriti, ed anche homines liberi bona fide servientes : Floro impiega una espressione che, per quanto mi risulta, è un unicum nella letteratura latina, quasi secundum genus hominum, «uomini di seconda classe», «una seconda specie di uomini»; per quanto lo storico stia trattando di schiavi, non è azzardato dire che in quella locuzione potrebbero essere compresi anche quei rivoltosi che, seppure non di stato servile, non erano tanto lontani dall’apparire come schiavi, e dunque potevano anch’essi costituire degli uomini di «seconda classe».
Riprendiamo la tradizione dell’Epitome di Floro e ritorniamo a considerare il secundum genus hominum.
Nel passo nel quale si parla di «schiavi che combattevano come soldati» il latino ha servi militaverint, secondo la tradizione testuale generalmente accolta. Ma nel codice di Bamberga è presente una variante, con una parola in piú, «servi liberi militaverint», «gli schiavi combatterono nell’esercito, militarono, (pretendendo di agire) come liberi»
La lectio difficilior era stata, peraltro, già da tempo dichiarata preferibile dal Wallinga (Bellum Spartacium: Florus’ text and Spartacus’ objective, in Athenaeum 80, 1992, 25 ss., anche se lo studioso aveva bocciato l’ipotesi di Guarino quanto alla partecipazione di persone di condizione libera alla rivolta. Questa lettura potrebbe, invece, far propendere ancor piú per la partecipazione al movimento di Spartaco anche di liberi, liberi homines b.f. servientes, e servi oggetto di manumissioni non iustae ac legitimae.
Ricordo solo, per l’innegabile suggestione che ne promana, l’inciso contenuto in un passo di Paolo, in materia di possessio su un servus qui pro libero se gerat e giudizio liberale, benché la maggioranza degli studiosi abbia dichiarato interpolato il brano dal momento che l’esempio di Spartaco non si accorda con l’enunciato del giurista, D.41.2.3.10 (54 ad edictum): Si servus, quem possidebam, pro libero se gerat, ut fecit Spartacus, et iudicium liberale pati paratus sit, non videbitur a domino possideri, cui se adversarium praeparat. Sed hoc ita verum est, si diu in libertate moratur: alioquin si ex possessione servitutis in libertatem reclamaverit et liberale iudicium imploraverit, nihilo minus in possessione mea est et animo eum possideo, donec liber fuerit pronuntiatus.
E’ per questo che Pomponio, Paolo e Papiniano, in alcuni passi tramandatici dai Digesta giustinianei, mettono in evidenza questa difficoltà parlando della compravendita:
D.18.1.4 (Pompon. 9 ad Sab.): Et liberi hominis et loci sacri et religiosi, qui haberi non potest, emptio intellegitur, si ab ignorante emitur. D.18.1.5 (Paul. 5 ad Sab.) : quia difficile dinosci potest liber homo a servo.
D. 41.3.44 pr. (Pap. 23 quaest.):… nam frequenter ignorantia liberos emimus…
Digesti 18.1.4 (Pomponio, libro 9 del commentario a Sabino): Una vendita si ritiene esistente se l’oggetto è un uomo libero o un luogo sacro o religioso, che non è suscettibile di vendita, se è compiuta da uno ignorante (della situazione). Digesto 18.1.5 (Paolo libro 5 a Sabino): perché con difficoltà si può riconoscere un uomo libero da uno schiavo.
Digesti 41.3.44 principio (Papiniano, libro 23 delle Questioni): … infatti spesso per ignoranza (della situazione) compriamo dei liberi… (traduzione di F. Reduzzi).
Gli studiosi si sono interrogati sul tipo di rapporto che si crea tra l’organizzatore degli spettacoli gladiatorii ed il lanista, il proprietario della palestra, il “ludus“, dove i gladiatori si addestravano.
Un passo delle Istituzioni di Gaio pone un quesito particolare che ha sollevato un vivace dibattito in dottrina.
Gai Institutiones 3.146:
Testo Latino: Item (quaeritur) si gladiatores ea lege tibi tradiderim, ut in singulos, qui integri exierint, pro sudore denarii XX mihi darentur, in eos vero singulos, qui occisi aut debilitati fuerint, denarii mille, quaeritur, utrum emptio et venditio an locatio et conductio contrahatur.
Et magis placuit eorum, qui integri exierint, locationem et conductionem contractam videri, at eorum, qui occisi aut debilitati sunt, emptionem et venditionem esse; idque ex accidentibus apparet, tamquam sub condicione facta cuiusque venditione aut locatione. Iam enim non dubitatur, quin sub condicione res venire aut locari possint.
Traduzione testo (slide precedente): Si chiede, ancora, se sia stata contratta una vendita o una locazione, nel caso in cui io ti abbia consegnato dei gladiatori con l’intesa che, per tutti quelli che saranno usciti dal combattimento indenni, per la fatica mi siano dati 20 denari; e che, per quelli che saranno uccisi o resi inutilizzabili (per il combattimento), (mi siano dati) 1000 denari.
È sembrato più convincente (ritenere) che ci sia stato un contratto di locazione riguardo a quelli che sono usciti dal combattimento indenni, e di vendita per quelli che sono stati debilitati o uccisi. E questo appare dalle circostanze, come se ogni gladiatore sia stato oggetto di compravendita o di locatio-conductio sotto condizione. Oggi, infatti, non si dubita che le cose possano essere vendute o locate sotto condizione. (traduzione di F. Reduzzi).
Il giurista Gaio interpreta il caso esposto in relazione ad una vendita o una locazione “sub condicione“: per i gladiatori rimasti uccisi o feriti in modo da non essere più utilizzabili, l’impresario pagherà mille denari (perché si è realizzata una vendita) mentre per quelli usciti indenni la mercede pattuita è di venti, e per questi si verifica una “locatio-conductio“. Gaio aggiunge che i due contratti è come se fossero stati conclusi sotto condizione.
Il professore Guarino in un suo scritto del 1985 (apparso nella rivista Index) proponeva di interpretare il passo gaiano alla stregua di un tipo di obbligazione che i romani non avevano ancora inquadrato in uno schema, e che aveva le caratteristiche sia della compravendita sia della locazione, una tipologia di contratto che lo studioso avvicina al moderno “leasing” di origine anglosassone ma diffuso da tempo anche in Italia. Il giurista romano, preoccupato di offrire una spiegazione semplice ai giovani destinatari del suo manuale istituzionale, propone di ricondurre la fattispecie a figure contrattuali note, mentre si tratta, a parere del Guarino, di un tipo di contratto “misto”.
In un recentissimo saggio (pubblicato negli “Scritti in onore di A. Metro”, Milano 2010), la giurista siciliana Sara Longo ha riesaminato tutta la tematica connessa con il quesito esposto da Gaio e le variegate posizioni degli studiosi, per concludere che l’autore delle Istituzioni si riferiva effettivamente a due tipi di contratti “sub condicione“: l’uno esclude l’altro nel momento dell’avverarsi della “condicio“.
1. Gli schiavi in Grecia e a Roma, linee generali
2. Cenni sulla giurisprudenza romana
3. Emptio-venditio, caratteristiche e vizi della cosa oggetto di compravendita
4. Le vendite di schiavi nell'editto edilizio e nei documenti della prassi
5. Il trasferimento della proprietà con particolare riguardo agli schiavi
7. Considerazioni su D. 21.2.39.1, stipulatio duplae e traditio
8. Schiavi “ordinari” e “servi vicarii”: loro posizione giuridica
9. Le azioni “adiecticiae qualitatis”
10. Aspetti particolari della dipendenza: i gladiatori
11. Terminologia della “corruptio servi” e fattispecie connesse
12. Il concorso di azioni tra Lex Aquilia e Lex Cornelia (parte prima)
13. Il concorso di azioni tra Lex Aquilia e Lex Cornelia (parte seconda)
14. Il concorso di azioni tra Lex Aquilia e Lex Cornelia (parte terza)
15. Diritto celtico e poteri del 'paterfamilias' in un carme di Catullo: analisi del carme 67
16. Diritto celtico e poteri del 'paterfamilias' in un carme di Catullo: proposte interpretative