I modi di trasferimento della proprietà, del dominium ex iure Quiritium, secondo il ius civile dei romani, erano tre.
Il più antico era la mancipatio.
La Mancipatio era un negozio per l’alienazione del dominium ex iure Quiritium sulle res mancipi (ma poteva essere utilizzata anche per trasferire la proprietà sulle res nec mancipi), che si svolgeva alla presenza di cinque testimoni che fossero cittadini romani e puberi; vi doveva essere anche un sesto personaggio, il libripens, che teneva la bilancia (libra) per pesare il bronzo non coniato, l’alienante (mancipio dans) e l’acquirente (mancipio accipiens).
L’acquirente con in mano un pezzetto di bronzo compiva la vindicatio (rivendicazione) dell’oggetto precisando lo scopo (alienazione); il libripens invitava l’acquirente a toccare la bilancia con il bronzo, bronzo che veniva poi consegnato all’alienante come simbolo del prezzo.
Se la res era immobile se ne poteva portare un pezzo (tegola, zolla).
In epoca classica la Mancipatio era un negozio astratto che si utilizzava per varie finalità:
per trasferire una res a titolo oneroso, e allora l’acquirente trasferiva il denaro all’alienante;
per un’attribuzione a titolo gratuito, nel quale caso l’acquirente versava una monetina (vendita nummo uno, in caso di donazione).
Si redigevano poi documenti scritti per attestare il compimento dell’atto: testationes o instrumenta, sigillati da tutti i partecipanti.
Testo latino: Gai 1.119: Est autem mancipatio, ut supra quoque diximus, imaginaria quaedam venditio: Quod et ipsum ius proprium civium Romanorum est; eaque res ita agitur: Adhibitis non minus quam quinque testibus civibus Romanis puberibus et praeterea alio eiusdem condicionis, qui libram aeneam teneat, qui appellatur libripens, is, qui mancipio accipit, rem tenens ita dicit: « hunc ego hominem ex iure Quiritium meum esse aio isque mihi emptus esto hoc aere aeneaque libra»; deinde aere percutit libram idque aes dat ei, a quo mancipio accipit, quasi pretii loco. 120. Eo modo et serviles et liberae personae mancipantur.
Istituzioni di Gaio, 1.119 : La mancipatio è una vendita immaginaria : ed anche questo è un diritto proprio dei cittadini romani ; la cosa si svolge così : Predisposti non meno di cinque testimoni cittadini romani puberi e inoltre un altro della stessa condizione (cioè libero) che tiene la bilancia, e viene chiamato libripens, quello che riceve con mancipatio tenendo la cosa dice così : « affermo che questo schiavo è mio secondo il diritto dei Quiriti e che è comprato da me con questo bronzo e questa bilancia di bronzo »; quindi batte la bilancia con il bronzo e dà l’aes a quello dal quale riceve con mancipatio, in luogo del prezzo. 120. In questo modo vengono mancipati sia gli schiavi che i liberi. (traduzione di F. Reduzzi).
Era un actus legitimus, vale a dire che non ammetteva né termine né condizione.
Dalla Mancipatio derivava l’obligatio auctoritatis (cioè obbligazione di garanzia), a carico dell’alienante, cioè se si presentava un terzo asserendo di essere il proprietario della cosa e ne faceva la reivindicatio prima che questa fosse stata usucapita dal mancipio accipiens, questo poteva chiedere l’intervento dell’alienante perché intervenisse in giudizio, per dimostrare di essere stato il vero proprietario della res (= auctoritatem praestare).
Se l’alienante rifiutava di presentarsi o l’acquirente risultava soccombente, subendo così l’evizione del bene acquistato, poteva esercitare contro l’alienante l’actio auctoritatis, in duplum, per ottenere il doppio del valore della cosa o del prezzo pagato.
La in iure cessio (cessione, cioè l’atto di ritirarsi davanti al magistrato, in giudizio), valeva per il trasferimento del dominium sia su res mancipi sia su res nec mancipi; era un’utilizzazione della rei vindicatio:
di fronte all’acquirente che compiva la rivendica della res, l’alienante invece di fare la sua controrivendica taceva, si tirava indietro, quindi il magistrato poteva solo dichiarare accertata l’appartenenza della res all’acquirente e farne l’addictio (assegnazione).
Sia la mancipatio che la in iure cessio erano negozi astratti, cioè producevano effetti indipendentemente da una ragione economica.
Erano tutti e due senza corrispettivo, infatti a parte i casi di donazione, si compivano negozi separati per il pagamento di un prezzo (p. es. con la traditio).
Gaio, nel II libro delle Istituzioni, descrive l’istituto:
Testo latino: 24. In iure cessio autem hoc modo fit: apud magistratum populi Romani velut praetorem urbanum [aut praesides provinciae] is, cui res in iure ceditur, rem tenens ita dicit: hunc ego hominem ex iure Quiritium meum esse aio; deinde postquam hic vindicaverit, praetor interrogat eum, qui cedit, an contra vindicet; quo negante aut tacente tunc ei, qui vindicaverit, eam rem addicit; idque legis actio vocatur. Hoc fieri potest etiam in provinciis apud praesides earum.
La “cessione in giudizio” avviene in questo modo: presso un magistrato del popolo romano, come il pretore urbano, (o i prèsidi della provincia) colui al quale la cosa è ceduta in giudizio tenendo in mano la cosa stessa così dice: “dico che questo schiavo è mio secondo il diritto dei Quiriti“; quindi dopo che fatto la rivendica il pretore interroga colui che cede, se voglia fare una controrivendica; se il cedente nega o tace, assegna la cosa a colui che ha effettuato la rivendica. E questa è chiamata azione di legge. Può essere effettuata anche nelle province, presso i prèsidi delle stesse. (traduzione di F. Reduzzi).
Traditio (ex iusta causa): era la consegna della cosa da un soggetto ad un altro; determinava il trasferimento del dominium civilistico solo se sussistevano dei requisiti della cosa trasferita:
In Bonis Habere
Poteva avvenire che una res mancipi (per esempio, uno schiavo) fosse trasferita con traditio invece che con la mancipatio o la in iure cessio.
Il pretore ritenne equo tutelare chi avesse correttamente acquistato lo schiavo (l’in bonis habens) ma non ne fosse diventato proprietario in quanto non era decorso il tempo sufficiente per usucapirlo (due anni), e si fosse trovato di fronte alla reivindicatio del dominus ex iure Quiritium.
Concesse, pertanto, all’in bonis habens spossessato l’actio Publiciana, un’azione “ficticia” mediante la quale, fingendo che egli fosse dominus della res, cioè che fosse già decorso il tempo necessario all’usucapione, poteva rivendicare il bene.
Gaio nelle Istituzioni (2.41) descrive l’in bonis habere:
Testo latino: Nam si tibi rem mancipi neque mancipavero neque in iure cessero, sed tantum tradidero, in bonis quidem tuis ea res efficitur, ex iure Quiritium vero mea permanebit, donec tu eam possidendo usucapias: semel enim impleta usucapione proinde pleno iure incipit, id est et in bonis et ex iure Quiritium tua res esse, ac si ea mancipata vel in iure cessa esset.
Infatti se non ti ho né mancipato né ceduto in iure una res mancipi, ma te l’ho soltanto consegnata, la cosa in verità rientra nei tuoi beni, ma rimarrà mia secondo il diritto dei Quiriti, finché tu col possederla non la usucapisca: una volta, infatti, che sia stata completata l’usucapione, allora la cosa comincia ad essere tua di pieno diritto, cioè sia nei tuoi beni, sia ex iure Quiritium, come se ti fosse stata mancipata o ceduta in iure. (traduzione di F. Reduzzi).
Ricordiamo la “mancipatio fiduciae causa” nell’ambito delle garanzie reali delle obbligazioni.
La fiducia a garanzia di un debito si poneva in essere con mancipatio, appunto (o anche con “in iure cessio“) di una “res mancipi” da parte di un garante (che poteva essere il debitore o un terzo).
La cosa data in fiducia, sulla quale il fiduciario acquistava il “dominium ex iure Quiritium“, doveva essere restituita con un “pactum fiduciae“, all’adempimento del debito; se il debito non veniva pagato il creditore non era più tenuto alla restituzione. Ciò portò ad introdurre nel “pactum fiduciae” una clausola, per cui, in caso di inadempimento, il creditore doveva vendere la cosa e soddisfarsi sul prezzo. La fiducia, in quanto forma di garanzia particolarmente gravosa per il debitore, venne, più o meno parzialmente, sostituita dal pegno per scomparire definitivamente nel III secolo d.C.
Dai documenti provenienti dalla Campania abbiamo notizie sulla vendita all’asta di beni mancipati fiduciariamente; anche in questo caso i documenti della prassi sono di particolare interesse, in quanto nei Digesti di Giustiniano troviamo pochissime tracce relative alla vendita all’asta, perché sia questo tipo di vendita sia la relativa funzione dei banchieri erano scomparsi all’epoca dell’imperatore bizantino, e quindi i compilatori avevano operato la sistematica cancellazione di ogni riferimento.
Daremo ora una breve descrizione delle modalità di questa tipologia di vendita.
Sorgeva un contratto tra venditore e banchiere (argentarius o coactor argentarius) perché questi provvedesse a organizzare l’asta: secondo alcuni il contratto è fondato su una stipulatio; altra parte della dottrina parla invece di contratto di locatio conductio operis.
Di recente è stato sostenuto che i due rapporti obbligatori sono cumulabili: la stipulatio disciplinava la questione del prezzo che il dominus auctionis (=colui che aveva interesse alla vendita all’asta del bene, che poteva anche non coincidere col dominus rei, p. es. nei casi di creditore pignoratizio o fiduciario) riceveva dal banchiere per i beni venduti, la locatio-conductio regolava i rapporti tra le parti riguardo alla realizzazione del servizio di vendita all’incanto.
TPSulp. 85, 86 e 87 , del 51 d.C., hanno ad oggetto la stessa operazione, una vendita all’incanto (da “in quantum?”) di sei schiavi appartenenti a M. Egnatius Suavis, mancipati fiduciariamente al creditore C. Sulpicio Cinnamo per garantire un debito di 26.000 sesterzi: homo Felix, homo Carus, homo Ianuarius, mulier Primigenia, mulier Primigenia iunior, puer Ampliatus.
Un altro gruppo di testationes è costituito da TPSulp. 90-93, del febbraio del 61 d.C., che riguardano la vendita all’asta di una schiava di nome Fortunata mancipata fiduciariamente da Marcia Aucta al suo creditore C. Sulpicius Onirus a garanzia di un mutuo.
Il dominus auctionis si rivolgeva, per organizzare l’auctio, a un banchiere di professione (argentarius o coactor argentarius), il quale prometteva con stipulatio di versare al dominus auctionis il prezzo che si sarebbe ricavato dalla vendita del bene, dedotte spese e commissioni.
L’argentarius aveva un ruolo di semplice intermediatore finanziario.
Il banditore, praeco, attestato anche nelle commedie plautine, era persona di fiducia del banchiere, e riceveva per la sua attività un compenso, il praeconium. Presiedeva all’esecuzione dell’asta, presentava la merce, raccoglieva e rilanciava le offerte, aggiudicava al migliore offerente.
I documenti relativi vengono redatti secondo un identico formulario (come emerge dalle testationes dell’archivio dei Sulpicii appena menzionate), composto di 2 parti:
La proscriptio conteneva data e luogo di affissione del libellus, il testo del libellus conteneva
- Cose vendute (esempio, i 6 schiavi di TPSulp. 85 e 87);
- condizione giuridica relativa (cose date in pegno o in fiducia e nome del datore)
- ammontare del debito, espresso con pro + la cifra , 26.000 sesterzi in TPSulp 85 e 87;
- data luogo e ora della vendita, in TPSulp. 85 , pridie Idus Octobres, il 14 ottobre.
- modalità della vendita: vi era l’intervento del banditore (praeco) nell’aggiudicazione (licitatio).
1. Gli schiavi in Grecia e a Roma, linee generali
2. Cenni sulla giurisprudenza romana
3. Emptio-venditio, caratteristiche e vizi della cosa oggetto di compravendita
4. Le vendite di schiavi nell'editto edilizio e nei documenti della prassi
5. Il trasferimento della proprietà con particolare riguardo agli schiavi
7. Considerazioni su D. 21.2.39.1, stipulatio duplae e traditio
8. Schiavi “ordinari” e “servi vicarii”: loro posizione giuridica
9. Le azioni “adiecticiae qualitatis”
10. Aspetti particolari della dipendenza: i gladiatori
11. Terminologia della “corruptio servi” e fattispecie connesse
12. Il concorso di azioni tra Lex Aquilia e Lex Cornelia (parte prima)
13. Il concorso di azioni tra Lex Aquilia e Lex Cornelia (parte seconda)
14. Il concorso di azioni tra Lex Aquilia e Lex Cornelia (parte terza)
15. Diritto celtico e poteri del 'paterfamilias' in un carme di Catullo: analisi del carme 67
16. Diritto celtico e poteri del 'paterfamilias' in un carme di Catullo: proposte interpretative