Ogni formula (regola di giudizio dove erano fissati i termini della controversia sottoposta all’attenzione del giusdicente: cfr. lezione nr. 4) doveva prendere l’avvio dalla nomina del giudice (iudicis nominatio) per il tramite delle espressioni ‘iudex esto‘ [sia giudice] – nell’ipotesi di un giudizio rimesso ad un giudice unico – oppure ‘recuperatores sunto‘ [siano recuperatori] – nel caso in cui fosse investito un collegio giudicante ; nel singolo iudicium queste parole erano precedute dalla specifica indicazione di colui o di coloro cui era stato riconosciuto il potere di decidere (ad es. C. Aquilius iudex esto; C. Aquilius, L. Octavius … recuperatores sunto).
Alla iudicis nominatio seguivano varie partes, alcune delle quali, al di là della diversità che caratterizzava ogni regola di giudizio, possono essere considerate come ‘ordinarie’ (sebbene non tutte necessarie).
Secondo la successione che rinveniamo nelle Institutiones del giurista antoniniano le partes formularum (le parti delle formule) erano le seguenti (Gai 4.39-43):
Motivi di ordine logico ci inducono a prescindere dalla sequenza prospettata nel manuale gaiano e a cominciare dall’intentio.
Gai 4.41 esordisce con la definizione della clausola:
“Intentio est ea pars formulae, qua actor desiderium suum concludit ….” [L'intentio è quella parte della formula nella quale l'attore espone la sua richiesta ...]..
Dopo avere definito l’intentio Gaio prosegue con tre esempi. In particolare il giurista si riferisce ad ipotesi di:
L’intentio era in ius concepta allorché la pretesa fatta valere trovava fondamento nel ius civile, come quando – ricorda Gai 4.45 – si affermava “… nostrum esse aliquid ex iure Quiritium aut nobis dari oportere …” [... che qualche cosa sia nostra secondo il diritto dei Quiriti oppure che sia necessario che venga dato a noi ...].
L’intentio in ius concepta era certa nel caso in cui l’oggetto dell’azione era precisamente individuato ed il giudice doveva limitarsi ad accertare l’esistenza del rapporto dedotto in giudizio, incerta se l’accertamento necessitava di una valutazione.
L’intentio era in factum concepta (Gai 4.46) nell’ipotesi in cui si basava su circostanze di fatto ritenute rilevanti dal praetor, in tal caso “… initio formulae nominato eo, quod factum est, adiciuntur ea verba, per quae iudici damnandi absolvendive potestas datur …” [... dopo aver riportato all'inizio della formula quanto è accaduto, si aggiungono quelle parole attraverso le quali si dà al giudice il potere di condannare o di assolvere ...].
L’intentio era solitamente seguita dalla condemnatio o dall’adiudicatio, salva l’ipotesi dei praeiudicia, ossia delle azioni di mero accertamento, la cui formula prevedeva la sola intentio:
Gai 4.44 “… certe intentio aliquando sola invenitur, sicut in praeiudicialibus formulis, qualis est qua quaeritur, aliquis libertus sit, vel quanta dos sit, et aliae complures …” [... certo l'intentio talvolta si trova da sola, come nelle formule pregiudiziali, sul tipo di quella attraverso la quale si chiede se uno sia liberto o a quanto ammonti la dote, e molte altre ...].
Per quanto concerne la demonstratio, essa è menzionata in Gai 4.40, ove anzitutto si precisa la funzione della clausola:
“Demonstratio est ea pars formulae quae … inseritur, ut demonstretur res de qua agitur ….” [La demonstratio è quella parte della formula che ... viene inserita per indicare la fattispecie per cui si agisce ...].
Collocata prima dell’intentio ed introdotta da un quod dichiarativo-causale, la demonstratio era inserita nel iudicium nell’ipotesi in cui l’intentio fosse incerta, e ciò – come si è detto – al fine di precisare i presupposti di fatto dell’azione. Qualche volta alla demonstratio seguiva direttamente la condemnatio ovvero l’adiudicatio, come nell’actio iniuriarum e nelle azioni divisorie.
Gaio (Gai 4.40) riporta due esempi di demonstratio relativi l’uno all’actio venditi e l’altro all’actio depositi:
“…quod A. Agerius N. Negidio hominem vendidit;… quod A. Agerius apud N. Negidium hominem deposuit” [ ... poiché A. Agerio ha venduto a N. Negidio uno schiavo; ... poiché A. Agerio ha depositato presso N. Negidio uno schiavo].
La condemnatio – secondo quanto riporta Gai 4.43 – “est ea pars formulae, qua iudici condemnandi absolvendive potestas permittitur … iudex N. Negidium A. Agerio sestertium X milia condemna; si non paret, absolve” [è quella parte della formula, con la quale al giudice è concesso il potere di condannare o di assolvere, ... o giudice condanna N. Negidio per diecimila sesterzi a favore di A. Agerio; se non sembra, assolvilo].
La condemnatio formulare era sempre espressa in termini pecuniari, conferiva cioè al giudice il potere di condannare soltanto al pagamento di una somma di denaro; per il che il iudex in un’azione di rivendicazione della proprietà non avrebbe potuto ordinare la restituzione della lis, ma, effettuata la stima della stessa sulla base di un giuramento estimatorio dell’attore (iusiurandum in iudicio), soltanto condannare il convenuto al pagamento del suo controvalore (litis aestimatio).
Anche la condemnatio poteva essere certa (se prevedeva l’ammontare della somma di denaro) o incerta (se la somma era da determinare); in tale ultima evenienza, Gaio (4.51) parla di condemnatio incerta et infinita o di condemnatio cum taxatione: in entrambe le ipotesi la liquidazione era rimessa al giudice, ancorché la decisione di costui, nel primo caso, non era soggetta ad alcun limite prefissato, nel secondo non poteva oltrepassare il ‘tetto’ massimo stabilito dal pretore.
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Condizione negativa con efficacia esclusoria della condanna, l’exceptio era un mezzo di difesa del convenuto introdotto nella regola di giudizio su istanza di quest’ultimo.
L’eccezione era posta tra l’intentio e la condemnatio ed era formulata in modo negativo:
Gai 4.119. “Omnes autem exceptiones in contrarium concipiuntur, quam adfirmat is, cum quo agitur. Nam si verbi gratia reus dolo malo aliquid actorem facere dicat, qui forte pecuniam petit quam non numeravit, sic exceptio concipitur: SI IN EA NIHIL DOLO MALO A. AGERII FACTUM SIT NEQUE FIAT …” [tutte le eccezioni sono formulate in senso contrario all'affermazione di colui contro il quale si agisce. Se ad esempio il convenuto afferma che l'attore fa qualche cosa con dolo malvagio perché supponiamo chiede denaro che mai ha versato, l'eccezione si formula così: SE IN CIÒ NIENTE DA A. AGERIO SIA STATO FATTO O SI FACCIA CON DOLO MALVAGIO ...]).
Mediante l’exceptio il reus adduceva circostanze di fatto iure civili irrilevanti oppure circostanze di diritto (in quest’ultimo caso si trattava di principi introdotti da leggi, plebisciti e senatoconsulti di più recente emanazione), tutte in vario modo idonee a rendere inoperante sul piano del ius honorarium un’intentio in sé fondata.
In questo modo il giudice avrebbe dovuto accertare non soltanto il fondamento dell’intentio, ma anche l’infondatezza delle allegazioni del convenuto.
Il giudice che accertasse il fondamento dell’eccezione doveva assolvere il convenuto, nonostante il riconoscimento del diritto dell’attore.
Allo stesso modo delle azioni, anche le eccezioni erano tipiche, nella misura in cui erano contemplate nell’editto.
Nondimeno il pretore venne, sulla base della sua causae cognitio, a prevedere l’impiego di altre exceptiones, e ciò dal momento che esse rappresentavano lo strumento più efficace per corrigere il ius civile. In proposito le fonti talora parlano di exceptiones in factum.
Le eccezioni si distinguevano in peremptoriae (letteralmente ‘mortifere’: eccezioni che potevano essere opposte in ogni momento, con la conseguenza che paralizzavano in via definitiva la pretesa dell’attore) e dilatoriae (eccezioni che potevano essere opposte solo entro determinati limiti e, pertanto, non inficiavano l’azione in ogni tempo ed in ogni circostanza).
Dopo l’eccezione nella formula poteva essere inserita, questa volta su istanza dell’attore, una replicatio: come precisa Gai 4.126-126a, se l’eccezione, a prima vista iusta, nuocesse iniquamente all’actor, a quest’ultimo era concesso di dedurre nuove circostanze di fatto o di diritto rivolte a controbattere la vis exceptionis. Nulla esclude che il iudicium potesse arricchirsi di ulteriori clausole (quali, ad es., la duplicatio, la triplicatio, promosse di volta in volta dal convenuto o dall’attore) per consentire alle parti di procedere all’esatta rappresentazione in causa di tutte le questioni tra di loro intercorse.
In ordine all’adiudicatio, Gaio (Gai 4.42), dopo aver anche stavolta definito la funzione della clausola (“adiudicatio est ea pars formulae, qua permittitur iudici rem alicui ex litigatoribus adiudicare” [l'adiudicatio è quella parte della formula, con la quale al giudice è concesso di assegnare la cosa ad uno dei litiganti]), precisa che essa si rinviene nelle azioni divisorie (actio familiae erciscundae, actio communi dividundo e in quella per il regolamento dei confini).
L’inserimento dell’adiudicatio nella formula escludeva in linea di massima la configurabilità della condemnatio all’interno della stessa regola di giudizio, tranne nell’ipotesi in cui, non essendo possibile un’esatta ripartizione dei beni, era necessario procedere a conguagli in denaro (condemnationes).
La praescriptio, figurante prima dell’intentio e, forse, prima anche della iudicis nominatio, come sottolinea la relativa denominazione (di clausola scritta prima delle altre) segnava l’inizio della formula. Rivolta a delimitare l’ambito applicativo della controversia, essa poteva essere dedotta dall’attore (praescriptio pro actore) o dal convenuto (praescriptio pro reo) e mirava ad un accertamento preventivo dei fatti in essa espressi.
All’epoca di Gaio erano operative soltanto le praescriptiones pro actore, dal momento che quelle pro reo erano state sostituite – si precisa in Gai 4.133 – dalle eccezioni.
Il giurista antoniniano (Gai 4.131) riporta, come esempio, il caso della praescriptio riconosciuta al creditore di prestazioni periodiche al fine di conseguire l’adempimento non già dell’intera obbligazione, ma soltanto delle rate già scadute per decorrenza dei termini (“ea res agatur, cuius rei dies fuit“: sia oggetto della controversia ciò il cui termine è scaduto); in questo modo l’attore evitava di incorrere nella pluris petitio tempore e non si precludeva il diritto di ripetere successivamente l’azione per l’ottenimento delle ulteriori rate che venissero a scadenza.
È discusso se la formula si chiudesse con una clausola contenente un’esplicita investitura, da parte magistrato nei confronti del giudice, concernente la funzione di decidere la lite con sentenza.
Si è ipotizzato che il iussum iudicandi (l’ordine di giudicare) solo in origine consistesse in un preciso ed autonomo provvedimento (in prosieguo di tempo implicitamente ricompreso nella condemnatio).
1. Il processo e la realizzazione coattiva del diritto
2. Le legis actiones - parte prima
3. Le legis actiones - parte seconda
4. Dalle legis actiones alle formulae
5. Le formule
6. Lo svolgimento del processo formulare. A) Dalla vocatio in ius alla litis contestatio
7. Lo svolgimento del processo formulare. B) La fase apud iudicem
8. L'esecuzione della sentenza formulare