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Annamaria Salomone » 6.Lo svolgimento del processo formulare. A) Dalla vocatio in ius alla litis contestatio


Le parti

Il processo formulare era fruibile non soltanto dai cittadini romani, ma anche dai latini e da taluni peregrini. Tuttavia, la presenza di una parte non romana dava luogo, certamente con la lex Iulia iudiciorum privatorum (sulla quale si v. supra lezione nr. 4), ma presumibilmente già prima, ad un giudizio fondato unicamente sull’imperium del magistrato giusdicente (iudicium imperio continens).

I cittadini liberi alieni iuris e le mulieres pervennero gradualmente alla capacità processuale.

Gli schiavi restarono perpetuamente esclusi da ogni capacità in giudizio.

La pluralità di parti

Le parti di un processo dovevano essere almeno due (Gai 4.78: ” … ipse mecum agere non possum … [ ... io non posso agire contro me stesso ...]). Di regola parti del processo erano i soggetti del rapporto controverso.

Vi erano ipotesi che deviavano dallo schema bilaterale del processo (come i giudizi divisori) e casi, diversi, in cui, pur essendovi due sole e contrapposte parti processuali, queste non erano monosoggettive, ma plurisoggettive.

Quando più soggetti, in vario modo partecipi di uno stesso rapporto giuridico, si presentano tutti insieme in giudizio (come parti attive passive) nel diritto comune e moderno si parla di litisconsorzio (consortium litis).

La pluralità di parti (segue)

Senza escludere la possibilità che più soggetti intervenissero in giudizio dal lato dell’attore o del convenuto, i giuristi classici discutevano piuttosto dell’estensione degli effetti della sentenza pro o contro i compartecipi al rapporto giuridico controverso, anche se non presenti in giudizio.

È possibile che un soggetto estraneo intervisse in una lite o perché interessato alla decisione o perché chiamato in causa da una delle parti. Gli antichi giureconsulti si occuparono in modo particolare della chiamata alla lite (denuntiatio litis) del venditore affinché prestasse assistenza al compratore minacciato nel suo acquisto da un terzo (il cd. pericolo di evizione).

La sostituzione processuale

Nel processo formulare non era indispensabile che fossero presenti al processo i titolari del rapporto giuridico litigioso.
Nel caso di soggetti giuridici immateriali (ad es. pupulus romanus, municipia, collegia licita) e degli incapaci di agire (soggetti sottoposti a tutela e curatela) si determinava una sostituzione necessaria nell’attività processuale. In tutte le altre ipotesi la sostituzione processuale era volontaria: o la parte indicava in iure una persona di fiducia (cognitor) dalla quale intendeva essere sostituita nello svolgimento del processo, oppure un terzo (procurator) assumeva, indirettamente, la rappresentanza dichiarando di agire per la parte assente.

La vocatio in ius

Perché il processo avesse principio occorreva che l’attore assumesse l’iniziativa di chiamare in giudizio il convenuto (vocatio in ius).
La vocatio in ius poteva essere fatta il qualsiasi luogo l’attore incontrasse il convenuto. In ogni caso il quest’ultimo non poteva essere tratto fuori dalla sua abitazione con la forza (Paulus 1 ad edictum, D. 2.4.21: “ … de domo sua nemo extrahi debet“).

” … nei processi civili romani più antichi, sia per legis actiones, sia per formulas, l’atto che aveva tipicamente la funzione di invitare il convenuto a comparire, l’in ius vocatio, sembra aver avuto natura completamente astratta e non avere quindi contenuto l’indicazione della pretesa e della sua ragione. Questa indicazione poteva avvenire solo mediante un atto separato e distinto” (G. Pugliese).

La comparizione delle parti

Il convenuto che avesse ricevuto la vocatio in ius era tenuto a presentarsi in giudizio. La mancata comparizione di entrambe le parti impediva che la lite si instaurasse.

Il soggetto che volontariamente si sottraeva alla vocatio in ius (latitans) o che vocatus non si presentasse in giudizio (absens) incorreva in delle sanzioni. Tuttavia, a differenza di quanto avveniva nel processo delle legis actiones, in luogo del ricorso alla forza (la cd. manus iniectio stragiudiziale: cfr. tab. I 1-3) si predisposero mezzi di coercizione indiretta.

La comparizione delle parti (segue)

In particolare l’editto del pretore prevedeva l’irrogazione di una pena (Gai 4.183 “… sciendum est … eum qui vocatus est, si non venerit, poenam ex edicto praetoris committere …” [ ... bisogna sapere che ... il chiamato, se non compaia, incorre in una pena prevista nell'editto del pretore ...]) e l’immissione di un terzo nel possesso (missio in possessionem) dei beni del vocatus nella prospettiva di un’eventuale vendita all’asta (Gai 3.78 “Bona … veneunt vivorum … veluti eorum qui fraudationis causa latitant nec absentes defenduntur …” [ Si vendono i beni dei vivi .... ad esempio quando in malafede si nascondono e, assenti, non si difendono ... ]).

I vadimonia

Nell’ipotesi in cui il processo non si esaurisse in un’unica udienza, il convenuto doveva promettere all’attore, mediante una promessa stipulatoria, di ricomparire ad un’altra udienza con data fissa (cautio vadimonium sisti):

Gai 4.184 “Cum autem in ius uocatus fuerit aduersarius neque eo die finiri potuerit negotium, uadimonium ei faciendum est, id est ut promittat se certo die sisti” [L'avversario chiamato in giudizio nell'ipotesi in cui il processo non sia pututo terminare in quel giorno deve effettuare il vadimonium, cioè promettere di comparire in un giorno determinato].

Oltre al vadimonium di ricomparizione del convenuto, si affermò la prassi di un accordo (stragiudiziale) liberamente concluso tra le parti circa la data e l’ora della prima udienza dinnanzi al magistrato. Questa prassi sostituì nel tempo la in ius vocatio.

Il vadimonium Romam

Una particolare applicazione del vadimonium si aveva nell’ipotesi in cui le parti si presentassero dinnanzi ad un magistrato locale incompetente e questi intimasse al convenuto di promettere di comparire dinnanzi ad uno dei pretori a Roma (vadimonium Romam).

Diversi ritrovamenti archeologici (in particolare ad Ercolano, le Tabulae Herculanenses, e a Murecine, le Tabulae Pompeianae) hanno dimostrato la diffusione del ricorso ai vadimonia.


L’editio actionis

L’attore aveva l’onere di edere actionem (rendere esplicita l’azione e la relativa causa petendi) prima che avesse principio il dibattimento in iure al fine di consentire al convento di decidere se confessare oppure difendersi:

Ulpianus D. 2.1.3.1 pr. ” … quisque actione agere volet, eam edere debet; nam aequissimum videtur eum qui acturus est edere actionem ut proinde sciat reus, utrum cedere aut contendere ultra debeat …”

L’editio actionis stragiudiziale

La convocazione in giudizio del convenuto (in ius vocatio) era usualmente già accompagnata da una sommaria esposizione da parte dell’attore del fondamento dell’azione (editio actionis stragiudiziale). Non era prevista una modalità precisa. Tale esposizione poteva essere contenuta in un biglietto (libellus) oppure effettuata oralmente: Labeone suggeriva di condurre il convenuto dinnanzi all’albo pretorio per indicargli il rimedio prescelto (cfr. Ulpianus 4 ad edictum, D. 2.13.1.1).

Il dibattimento

L’attività delle parti in iure consisteva principalmente nelle richieste (postulationes) che queste rivolgevano al magistrato.
Le richieste dell’attore concernevano anzitutto l’azione (postulatio actionis), quindi eventuali replicationes; quelle del convenuto la contestazione della pretesa dell’attore (denegatio actionis) e l’eventuale inserzione di exceptiones nella formula.

Il iusiurandum

Sia l’attore sia il convenuto potevano invitare la controparte a giurare (delatio iurisiurandi) sul fondamento delle proprie ragioni.
Il giuramento reso dalla parte dinnanzi al pretore poneva fine alla lite.
Il destinatario dell’invito poteva peraltro rifiutarsi di giurare, aprendo così la strada alla litis contestatio, oppure ‘rovesciare la situazione’ e riferire a sua volta il giuramento alla controparte (relatio iurisiurandi).
In talune ipotesi (actio certae creditae pecuniae) il giuramento non poteva essere riferito.
Qualora il qualora il magistrato appoggiasse la delazione del giuramento dall’attore al convenuto (actio certae creditae pecuniae, actio de pecunia constituta, actio rei uxoriae) ove quest’ultimo si rifiutasse di giurare era considerato indefensus.

La confessio in iure

Il riconoscimento dal parte del buon diritto dell’attore (confessio in iure), al pari del iusiurandum, avrebbe potuto porre fine alla lite senza necessità di una litis contestatio.

Si distingueva la confessione relativa ad una somma di denaro (confessio certae pecuniae), la quale consentiva direttamente l’esecuzione, dalla confessione relativa ad un certum diverso dal denaro o ad un incertum, in ordine alle quali occorreva che avesse comunque luogo la litis contestatio e la pronuncia della sentenza allo scopo di determinare l’ammontare della summa condemnationis.

La litis contestatio

L’espressione litis contestatio originariamente designava la chiamata di testimoni nella fase in iure delle legis actiones.

Con la stessa terminologia nella procedura per formulas si allude a qualcosa di diverso: segnatamente al raggiungimento in iure dell’accordo sulla formula (cfr. supra, lezione 4).

Il compimento della litis contestatio determinava che la res fosse in iudicium deducta (la controversia fosse sottoposta alla decisione del giudice).

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