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Carla Masi Doria » 12.Le 'leggi' del compromesso licinio-sestio. Il consolato


Il compromesso licinio-sestio

Cronologia:

  • 376 – 367 a.C.: Gaio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano eletti al tribunato ogni anno;
  • 375 – 371 a.C.: impedita l’elezione delle magistrature.
    • Critica: sarebbe stato impossibile per la repubblica sopravvivere così a lungo in uno stato di paralisi istituzionale.
  • 368 a.C.: M. Furio Camillo, dittatore, si oppone alle richieste della plebe ma è costretto ad abdicare;
  • 367 a.C.: Camillo, dittatore, cede insieme al Senato alle richieste della plebe;
  • 366 a.C.: L. Sestio Laterano riveste la carica di console.

Dalle fonti (soprattutto Livio e Zonara) apprendiamo che:

  • Tra il 366 ed il 342 a.C.: ci furono 7 collegi esclusivamente patrizi.
  • Dal 342 per 170 anni un console patrizio e uno plebeo.
  • Nel 215 a.C.: M. Claudio Marcello, eletto come console plebeo, fu costretto ad abdicare (secondo le testimonianze di Livio e Plauto).

Il compromesso licinio-sestio (segue)

Interpretazione:

  • Dal 367 a.C.: uno dei consoli non doveva, ma poteva essere plebeo.
  • Dal 342 a.C.: la presenza di un plebeo fu garantita, forse attraverso un plebiscito.
  • Nel 172 a.C.: per la prima volta furono eletti due consoli plebei.

Le ‘leggi’ Liciniae Sextiae

Liv. 6.35 attesta tre rogationes di Licinio Stolone e Sestio Laterano

  • De aere alieno: prevedeva che i prestiti potessero essere restituiti in tre rate, imputando i pagamenti prima agli interessi e quindi al capitale.
  • De modo agrorum: stabiliva la quantità massima di terreno che un pater familias poteva occupare: 500 iugeri, cioè 125 ettari (Liv. 6.35.5), anche se è stato notato che è un limite troppo alto per il IV sec. a.C.
  • De consule plebeio: consentì che uno dei due consoli fosse plebeo. A parziale compensazione della perduta esclusiva sul consolato, i patrizi riuscirono ad istituire la pretura come magistratura giusdicente funzionalmente autonoma che fu quindi ad essi riservata. In questo periodo fu istituita altresì l’edilità curule.

Caratteristiche e limiti della magistratura

  • Temporaneità: di regola i magistrati duravano in carica 1 anno, esclusi i censori (18 mesi) ed il dittatore (fino a 6 mesi).
  • Collegialità: normalmente 2 (consoli, censori, edili curuli).
  • Gratuità: non esisteva alcun indennizzo per la carica ricoperta e questo costituiva un ulteriore sbarramento per i potenziali candidati privi delle risorse finanziarie necessarie alla gestione della campagna elettorale.
  • Intercessio tra i colleghi: potere di veto che impediva al collega di iniziare o portare a termine un’attività specifica. Secondo gran parte degli studiosi quando venne istituita la pretura peregrina a fianco di quella urbana i rispettivi titolari non potevano intercedere l’uno contro l’altro, rimanendo funzionalmente indipendenti.
  • Responsabilità civile e penale per il proprio operato alla cessazione della carica (tranne che per il dittatore).
  • Provocatio ad populum (leggi de provocatione): secondo le fonti, l’istituzione di questa ‘garanzia costituzionale’, che limitava il potere di coercitio magistratuale, risalirebbe all’inizio della Repubblica. Secondo parte della storiografia (v. Kunkel) si sarebbe stabilizzata solo dal 300 a. C. (con una lex Valeria). Dettagli ulteriori nella lezione n. 7.

Il consolato

I consoli (da consulere = consultarsi, deliberare, provvedere) erano:

  • eponimi (davano il nome all’anno);
  • dotati di suprema potestas e di imperium maius (domi militiaeque), potevano esercitare l’intercessio (potere di veto) nei rapporti con il collega, avevano inoltre una competenza generale residuale per l’amministrazione politica della res publica;
  • scortati ciascuno da 12 littori (fuori del pomerium, salvi i casi di trionfo).
  • Esercitavano il potere mediante appositi meccanismi di divisione: a) turno (mensile per gli affari civili; giornaliero per il comando militare); b) sorteggio (sors) o accordo politico (comparatio) nella divisione di provinciae (non risulta però mai assegnato all’uno il comando civile ed all’altro quello militare). Ai fini della distribuzione delle mansioni rilevava anche l’ordine della proclamazione della coppia consolare: il primo eletto acquisiva una maggiore autorevolezza che poteva far valere nella gestione collegiale delle attività.

I poteri dei consoli

Imperium domi:

  • ius agendi cum populo e cum patribus;
  • presidenza del senato e dei comitia centuriata;
  • potere di iniziativa legislativa;
  • potere di creatio dei magistrati;
  • potere di dictio del dittatore;
  • sovrintendevano alle manomissioni;
  • coercitio criminale e compiti di polizia;
  • imposizione di tributi;
  • gestione del denaro pubblico;
  • potevano avvalersi dell’assistenza dei principes civitatis (senatori di rango consolare, che formavano un ristretto consilium).

Imperium militiae:

  • comando dell’esercito;
  • indizione delle leve (=dilectus) disposte con senatus consultum; imposizione di tributi militari; gestione del bottino di guerra.

Approfondimento 1

Liv. 6.35.4. Creatique tribuni C. Licinius et L. Sextius promulgauere leges omnes adversus opes patriciorum et pro commodis plebis: unam de aere alieno, ut deducto eo de capite quod usuris pernumeratum esset id quod superesset triennio aequis portionibus persolueretur; alteram de modo agrorum, ne quis plus quingenta iugera agri possideret; tertiam, ne tribunorum militum comitia fierent consulumque utique alter ex plebe crearetur; cuncta ingentia et quae sine certamine maximo obtineri non possent.
Eletti tribuni, Gaio Licinio e Lucio Sestio proposero delle leggi, tutte dirette contro la potenza dei patrizi e favorevoli agli interessi della plebe: una sui debiti, secondo la quale, dedotto dal capitale ciò che si era pagato per gli interessi, tutto il residuo si doveva pagare in tre rate annuali eguali: [5] una seconda sui limiti del possesso fondiario, perché nessuno potesse possedere più di cinquecento iugeri di terre: la terza perché non si tenessero i comizi per la elezione dei tribuni militari e uno dei consoli fosse tratto in ogni caso dalla plebe: proposte tutte di estrema importanza e gravità e che non si sarebbero potute realizzare senza una lotta molto dura.

Approfondimento 2

Liv. 6.35.6. Omnium igitur simul rerum, quarum immodica cupido inter mortales est, agri, pecuniae, honorum discrimine proposito conterriti patres, cum trepidassent publicis privatisque consiliis, nullo remedio alio praeter expertam multis iam ante certaminibus intercessionem invento collegas adversus tribunicias rogationes comparaverunt. [7] Qui ubi tribus ad suffragium ineundum citari a Licinio Sextioque viderunt, stipati patrum praesidiis nec recitari rogationes nec sollemne quicquam aliud ad sciscendum plebi fieri passi sunt…
Essendo stati posti a repentaglio tutti insieme, in una sola volta, tutti i beni dei quali i mortali sono smodatamente cupidi – la terra, il denaro, gli onori -, i patrizi. sgomenti, non avendo trovato in affannose riunioni pubbliche e private altro rimedio all’infuori del veto tribunizio già sperimentato in precedenza in molte altre occasioni di contrasto con la plebe, si procurarono l’appoggio di tribuni che facessero opposizione alle proposte dei colleghi. [7] E costoro, quando videro che le tribù venivano chiamate da Licinio e Sestio per iniziare la votazione, protetti da manipoli di patrizi, non permisero né che si leggessero le proposte né che si compisse alcun’altra delle solite formalità necessarie perché la plebe potesse stabilire alcunché…

Approfondimento 3

Liv. 6.42.4. Cum praeter Velitrarum obsidionem, tardi magis rem exitus quam dubii, quietae externae res Romanis essent, fama repens belli Gallici allata perpulit civitatem ut M. Furius dictator quintum diceretur. Is T. Quinctium Poenum magistrum equitum dixit. Bellatum cum Gallis eo anno circa Anienem flumen auctor est Claudius inclitamque in ponte pugnam, qua T. Manlius Gallum cum quo provocatus manus conseruit in conspectu duorum exercituum caesum torque spoliavit, tum pugnatam. Pluribus auctoribus magis adducor ut credam decem haud minus post annos ea acta, hoc autem anno in Albano agro cum Gallis dictatore M. Furio signa conlata … [7] Nec dubia nec difficilis Romanis, quamquam ingentem Galli terrorem memoria pristinae cladis attulerant, victoria fuit. multa milia barbarorum in acie, multa captis castris caesa; palati alii Apuliam maxime petentes cum fuga [se] longinqua tum quod passim eos simul pavor errorque distulerant, ab hoste sese tutati sunt. [8] … Dictatori consensu patrum plebisque triumphus decretus. [9] Vixdum perfunctum eum bello atrocior domi seditio excepit, et per ingentia certamina dictator senatusque victus, ut rogationes tribuniciae acciperentur; et comitia consulum adversa nobilitate habita, quibus L. Sextius de plebe primus consul factus.
Mentre, a parte l’assedio di Velletri (impresa il cui esito più che essere incerto tardava a venire), la situazione all’esterno era tranquilla, la notizia improvvisamente diffusasi di una guerra da parte dei Galli spinse la città a nominare per la quinta volta dittatore Marco Furio Camillo. Egli nominò magister equitum Tito Quinzio Peno… [7] La vittoria non fu né incerta né difficile per i Romani, nonostante che i Galli avessero provocato grande paura con il ricordo dell’antico disastro… [8] … Al dittatore fu decretato il trionfo con il consenso sia dei patrizi che della plebe.[9] Appena conclusa quella guerra, una sedizione ben più grave attendeva Furio Camillo in patria: dopo accaniti contrasti, il dittatore ed il senato furono sconfitti e le proposte dei tribuni approvate. Nonostante l’opposizione della nobiltà, si tennero i comizi per l’elezione dei consoli ed in essi Lucio Sestio, primo fra i plebei, fu eletto console.

Approfondimento 4

Liv. 6.42.10. Et ne is quidem finis certaminum fuit. quia patricii se auctores futuros negabant, prope secessionem plebis res terribilesque alias minas civilium certaminum venit [11] cum tandem per dictatorem condicionibus sedatae discordiae sunt concessumque ab nobilitate plebi de consule plebeio, a plebe nobilitati de praetore uno qui ius in urbe diceret ex patribus creando.
Ma neppure allora ebbero fine i contrasti. Poiché i patrizi dicevano che non avrebbero dato il loro avallo all’elezione del console plebeo, si giunse quasi ad una nuova secessione della plebe e ad altre terribili minacce di guerre civili [11] finché, per opera del dittatore, le discordie furono sedate con un compromesso: la nobiltà cedette alla plebe sulla questione del console plebeo mentre la plebe concesse alla nobiltà che si creasse un pretore, scelto fra i patrizi, che esercitasse la giurisdizione nella città.

Le lezioni del Corso

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