Incise originariamente su dodici tavole lignee, andate perdute nell’incendio gallico del 390 a.C., la ‘legge’ è ricostruibile in parte soprattutto in base a passi di opere che ne hanno tramandato il contenuto.
La finalità fu quella di garantire un testo certo, non esaustivo, ai mores, sottraendoli alla esclusiva memorizzazione dei pontifices, i quali potevano apportarvi arbitrarie modifiche, anche in via interpretativa, senza alcuna forma di controllo. L’effetto fu quello di creare un corpus unitario di norme destinato a regolare la vita della comunità.
Una parte consistente di quanto ci è pervenuto è dedicata al diritto processuale (tavole 1-3); nel diritto privato prevalgono disposizioni in materia di negozi giuridici (tavola 6), rapporti di vicinato (tavola 7), famiglia (tavola 4) ed eredità (tavola 5). Le tavole 8 e 9 riguardano il diritto criminale, mentre la 10 attiene a fattispecie di ius sacrum.
Problema discusso dalla storiografia più recente è la presenza del ius publicum nella codificazione decemvirale.
Si in ius vocat, ito. Ni it, antestamino. Igitur em capito.
Si calvitur pedemve struit, manum endo iacito. Si morbus aevitasve vitium escit, iumentum dato. Si nolet, arceram ne sternito.
Assiduo vindex assiduus esto. Proletario iam civi quis volet vindex esto.
Rem ubi pacunt, orato.
Ni pacunt, in comitio aut in foro ante meridiem caussam coiciunto. Com peroranto ambo praesentes.
Post meridiem praesenti litem addicito.
Si ambo praesentes, solis occasus suprema tempestas esto.
- Vendetta privata dell’offeso
- Sanzioni commisurate alla tipologia di illecito, superando l’arcaica ‘legge del taglione’ e promuovendo misure penali alternative, soprattutto di tipo risarcitorio e ripristinatorio.
- Intervento pubblico solo per condotte che minacciassero la sopravvivenza della comunità nel suo complesso o che ledessero valori fondamentali (il parricidium, la perduellio)
Liv. 3.34.1. Cum promptum hoc ius velut ex oraculo incorruptum pariter ab iis summi infimique ferrent, tum legibus condendis opera dabatur; ingentique hominum exspectatione propositis decem tabulis, populum ad contionem advocaverunt et, [2] quod bonum faustum felixque rei publicae ipsis liberisque eorum esset, ire et legere leges propositas iussere: [3] se, quantum decem hominum ingeniis provideri potuerit, omnibus, summis infimisque, iura aequasse: plus pollere multorum ingenia consiliaque. [4] Versarent in animis secum unamquamque rem, agitarent deinde sermonibus, atque in medium quid in quaque re plus minusve esset conferrent. [5] Eas leges habiturum populum Romanum quas consensus omnium non iussisse latas magis quam tulisse videri posset. [6] Cum ad rumores hominum de unoquoque legum capite editos satis correctae viderentur, centuriatis comitiis decem tabularum leges perlatae sunt, qui nunc quoque, in hoc immenso aliarum super alias acervatarum legum cumulo, fons omnis publici privatique est iuris.
[segue]
[segue Liv. 3.34.1]
Mentre i più potenti ed i più umili fra i cittadini, tutti sullo stesso piano, avevano da loro così pronta giustizia, imparziale come se provenisse da un oracolo, si provvedeva anche alla compilazione delle leggi; esposte al pubblico, tra la grande attesa della cittadinanza, dieci tavole, (i decemviri) convocarono il popolo in pubblica adunanza e [2], con l’augurio che ciò fosse buono, fausto e felice per la repubblica, per loro stessi e per i loro figli, ordinarono che tutti si recassero a prender visione dei progetti di legge esposti. [3] Da parte loro (dicevano) avevano provveduto, per quanto era stato possibile all’ingegno di dieci persone, a rendere eguali per tutti, i più potenti ed i più umili, i iura; potevano, però, fare di più gli ingegni ed i giudizi di molti.
[segue]
[segue Liv. 3.34.1]
[4] Meditassero, dunque, dentro di sé ciascun particolare, ne discutessero e dicessero pubblicamente il loro giudizio su ciò che ritenevano fossero eccessi o imperfezioni riscontrati su qualsiasi argomento: [5] il popolo romano avrebbe avuto, così, leggi tali da apparire, ancor più che approvate, proposte con il consenso di tutti. [6] Quando poi esse parvero sufficientemente emendate in base a ciò che dai cittadini si era detto su ogni singolo capo, le dieci tavole di leggi furono portate per l’approvazione dinanzi ai comizi centuriati; ed ancor oggi, in questo immenso cumulo di leggi via via ammassate le une sulle altre, esse rappresentano la fonte di tutto il diritto pubblico e privato.
Liv. 3.34.7. Volgatur deinde rumor duas deesse tabulas quibus adiectis absolui posse velut corpus omnis Romani iuris. Ea exspectatio, cum dies comitiorum adpropinquaret, desiderium decemviros iterum creandi fecit. [2] Iam plebs, praeterquam quod consulum nomen haud secus quam regum perosa erat, ne tribunicium quidem auxilium, cedentibus in vicem appellationi decemviris, quaerebat.
Si diffuse poi la voce che mancavano ancora due tavole, aggiunte le quali si sarebbe potuto considerare compiuta questa specie di corpus di tutto il diritto romano. Nell’imminenza del giorno delle elezioni, questa attesa suscitò il desiderio di eleggere di nuovo dei decemviri. [8] Ed ormai la plebe, oltre ad avere in odio il nome dei consoli non meno di quello dei re, non cercava neppure l’ausilio dei tribuni, dato che i decemviri cedevano vicendevolmente all’esercizio del veto da parte di uno dei colleghi.
Cic. de leg. 2.23.59. (Marcus). «… lam cetera in XII minuendi sumptus sunt lamentationisque funebris, transiata sunt de Solonis fere legibus. ‘Hoc plus’, inquit, ‘ne facito. Rogum ascea ne polito’. Nostis quae sequuntur. Discebamus enim pueri XII ut carmen necessarium, quas iam nemo discit».
(Marco). «… Le altre disposizioni delle dodici tavole, relative alla diminuzione delle spese e delle lamentazioni funebri, sono quasi interamente tradotte dalle leggi di Solone. Qui è detto: ‘Non si faccia più di questo, non si pialli con ascia la legna del rogo’. Ciò che segue lo sapete. Infatti da ragazzi imparavamo le dodici tavole come carmen necessarium, mentre ora nessuno più le studia».
Cic. de orat. 1.43.193-44.195. (Crassus). «… quem haec Aeliana studia delectant, plurima est et in omni iure civili et in pontificum libris et in XII tabulis antiquitatis effigies, quod et verborum vetustas prisca cognoscitur et actionum genera quaedam maiorum consuetudinem vitamque declarant; sive quem civilis scientia, quam Scaevola non putat oratoris esse propriam, sed cuiusdam ex alio genere prudentiae, totam hanc descriptis omnibus civitatis utilitatibus ac partibus XII tabulis contineri videbit: sive quem ista praepotens et gloriosa philosophia delectat, – dicam audacius – hosce habet fontis omnium disputationum suarum, qui iure civili et legibus continentur: [194] ex his enim et dignitatem maxime expetendam videmus, cum vera virtus atque honestus labor honoribus, praemiis, splendore decoratur, vitia autem hominum atque fraudes damnis, ignominiis, vinclis, verberibus, exsiliis, morte multantur; et docemur non infinitis concertationumque plenis disputationibus, sed auctoritate nutuque legum domitas habere libidines, coercere omnis cupiditates, nostra tueri, ab alienis mentis, oculos, manus abstinere. [195] Fremant omnes licet, dicam quod sentio: bibliothecas me hercule omnium philosophorum unus mihi videtur XII tabularum libellus, si quis legum fontis et capita viderit, et auctoritatis pondere et utilitatis ubertate superare».
[segue]
[segue Cic. de orat. 1.43.193-44.195]
(Crasso). «… chi si diletta degli studi Eliani può trovare in tutto il diritto civile, nei libri dei pontefici e nelle dodici tavole un fedele ritratto dei tempi antichi: infatti vi si impara a conoscere l’antico e desueto linguaggio e certi particolari tipi di azioni rivelano le consuetudini e la vita dei nostri antenati. Chi ama poi quella scienza civile, che Scevola non ritiene essere propria dell’oratore, ma di un altro genere di dottrina, la vedrà tutta riflessa nelle dodici tavole, dove sono delineati tutti gli interessi e le istituzioni della città. Dirò ancora più chiaramente: chi si diletta infine di filosofia, di questa filosofia prepotente e gloriosa, avrà come fonti delle sue discussioni proprio ciò che è contenuto nel diritto civile e nelle leggi. [194] In questi vediamo infatti altamente la dignità, dal momento che assegnano onori, premi e gloria alla vera virtù e all’onesto operare, mentre puniscono i vizi e le frodi degli uomini con castighi, ignominie, carceri, frustate, esili e morte. E impariamo non attraverso infinite e litigiose discussioni, ma con l’autorità e la parola della legge a domare le nostre passioni, a frenare le nostre cupidigie, a conservare i nostri beni e a tener lontano da quelli degli altri il pensiero, gli occhi e le nostre mani. [44.195] Protestino pure tutti, dirò quel che penso: questo breve testo delle dodici tavole, da solo, se si tien conto dei principi fondamentali delle leggi, supera – per dio – per il peso della sua autorità e per l’ampiezza della sua utilità, le biblioteche di tutti i filosofi messe insieme».
Gellius, Noctes Atticae 20.1.1 Sextus Caecilius in disciplina iuris atque in legibus populi Romani noscendis interpretandisque scientia, usu auctoritateque inlustris fuit. [2]. Ad eum forte in area Palatina, cum salutationem Caesaris opperiremur, philosophus Favorinus accessit conlocutusque est nobis multisque aliis praesentibus. [3]. In illis tunc eorum sermonibus orta mentiost legum decemviralium, quas decemviri eius rei gratia a populo creati conposuerunt, in duodecim tabulas conscripserunt. [4]. Eas leges cum Sex. Caecilius inquisitis exploratisque multarum urbium legibus eleganti atque absoluta brevitate verborum scriptas diceret, “sit” inquit “hoc” Favorinus “in pleraque earum legum parte ita, uti dicis; non enim minus cupide tabulas istas duodecim legi quam illos duodecim libros Platonis de legibus. Sed quaedam istic esse animadvertuntur aut obscurissima aut lenia contra nimis et remissa aut nequaquam ita, ut scriptum est, consistentia”. [5] “Obscuritates” inquit Sex. Caecilius “non adsignemus culpae scribentium, sed inscitiae non adsequentium, quamquam hi quoque ipsi, qui, quae scripta sunt, minus percipiunt, culpa vacant.
[segue]
[segue Gellius, Noctes Atticae 20.1.1]
[6] Nam longa aetas verba atque mores veteres oblitteravit, quibus verbis moribusque sententia legum conprehensa est. Trecentesimo quoque anno post Romam conditam tabulae conpositae scriptaeque sunt, a quo tempore ad hunc diem anni esse non longe minus sescenti videntur. [7] Dure autem scriptum esse in istis legibus quid existimari potest? nisi duram esse legem putas, quae iudicem arbitrumve iure datum, qui ob rem dicendam pecuniam accepisse convictus est, capite poenitur aut quae furem manifestum ei, cui furtum factum est, in servitutem tradit, nocturnum autem furem ius occidendi tribuit. [8]. Dic enim, quaeso, dic, vir sapientiae studiosissime, an aut iudicis illius perfidiam contra omnia iura divina atque humana iusiurandum suum pecunia vendentis aut furis manifesti intolerandam audaciam aut nocturni grassatoris insidiosam violentiam non dignam esse capitis poena existumes?” [9]. “Noli” inquit Favorinus “ex me quaerere, quid ego existumem. Scis enim solitum esse me pro disciplina sectae, quam colo, inquirere potius quam decernere.
[segue]
[segue Gellius, Noctes Atticae 20.1.1]
Sesto Cecilio fu illustre per dottrina, esperienza e autorità nella scienza del diritto e nella conoscenza e interpretazione delle leggi del popolo romano. [2] Una volta che aspettavamo l’imperatore nella piazza Palatina, per salutarlo, gli si avvicinò il filosofo Favorino e si mise a parlare con lui, mentre noi e molti altri eravamo presenti. [3] In quei loro discorsi si venne a parlare delle leggi decemvirali, di quelle che i decemviri, creati a questo fine dal popolo, stesero e misero per iscritto su dodici tavole. [4] Mentre Sesto Cecilio diceva che quelle leggi erano state scritte, dopo un’accurata esplorazione della legislazione di molte città, in uno stile elegante e perfetto per concisione, Favorino rispose: «È come dici per la maggior parte di quelle leggi, e infatti ho letto queste dodici tavole appassionandomi non meno che nel leggere i dodici libri Sulle leggi di Platone. Ma vi si notano alcune notme assolutamente oscure, altre assai crudeli, o, viceversa, troppo miti e indulgenti, altre ancora del tutto inconsistenti per come sono scritte». [5] «Per quanto riguarda le oscurità – rispose Sestio Cecilio – non possiamo darte la colpa a quelli che le scrissero, ma all’incompetenza di quelli che non riescono a capirle, anche se pure questi, che percepiscono meno le cose scritte, non hanno colpa.
[segue]
[segue Gellius, Noctes Atticae 20.1.1]
[6] infatti il lungo tempo trascorso ha cancellato dalla memoria quelle parole e quelle antiche usanze in cui è racchiuso il senso delle leggi. Quelle tavole furono redatte e scritte trecento anni dopo la fondazione di Roma e da quell’epoca ad oggi sono passati non meno di seicento anni. [7] E che cosa vi è in queste leggi che si può ritenere scritto con crudeltà? A meno che tu non consideri crudele la legge che punisce con la morte chi, fatto secondo diritto giudice o arbitro, è riconosciuto colpevole d’aver ricevuto denaro per giudicare la causa: o quella norma che rende il ladro manifesto schiavo del derubato o che dà a quest’ultimo il diritto di uccidere il ladro notturno. [8] Dimmi dunque – ti prego – dimmi, o tu che sai tanto, se non ritieni meritevole della pena capitale la perfidia di quel giudice che in contrasto con ogni diritto, divino o umano, viola per denaro il suo giuramento, o l’intollerabile audacia del ladro colto in flagrante o l’insidiosa violenza del grassatore notturno». [9] «No, non chiedere a me – disse Favorino – che cosa io pensi; tu sai bene che io, secondo il metodo della scuola che seguo, sono piuttosto solito pormi quesiti, piuttosto che decidere…».
D. 1.2.2.24 (Pomp. lib. sing. ench.). Et cum placuisset leges quoque ferri, latum est ad populum, uti omnes magistratu se abdicarent, quo decemviri constituti anno uno cum magistratum prorogarent sibi et cum iniuriose tractarent neque vellent deinceps sufficere magistratibus, ut ipsi et factio sua perpetuo rem publicam occupatam retineret: nimia atque aspera dominatione eo rem perduxerant, ut exercitus a re publica secederet. Initium fuisse secessionis dicitur verginius quidam, qui cum animadvertisset Appium Claudium contra ius, quod ipse ex vetere iure in duodecim tabulas transtulerat, vindicias filiae suae a se abdixisse et secundum eum, qui in servitutem ab eo suppositus petierat, dixisse captumque amore virginis omne fas ac nefas miscuisse: indignatus, quod vetustissima iuris observantia in persona filiae suae defecisset (utpote cum brutus, qui primus Romae consul fuit, vindicias secundum libertatem dixisset in persona vindicis vitelliorum servi, qui proditionis coniurationem indicio suo detexerat) et castitatem filiae vitae quoque eius praeferendam putaret, arrepto cultro de taberna lanionis filiam interfecit in hoc scilicet, ut morte virginis contumeliam stupri arceret, ac protinus recens a caede madenteque adhuc filiae cruore ad commilitones confugit. Qui universi de algido, ubi tunc belli gerendi causa legiones erant, relictis ducibus pristinis signa in Aventinum transtulerunt, omnisque plebs urbana mox eodem se contulit, populique consensu partim in carcere necati. Ita rursus res publica suum statum recepit.
[segue]
[segue D. 1.2.2.24 (Pomp. lib. sing. ench.)]
Si dice che sia stato causa della sedizione un certo Virginio, il quale, visto che Appio Claudio – agendo contro quel diritto che egli stesso aveva trasfuso dalle antiche costumanze nelle dodici tavole – gli aveva sottratto il possesso della figlia e l’aveva affidata a colui che, interposto dallo stesso Appio Claudio, l’aveva rivendicata come schiava, mescolando così completamente, colto da amore per la vergine, il lecito e l’illecito, indignato, perché nel caso di sua figlia era venuta meno un’antichissima osservanza del diritto, e ritenendo di dover privilegiare la castità della figlia alla sua stessa vita, preso un coltello dalla bottega di un macellaio, la uccise con l’intento di allontanare l’offesa dello stupro con la morte della fanciulla. E subito dopo l’uccisione, ancora bagnato del sangue della figlia, si era rifugiato presso i suoi commilitoni. Questi tutti, dal monte Algido, dove allora erano stanziate le legioni per operazioni belliche, lasciati i loro comandanti, trasferirono le insegne sull’Aventino, dove subito convenne tutta la plebe urbana, mentre, per volere del popolo, alcuni dei decemviri Furono uccisi in carcere. Così la repubblica riacquistava di nuovo il suo antico stato.
1. Introduzione. Fonti di produzione e di cognizione
2. Periodizzazioni, strutture preciviche
3. Rex: nomina e funzioni. Rapporti tra leges regiae e mores
4. La repressione criminale in età monarchica. I principali colle...
5. Assemblee curiate e centuriate. Ordinamento centuriato
6. Il passaggio dalla monarchia alla Repubblica. La magistratura d...
8. Le rivendicazioni plebee. Verso il decemvirato legislativo
10. Le leggi Valerie Orazie. Tribuni della plebe e plebisciti
11. Il tribunato militare. La censura. Il Senato.
12. Le 'leggi' del compromesso licinio-sestio. Il consolato
13. La pretura: in particolare, l'editto del pretore e la procedura...
14. La struttura della lex publica
15. Nomina e compiti del dittatore. Le magistrature minori
16. La laicizzazione del sapere giuridico
17. La crisi dell'agricoltura e le riforme di Tiberio e Caio Gracco...
18. L'ascesa al potere di Silla e la crisi della repubblica
19. La repressione criminale: dalle quaestiones straordinarie alle ...
21. Senatusconsulta. L'attività normativa del princeps: edicta man...
22. La giurisprudenza nel Principato
23. Il dominato: dalla tetrarchia di Diocleziano alle innovazioni d...
24. Cognitio extra ordinem: in particolare la procedura criminale
25. Le raccolte postclassiche di diritto. La legge delle citazioni
26. I Codici pregiustinianei. Le leggi romano-barbariche
27. Giustiniano: in particolare il Codex, le Institutiones, i Diges...
28. Quaesitor urnam movet. Un'immagine della procedura per quaestio...
29. Tra aequitas e ius gentium: tracce di un processo popolare in S...
30. Causa Serviliana: una magna contentio giudiziaria nel 51 a.C.
O. Diliberto, Materiali per la palingenesi delle XII Tavole, I, Cagliari 1992
O. Diliberto, Bibliografia ragionata delle edizioni a stampa della Legge delle XII Tavole (secoli XVI-XX), Roma 2001
M. Humbert (a cura di), Le Dodici Tavole. Dai Decemviri agli Umanisti, Pavia 2005