Virgilio (70 – 19 a.C.), dopo aver studiato retorica a Roma, scrive dal 26 l’Eneide
Servio vive nel IV secolo d.C., è grammatico e commentatore di Virgilio. Nei manoscritti il commento serviano si trova in una versione breve ed in una lunga, quest’ultima fu pubblicata da Pierre Daniel e va sotto il nome di Servius Auctus o Servius Danielis.
Ammiano Marcellino, vive tra il 330-395 d.C., di origine greca, si stabilì a Roma nel 378.
Presidente di quaestio
Votazione
La costituzione del collegio giudicante avviene attraverso sortitio: da un’urna (dal 59 a.C. con la lex Fufia le urne divennero 3) vengono estratti dal presidente i nomi dei giudici, in seguito venivano effettuate eventualmente le reiectiones, cioè le ricusazioni; l’album iudicum (900 nomi) era compilato annualmente dal pretor urbanus. Il numero dei giudici per ogni quaestio era determinato dalla legge istitutiva (ad es. nella quaestio de sicariis e de vi erano 51, in quella de repetundis 75).
L’urna assolveva ad una duplice funzione: contenitore dei nomi dei giudici all’inizio della procedura; deposito delle tabellae per il voto.
Uno dei principali problemi è l’individuazione dell’esatta scrittura originaria di con(c/s)ilium, in quanto da essa dipende il diverso significato attribuibile al termine
Le fonti di commento:
Ps. Asc. in Cic. Verr. II 1 [224 St.]: consilium
Tib. Cl. Donat. ad Verg. Aen. 6.431: consilium
Serv. Auct. ad Aen. 6.431: concilium
Le tradizioni manoscritte sono le seguenti:
Di seguito il confronto tra le due letture del passo:
1) Nec vero hae sine sorte datae, sine iudice, sedes: / quaesitor Minos urnam movet; ille silentum / consiliumque vocat vitasque et crimina discit.
E questi luoghi della condanna non sono assegnati senza sorteggio, senza giudice. / Il quaesitor, Minosse, scuote l’urna; / convoca il consiglio dei silenziosi e studia le vite e i crimini.
2) Nec vero hae sine sorte datae, sine iudice, sedes: / quaesitor Minos urnam movet; ille silentum / conciliumque vocat vitasque et crimina discit.
E questi luoghi della condanna non sono assegnati senza sorteggio, senza giudice. / Il quaesitor, Minosse, scuote l’urna; / convoca la moltitudine dei silenziosi (da giudicare) e studia le vite e i crimini.
Secondo Behrends sors vuol dire voto. La sua interpretazione del passo virgiliano (6.431 ss.) riportato nei Materiali è la seguente:
E questi luoghi della condanna non sono assegnati senza una pronuncia di giurati ed un processo magistratuale. / Il quaesitor, Minosse, tiene l’urna (dei voti); / convoca il consiglio dei silenziosi e studia le vite e i crimini.
Norden segue la lezione di Pseudo Asconio, valorizza il rapporto iudices – consilium e mette sullo stesso piano Servio e Donato.
Verg. Aen. 6.431 ss. Nec vero hae sine sorte datae, sine iudice, sedes: / quaesitor Minos urnam movet; ille silentum / consiliumque vocat vitasque et crimina discit.
E questi luoghi della condanna non sono assegnati senza sorteggio, senza giudice. / Il quaesitor, Minosse, scuote l’urna; / convoca il consiglio dei silenziosi e studia le vite e i crimini.
Serv. Auct. ad Aen. 6.431. Nam tempore quo causae agebantur conveniebant omnes – unde et ‘concilium’ ait – et ex sorte dierum ordinem accipiebant, quo post diem tricesimum suas causas exequerentur: unde est ‘urnam movet’.
Infatti nel tempo in cui si tenevano le cause tutti convenivano – da cui si dice anche concilium – e dal sorteggio dei giorni ricevevano un ordine, in base al quale le proprie cause dovevano esser trattate dopo trenta giorni, da cui viene ‘urnam movet‘.
Serv. ad Aen. 6.432. Quaesitores sunt qui exercendis quaestionibus praesunt.
I quaesitores sono coloro che presiedono le quaestiones.
Ps. Asc. in Cic. Verr. II 1 arg. acc. [224.22 ss. St.] Ad hanc enim similitudinem poëta Virgilius Minoen, iudicem apud inferos, tamquam si praetor sit rerum capitalium, quaesitorem appellat. Dat illi sortitionem, ubi urnam nominat; dat electionem iudicum, cum dicit consilium vocat; dat cognitionem facinorum, cum dicit vitasque et crimina discit.
A somiglianza di ciò infatti il poeta Virgilio definisce quaesitor Minosse, giudice negli inferi, come se fosse pretore delle cause capitali. Assegna a lui il sorteggio, dove nomina l’urna; gli attribuisce la scelta dei giurati, quando dice che convoca il consiglio; gli assegna la cognitio delle malefatte, quando dice che studia a fondo sia le vite sia i crimini.
Amm. Marc. 14.11.26. Haec ut regina causarum et arbitra rerum ac disceptatrix urnam sortium temperat accidentium vices alternans voluntatumque nostrarum exorsa interdum alio quam, quo contendebat, exitu terminans multiplices actus permutando convoluit.
Questa, come regina delle cause e arbitra e giudice di tutte le cose, agita l’urna delle sorti, provocando i mutamenti della fortuna e, guidando gli impulsi della nostra volontà a fini diversi da quelli che ci eravamo proposti, muta e sconvolge molti piani.
Cic. in Vat. 14.34. Quaero ex te, Vatini, num quis in hac civitate post urbem conditam tribunos plebis appellarit ne causam diceret, num quis reus, in tribunal sui quaesitoris ascenderit eumque vi deturbarit, subsellia dissuparit, urnas deiecerit, eas denique omnis res in iudicio disturbando commiserit, quarum rerum causa iudicia sunt constituta …
Ecco la domanda, Vatinio: c’è mai stato in questa nostra città un uomo, a partire dalla fondazione di Roma, che si sia appellato ai tribuni della plebe per evitare di rispondere ad un’accusa? C’è stato mai un imputato che sia salito sul palco dove siede il quaesitor, lo abbia gettato giù con la violenza dal suo posto, abbia rotto i sedili, rovesciato le urne, per farla breve abbia commesso, per turbare un processo, tutti quegli eccessi che sono appunto la causa dell’istituzione dei giudizi?
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C. Masi Doria, Quaesitor urnam movet. Un'immagine della procedura per quaestionem in Verg. Aen. 6.432, in Ead., Quaesitor urnam movet e altri studii sul diritto penale romano2, Napoli 2007, 3-34.