Nella Figura (a) è rappresentata un’onda d’urto normale che, in un sistema di riferimento inerziale Ω, viaggia a velocità costante Vo in un fluido avente una velocità Vx a monte (prima del passaggio dell’onda) e Vy a valle dell’onda. Per rendere l’onda stazionaria, bisogna osservarla in un sistema di riferimento Ω’ (sempre inerziale) che si muova rispetto ad Ω con una velocità pari alla Vo. Si veda la Figura (b).
Occorre poi osservare che, in entrambe le figure, le condizioni statiche della corrente, poiché misurate con uno strumento che comunque si muove alla velocità del fluido, cioè solidale alle particelle di fluido, sono le stesse qualunque sia il sistema di riferimento. Valgono quindi le relazioni:
Tenendo conto delle relazioni precedenti i due numeri di Mach per il caso dell’onda d’urto in movimento, risultano:
e per il caso dell’onda d’urto stazionaria:
Per quanto riguarda le grandezze di ristagno, per l’onda d’urto in movimento si ha:
e per l’onda d’urto stazionaria:
Si noti che Tox è diversa da Toy.
Pertanto la soluzione del problema di un’onda d’urto in movimento, di cui si conosca la velocità di propagazione e la velocità del fluido in cui si propaga, si risolve attraverso i seguenti 4 passi successivi: l’onda d’urto è resa stazionaria sottraendo la velocità dell’onda a tutto il sistema; si risolve il problema per quanto riguarda le grandezze statiche e la Vo con le formule già ricavate per l’onda d’urto stazionaria;
si calcolano i numeri di Mach per il caso dell’onda d’urto in movimento; si calcolano infine le grandezze di ristagno per l’onda d’urto in movimento.
L’applicazione della:
all’onda d’urto stazionaria, note Vx, Vy e ax= a1 conduce all’espressione:
Delle due soluzioni occorre, evidentemente, scartare quella con il segno negativo perché priva di significato.
Un caso interessante è quello per il quale la velocità a monte dell’onda è nulla (Vx= 0), cioè quando l’onda d’urto si propaga in un fluido in quiete.
Dall’esame della figura si possono trarre le seguenti conclusioni:
Una situazione interessante è quella per la quale è ancora Vx = 0, si conosce la Vy e si vuole ricavare la velocità dell’onda Vo.
Dalla figura, indicando con – Vy= Vp , si ha:
e dividendo tutto per a1:
Sostituendo in questa formula:
e, ponendo Mp = Vp / V1 , si ha:
La
risolta in M1 (scartando la soluzione negativa) dà luogo alla relazione:
che è anche rappresentata nella figura a lato per γ = 1.4.
M1 rappresenta, ovviamente, il numero di Mach, e quindi la velocità, di propagazione dell’onda.
La precedente relazione consente di determinare la velocità di propagazione dell’onda d’urto in una situazione per cui un pistone, all’istante t = 0, è improvvisamente accelerato alla velocità Vp .
Come si vedrà in seguito, allo stesso instante, parte un’onda d’urto normale dalla superficie del pistone con una velocità V1 = Vo, che accelera il fluido a valle di essa alla velocità Vp.
Nella figura è mostrato lo schema relativo al caso di un’onda d’urto obliqua stazionaria inclinata di un angolo ε≠ 90° rispetto alla direzione della corrente a monte. L’onda d’urto non è più normale rispetto alla V1 .
Questo caso si può derivare da quello dell’onda d’urto normale stazionaria, cambiando il sistema di riferimento inerziale rispetto al quale si scrivono le equazioni del bilancio.
Se, infatti, la nuova terna di riferimento si muove rispetto a quella inerziale di Fig.(a) dall’alto verso il basso (parallelamente all’onda d’urto) con velocità VΩ costante, anche questa terna sarà inerziale.
Per l’osservatore solidale a questa nuova terna, sia il fluido a monte che quello a valle dell’onda appariranno come dotati, oltre che delle preesistenti rispettive velocità V1 e V2, normali all’onda, anche di una velocità parallela all’onda che è la stessa per entrambi i fluidi ed è pari a -VΩ= Vt
L ‘equazione di conservazione della massa per un’onda d’urto obliqua risulta pertanto:
L’equazione del bilancio della quantità di moto dà luogo a:
che ovviamente rappresenta la proiezione, in direzione normale all’onda d’urto, dell’equazione vettoriale:
L’altra proiezione, nella direzione parallela all’onda d’urto, dà luogo invece alla:
che, per l’equazione di continuità, mostra:
Per poter calcolare un’onda d’urto obliqua, in generale, si introduce la componente normale del numero di Mach a monte dell’onda d’urto definita come:
L’introduzione di Mn1, che ovviamente deve essere maggiore od uguale ad 1, risulta particolarmente utile perché i parametri termofluidodinamici a valle dell’onda d’urto obliqua (inclinata rispetto alla direzione della corrente con un angolo ε ) risultano identici a quelli a valle di un’onda d’urto normale (ε = 90°) per la quale il numero di Mach a monte sia proprio uguale a Mn1.
Ovviamente, anche il numero di Mach a valle andrà riguardato come componente normale del numero di Mach a valle dell’onda d’urto obliqua:
Ne consegue che tutte le relazioni viste per le onde d’urto normali stazionarie sono ancora valide, purché M1 e M2 siano rispettivamente sostituiti con le quantità Mn1 e Mn2 :
…
…..
…….
……
Occorre qui esplicitamente osservare che non è formalmente corretto ricavare il rapporto delle pressioni di ristagno, dalla relazione relativa alle onde d’urto normali poiché questa non tiene conto della componente tangenziale della velocità.
Tuttavia, se su un piano h-s si individuano i due stati di ristagno normali, essi risulteranno allineati in orizzontale, così come lo saranno i due stati totali i quali si ottengono aggiungendo ai primi lo stesso contributo entalpico relativo alla componente tangenziale della velocità.
Gli stati totali avranno, ovviamente, lo stesso salto entropico di quelli normali.
La relazione precedente è quindi giustificata dalla:
Si nota che, per dati M1 e p1, l’aumento di pressione attraverso l’onda d’urto dipende dall’angolo _ che l’onda forma con la direzione della corrente a monte. In particolare, l’onda d’urto normale dà luogo al massimo aumento di pressione attraverso l’urto. Al diminuire di ε, la quantità sin2e diminuisce anch’essa, e quindi il rapporto p2/p1 diminuisce. Il valore limite (inferiore):
dà luogo a p2/p1 = 1 che corrisponde al caso di un’onda di Mach che non produce alcun aumento di pressione della corrente. Valori di ε < μ non sono possibili perché la componente normale del numero di Mach a monte dell’onda risulterebbe inferiore all’unità.
Si ricordi a tal proposito la relazione già vista:
Resta ora da determinare l’espressione che lega M1, ε e δ:
ricordando:
si ottiene:
sostituendo nella:
si ottiene:
da cui sviluppando e semplificando si ottiene:
È interessante notare che la deviazione della corrente è nulla sia nel caso per il quale:
corrispondente all’onda d’urto normale, che nel caso in cui:
relativo a quella che è stata già definita onda di Mach, la cui inclinazione (nel seguito sempre indicata con il simbolo μ ) risulta come già scritto:
L’onda di Mach, dunque, è quella per la quale il numero di Mach normale è pari ad <1 per cui essa non comporta alcuna variazione finita delle proprietà termofluidodinamiche del fluido.
Per un assegnato numero di Mach, al crescere del valore di δ, si hanno tre possibilità: due soluzioni con valori distinti dell’angolo di inclinazione dell’onda d’urto ε, una sola soluzione (all’apice della curva corrispondente al numero di Mach assegnato), nessuna soluzione.
Nel caso in cui siano presenti due soluzioni, la prima (valore di ε più basso) è detta soluzione debole e l’altra soluzione forte in quanto, per un dato numero di Mach a monte dell’onda d’urto, valori maggiori di ε corrispondono ad un più elevato numero di Mach normale e di conseguenza ad una più alta intensità di urto.
La soluzione unica corrisponde al caso di massima deviazione possibile della corrente δmax per un dato numero di Mach.
L’assenza di soluzioni per δ > δmax sta a significare che, se alla corrente è imposta una deviazione maggiore di quella massima possibile per quel dato numero di Mach, non si può deviare la corrente con una semplice onda d’urto obliqua.
Nella figura sono anche indicati (curve tratteggiate) alcuni valori di M2. In particolare la curva M2 = 1 mostra che: la soluzione forte conduce sempre ad un valore di M2 < 1 , la soluzione debole dà luogo quasi sempre ad un valore di M2 > 1 , salvo che nella piccola zona in prossimità dell’angolo di deviazione massima della corrente.
Nella figura a lato è diagrammato, in scala semilogaritmica il rapporto delle pressioni in funzione del numero di Mach a monte dell’onda, per diversi valori dell’angolo di deviazione δ.
La soluzione forte e quella debole sono separate dalla curva luogo dei massimi delle curve della figura precedente.
La soluzione forte dà luogo ad una compressione abbastanza indipendente da δ. A tal proposito si ricordi la forte pendenza delle curve soluzione forte.
Nel caso di un flusso supersonico uniforme (per semplicità considerato non viscoso) su una parete che ad un certo punto devia bruscamente di un angolo δ formando una concavità, ovvero che investe simmetricamente un diedro infinito con angolo di semiapertura anche esso uguale a δ, in dipendenza dai valori di M1 e di δ , sono possibili tre comportamenti.
Una prima possibilità è quella in cui l’angolo di deviazione δ cui la corrente deve essere soggetta risulta minore dell’angolo di deviazione massima corrispondente al valore di M1. In questo caso sono teoricamente possibili entrambe le soluzioni, debole e forte. L’esperienza mostra che la soluzione che fisicamente accade nella realtà è quella debole.
All’aumentare dell’angolo di deviazione δ, e/o al diminuire del numero di Mach a monte , gli angoli di inclinazione ε delle onde d’urto relative alla soluzione debole ed a quella forte tendono ad avvicinarsi sino a che coincidono e la soluzione diventa unica.
Per δ > δmax non esiste un’onda d’urto obliqua in grado di deviare la corrente dell’angolo δ. Nel caso di γ = 1.4, ciò accade, ad es., qualunque sia il numero di Mach a monte della corrente, se δ > 45.58° (limite per M → ∞).
L’onda d’urto allora si stacca dal vertice dell’angolo formato dalla superficie e si sposta a monte di quest’ultimo (onda d’urto staccata).
Poiché nel caso di flusso su parete, su questa (o sul piano di mezzeria del diedro nel caso del diedro) la corrente non deve essere deviata, e poiché le uniche onde che non deviano la corrente sono quelle normali o quelle di Mach, l’onda d’urto sulla parete (o sul piano di mezzeria del diedro) deve essere necessariamente normale alla direzione della corrente.
L’onda d’urto, che sulla parete, o sul piano di mezzeria, è normale alla corrente e presenta alti valori di ε nelle sue vicinanze, rende il moto subsonico permettendo, perciò, al flusso di deviare di un angolo maggiore di δmax.
Man mano che ci si allontana dalla parete (o dal piano di mezzeria) l’onda d’urto diventa progressivamente meno inclinata (ε diminuisce), e quindi meno forte, ed il numero di Mach, a valle di essa, tende ad aumentare sino a poter diventare supersonico.
Le linee tratteggiate rappresentano le linee soniche (sulle quali M = 1).
Immagine Schlieren di un flusso supersonico di aria su un cuneo con M1 = 1.56 e δ = 20° ( > δ max). Si noti l'onda d'urto staccata al vertice.
Va poi fatto osservare che un corpo definito tozzo, in una corrente supersonica, anche nel caso in cui l’angolo di inclinazione delle sue pareti a valle del bordo di attacco risulta minore dell’angolo di deviazione massimo, comporterà senz’altro la presenza di un’onda d’urto staccata dal corpo in quanto l’angolo di deviazione sull’asse risulta maggiore di δmax.
In ogni caso, se un corpo in regime supersonico deve avere un basso coefficiente di resistenza, è preferibile che il suo bordo di attacco sia quanto più possibile affilato in modo da non generare elevate deviazioni della corrente che lo investe e alte compressioni della stessa in una estesa zona frontale del corpo. Tale è il caso del bordo di attacco di profili supersonici.
Shadowgraph di un'onda d'urto in un flusso supersonico su un cono smussato a M1 = 1.36. Notare che l'onda sull'asse risulta staccata.
Si deve infine porre in evidenza che, nel caso di un diedro con angolo di semiapertura δ posto ad un angolo di attacco α rispetto alla direzione della corrente supersonica, se i due angoli di deviazione della corrente (rispettivamente δ – α per la zona superiore e δ + α per la zona inferiore) sono entrambi inferiori a δmax, le due soluzioni per i campi di moto superiore ed inferiore sono indipendenti una dall’altra , cioè, a differenza di quanto accade in moto subsonico, i due moti non si influenzano.
Nel caso in cui, invece, la deviazione fosse più elevata (ad es. se δ + α per α > 0 risultasse maggiore dell’angolo δmax), l’onda d’urto si staccherebbe dal diedro ed il campo di moto inferiore influenzerebbe il superiore e viceversa.
Dalla:
tenendo conto che:
si ottiene:
e quindi:
ricordando che:
si ottiene:
ma, essendo la quantità in parentesi pari ad H, e tenendo conto della
si ha infine:
che rappresenta la Relazione di Prandtl per un’onda d’urto obliqua.
Nella figura sono state indicate le due velocità a monte ed a valle dell’onda d’urto obliqua e le loro componenti normali e tangenziale. Infatti, per la V2 sono state indicate le due componenti u, in direzione della V1, e v normale ad essa. Il piano ( u-v ) si chiama piano odografo.
Sostituendo nella:
si ottiene:
utilizzando le formule trigonometriche di conversione:
Sostituendo le precedenti relazioni nella:
si ottiene:
che risolta in v conduce infine a:
Per ogni valore di a* e di V1> a* , la precedente relazione rappresenta il luogo dei punti, sul piano odografo (u-ν), a valle dell’onda d’urto obliqua.
Detto luogo di punti è chiamato curva strofoide, o polare d’urto ed è riportato nella figura riportata nella slide seguente.
Come già discusso, per ogni angolo di deviazione δ minore di δmax, esistono due soluzioni per la V £2: la soluzione debole che dà luogo all’onda inclinata rispetto alla corrente dell’angolo ε1 e la soluzione forte che dà luogo all’onda inclinata rispetto alla corrente dell’angolo ε2 > ε1.
Nel caso in cui δ = 0, le due soluzioni si riducono a quella relativa all’ onda di Mach ed a quella relativa all’onda d’urto normale. Nella figura è stata anche indicata l’unica soluzione esistente per δ = δmax.