In precedenza sono state analizzate in dettaglio le onde d’urto oblique ed è stato supposto che la fenomenologia fisica fosse bidimensionale piana.
Spesso, questa ipotesi non è applicabile ed è necessario, o effettuare altre semplificazioni, o risolvere le equazioni di bilancio in forma locale. In molte applicazioni pratiche, tuttavia, esiste simmetria assiale, come nella parte prodiera di un aereo, o di un missile, supersonici, o nelle prese d’aria supersoniche con spina conica. Si comprende, pertanto, l’importanza di studiare, sia pure dal solo punto di vista dei risultati, il moto stazionario di una corrente supersonica che investe un cono ad angolo d’attacco nullo.
Quest’ultima ipotesi, sebbene sia certamente molto restrittiva, è necessaria in quanto la presenza di un angolo d’attacco diverso da zero provoca la perdita della simmetria assiale, cioè della bidimensionalità assialsimmetrica, compor-tando una notevole complicazione della trattazione.
Per studiare il campo di moto generato da una corrente supersonica che investe un cono indefinito ad angolo d’incidenza nullo, è necessario risolvere le equazioni di bilancio locali sfruttando le semplificazioni che derivano dall’ipotesi di assialsimmetria. In questa trattazione si tralasceranno le sottigliezze analitiche e si discuteranno in dettaglio solo le ipotesi alla base di essa ed i risultati dell’analisi.
Le ipotesi che si formulano sono le seguenti:
Il campo di moto è simmetrico rispetto all’asse del cono. Quest’ipotesi comporta due risultati fondamentali: il primo è che la proiezione del campo di moto su un piano che comprende l’asse del cono non è influenzata dalla scelta del piano stesso e cioè, in un sistema di riferimento di tipo cilindrico, è indipendente dalla coordinata azimutale; il secondo è che, se si applicasse il bilancio del momento della quantità di moto prima e dopo l’onda d’urto, la componente normale a questo piano del vettore velocità risulterebbe identicamente nulla.
Oltre ad essere omoenergetico, il moto è omoentropico (ad entropia costante) sia prima che dopo l’onda d’urto pur essendo diversa l’entropia prima e dopo l’urto. Ovviamente, affinché sia verificata quest’ipotesi, è necessario che l’onda d’urto sia conica e attaccata al vertice del cono.
Essendo supposto il cono indefinito, poiché non esiste alcuna lunghezza caratteristica rispetto alla quale adimensionalizzare, le restanti due variabili spaziali (si veda la prima ipotesi) possono comparire solo come rapporto fra le stesse. Quest’ipotesi è equivalente a dire che, se si considera un sistema di riferimento di tipo sferico, come quello mostrato in figura, tutte le grandezze termofluidodinamiche devono essere funzione della sola variabile θ. Ciò rinforza l’ipotesi che l’onda d’urto debba essere conica e attaccata al vertice del cono.
In effetti, per le onde d’urto attaccate al vertice del cono ed elevati numeri di Reynolds locali, queste tre ipotesi sono sperimentalmente verificate.
In definitiva, le tre ipotesi formulate consentono di studiare il fenomeno ritenendo che le variabili termofluidodinamiche siano funzione solo della coordinata angolare θ e, quindi, è possibile studiare il campo di moto su un qualunque piano che comprenda l’asse del cono.
Ciò è mostrato nella figura seguente, in cui è anche tracciato il reale andamento delle linee di corrente nel caso particolare di γ = 1.4, per M1= 1.3 e per il semiangolo del cono δ = 20.6°. L’angolo d’urto ε, nella fattispecie, risulta pari a 60°.
A differenza di quanto avviene per il diedro (per il quale le linee di corrente sono dritte e parallele alla superficie del diedro), nel caso del cono le linee di corrente, come mostrato dalla figura, sono convergenti.
Il fatto che le linee di corrente convergono, e che, di conseguenza, la deviazione a valle dell’onda d’urto deve essere minore di δ, può essere spiegato dimostrando che esse non possono né essere parallele tra loro, né divergere.
Per dimostrare che le linee di corrente non possono essere parallele tra loro, si consideri il volume di controllo rappresentato a sinistra nella figura, nel quale il fluido entri dalla sezione di area dA1 e ne esca da quella di area dA2 (avente la stessa altezza) e si supponga, per assurdo, che il fluido stesso si muova parallelamente alla generatrice del cono.
Come si deduce dalla vista laterale a destra, l’area dA2 è maggiore di dA1.
Per la:
ad un aumento dell’area della sezione retta è associato, in regime supersonico (ma analoghe considerazioni si applicano al caso di moto subsonico), un aumento del numero di Mach e di conseguenza una diminuzione della pressione.
Se ora si fa riferimento a questo tubo di flusso elementare è facile convincersi che M crescerebbe all’aumentare dello spazio percorso a partire dall’onda il che risulterebbe in contrasto con la terza ipotesi, perché comporterebbe, un continuo aumento del numero di Mach sulla superficie del cono.
A maggior ragione le linee di corrente non possono divergere tra loro, altrimenti anche l’altezza del tubo di flusso aumenterebbe comportando un conseguente maggior aumento di area. Dunque le linee di corrente devono per forza essere convergenti per mantenere sulla superficie del cono le stesse condizioni di pressione e di numero di Mach.
Il convergere delle linee di corrente a valle dell’onda d’urto provoca una variazione delle variabili termofluidodinamiche che, per le ipotesi fatte, devono seguire una trasformazione isoentropica.
In particolare, nell’evoluzione che porta il fluido dalle condizioni immediatamente dopo l’onda d’urto a quelle sul cono, la pendenza delle linee di corrente cresce (finché queste non diventano, relativamente molto a valle, parallele alla superficie del cono), il numero di Mach diminuisce e la pressione aumenta.
L’ulteriore deviazione della corrente e la compressione che avvengono nella regione a valle dell’onda fanno sì che, a parità di angolo di deviazione δ e di numero di Mach della corrente a monte, l’onda d’urto sia meno intensa e quindi meno inclinata rispetto al caso bidimensionale piano,ovvero, a parità di angolo d’urto ε e numero di Mach M1, l’angolo finale di deviazione δ della corrente in un’onda conica risulta maggiore di quello corrispondente alla deviazione dovuta all’onda d’urto piana.
Per il teorema di Crocco l’ipotesi di omoentropicità implica l’irrotazionalità del campo di moto a valle dell’onda.
Esplicitando questa condizione ed il bilancio di massa locale in coordinate sferiche si giunge ad un’equazione differenziale ordinaria del secondo ordine che prende il nome di equazione di Taylor-Maccoll. I risultati dell’integrazione numerica dell’equazione di Taylor-Maccoll sono presentati di seguito sotto forma di diagrammi, per il caso particolare di γ = 1.4.
In queste figure è stato diagrammato il semiangolo del cono δ (angolo di deviazione finale della corrente) in funzione dell’angolo d’inclinazione dell’onda d’urto ε per diversi valori del numero di Mach a monte dell’onda M1. Questi diagrammi sono equivalenti a quelli per le onde d’urto oblique piane e tutti i commenti fatti per il caso bidimensionale piano valgono, evidentemente, anche per le onde d’urto coniche.
Si noti che, con eccezione di M2 = 1 (curva a tratto lungo), nella figura precedente non sono state diagrammate le curve a M2 costante (cioè il numero di Mach subito a valle dell’onda d’urto), bensì quelle a Mc, numero di Mach sulla superficie del cono, costante (curve a tratto breve).
Infatti, essendo il moto a valle dell’onda d’urto isoentropico, noto Mc e le condizioni a valle dell’onda d’urto, tramite le tabelle del flusso isoentropico, si possono determinare tutte le grandezze termofluidodinamiche sulla superficie del cono.
A questo scopo, nella figura a lato, è più dettagliatamente diagrammato Mc in funzione di δ per diversi valori di M1. Nel diagramma i numeri di Mach a monte dell’onda d’urto sono identificabili con le intercette delle relative curve per δ = 0 e Mc ≥ 1.
È interessante notare che, qualunque sia il numero di Mach M1, esistono sempre coppie di valori δ, ε tali che il moto a valle dell’onda possa passare da un regime supersonico ad uno subsonico senza ulteriori onde d’urto. Questo fenomeno accade per tutti i punti appartenenti alla regione delimitata superiormente dalla retta orizzontale di equazione Mc = 1 e inferiormente dalla curva a M2 = 1.
Nella figure sono diagrammati rispettivamente δmax ed εmax in funzione di M1 per i due casi d’onda conica e bidimensionale piana.
Come già detto precedentemente, a causa del convergere delle linee di corrente, la deviazione imposta dall’onda conica è minore o, in altri termini, essendo l’onda meno intensa, il disturbo prodotto dal corpo sulla corrente a monte è più piccolo.
Ne consegue che l’angolo di deviazione massimo è maggiore nel caso del cono rispetto al caso piano.
Attenzione: Il fatto che per M1 ≥ 1.2 l’angolo d’urto massimo per il cono sia maggiore di quello per il diedro non contraddice quanto già affermato sulla minore inclinazione dell’onda conica rispetto a quella piana, giacché ciò è valido solo a parità di δ.
Infine occorre qui esplicitamente osservare che, in modo del tutto analogo a quanto accade nel caso di una corrente supersonica che investe un diedro piano, se l’angolo di semiapertura del cono è maggiore di δmax l’onda d’urto si stacca dal vertice.
Poiché, attraverso l’onda d’urto obliqua, la componente tangenziale della velocità non cambia mentre quella normale diminuisce, la conseguenza macroscopica di tutto ciò è che il vettore velocità a valle dell’onda devia rispetto alla sua direzione iniziale e, in particolare, tende a ruotare verso l’onda d’urto stessa; la corrente cioè tende ad adagiarsi sull’onda. Tutto questo comporta che un’onda d’urto obliqua incidente su una superficie piana (ovvero su un piano di simmetria del campo di moto) deve necessariamente riflettersi.
Si consideri ad esempio il caso rappresentato nella figura, nella quale è mostrata l’onda d’urto obliqua i che incide sulla superficie piana orizzontale (o, che è lo stesso, su un piano di simmetria) con angolo ε1 .
A monte di questa onda d’urto, e cioè nella regione 1, la corrente supersonica deve essere parallela alla superficie. L’onda d’urto obliqua i fa deviare la corrente di un angolo δ verso l’onda stessa (verso il basso), e quindi verso la parete. L’entità della deviazione è, come già visto, funzione del Mach a monte e dell’angolo di inclinazione dell’onda, oltre che del valore di γ.
Poiché la direzione della corrente nella regione 2 è incompatibile con la presenza della parete (le due direzioni non sono coincidenti), a valle dell’onda d’urto incidente i deve necessariamente esistere un evento che raddrizza la corrente (deviandola verso l’alto di un angolo pari a – δ), riportandola quindi parallela alla parete. Questo evento è un’altra onda d’urto obliqua r, che parte dal punto di incidenza dell’onda i sulla parete e che viene detta onda riflessa. Ovviamente sarà M1 > M2 > M3 (e anche V1 > V2 > V3 e p3 > p2 > p1). Una riflessione del tipo indicato in figura si chiama riflessione regolare.
È opportuno qui osservare che non si tratta di una riflessione speculare in quanto, in generale, ε1 ≠ ε2 – d e e2 dovrà essere tale che l’onda riflessa abbia una intensità che consenta alla corrente di raddrizzarsi.
I due angoli ε1 e ε2 sono uguali solo se l’onda d’urto è un’onda di Mach. Infatti, quanto prima detto vale anche per un’onda di Mach con la differenza che l’angolo di deviazione δ è infinitesimo e quindi ε1 = μ1 = ε2 = μ2 e δ = 0.
Ovviamente un’onda di Mach di compressione (deviazione infinitesima verso il basso) si rifletterà come onda di Mach di compressione (deviazione infinitesima verso l’alto) così come nell’onda d’urto obliqua, ma con intensità dell’urto infinitesima. Si può anticipare che un’onda di Mach di espansione, che dà luogo (per la stessa situazione di figura) a una deviazione infinitesima verso l’alto, si riflette come onda di Mach di espansione che dà luogo ad una deviazione infinitesima verso il basso. In conclusione, le onde di Mach si riflettono su una superficie piana come onde dello stesso tipo (compressione → compressione, espansione → espansione).
Poichè M1 > M2, si può verificare l’evenienza che, pur essendo M2 > 1 , il δ da imporre risulti maggiore del δmax corrispondente al valore di M2 (si ricordi che δmax è una funzione crescente del numero di Mach). Ciò può infatti accadere per aumenti di e1 che comportano, a parità di M1, diminuzioni del valore di M2.
In tal caso, non si ha più una riflessione regolare dell’onda d’urto obliqua, ma una riflessione cosiddetta alla Mach (o riflessione a λ) rappresentata nella figura seguente. In questo caso, solo la regione 1 è caratterizzata da un moto uniforme (velocità indipendente dalla posizione), mentre nelle regioni 2, 3, e 4, poiché la corrente attraversa onde d’urto oblique con inclinazione variabile, il vettore velocità varierà da punto a punto.
Il campo di moto nelle regioni 2, 3 e 4 risulta rotazionale per la presenza di gradienti di entropia. La linea di slip ha la peculiarità che attraverso di essa il modulo della velocità (e non la sua direzione) e le proprietà termodinamiche della corrente (tranne la pressione) presentano un brusco salto. Ciò è dovuto alla diversa evoluzione fluidodinamica cui sono soggetti i filetti fluidi posti a cavallo della linea di slip.
Quest’ultima, che è anche linea di corrente, non inizia con tangente parallela alla parete, consentendo così (attraverso la seconda onda d’urto) una minore deviazione della corrente (verso l’alto) dalla regione 2 alla 3. Si noti, inoltre, che in questo caso la linea di slip non può essere retta, poiché nelle regioni 3 e 4, a causa della variabilità dell’inclinazione dell’urto, esiste un gradiente di pressione, diretto verso la parete, che deve essere bilanciato da una forza centrifuga.
Oltre ai due casi già menzionati di ε=μ ed ε = 90°, esiste solo un altro caso, particolare, nel quale un’onda d’urto obliqua che incide su di una parete non si riflette ed è quello rappresentato nella figura che segue.
In questa circostanza la parete a valle del punto di incidenza dell’onda forma, con la parete a monte, un angolo esattamente uguale all’angolo δ di deviazione della corrente provocata dall’onda d’urto.
Angoli della parete minori di δ danno luogo alla riflessione dell’onda e, si vedrà, che angoli maggiori generano un ventaglio di espansione alla Prandtl e Meyer.
Un altro caso interessante di riflessione di onde d’urto oblique (deboli) è quello rappresentato in figura, per il quale una corrente a M1 > 1 fluisce in un canale in cui, ad un certo punto, una delle pareti forma una concavità caratterizzata da un angolo δ. Al fine di avere una corrente che si mantiene supersonica, si supponga che δ sia di valore relativamente piccolo e che, viceversa, M1 sia sufficientemente alto.
La prima onda d’urto (tra le regioni 1 e 2) parte dal punto angoloso A, devia la corrente di δ , rendendola parallela alla parete inferiore, e va ad impingere nel punto B della parete superiore ove si riflette in un’altra onda d’urto obliqua che devia la corrente di - δ riportandola parallela alla parete superiore stessa.
L’onda riflessa parte dal punto B, si riflette a sua volta nel punto C (dove impinge sulla parete inferiore) con un’onda (la CD) che devia nuovamente la corrente di un angolo δ . E’ chiaro che questo comportamento continua fino a che il numero di Mach (che in seguito agli urti, sia pure obliqui, va continuamente diminuendo) è tale che il relativo valore del δmax risulta maggiore, o uguale, al valore di δ .
Occorre anche osservare che, per la stessa continua diminuzione del numero di Mach, l’onda CD (rispettivamente l’onda DE) risulterà più inclinata (cioè più verticale) dell’onda AB (rispettivamente dell’onda BC).
Va infine rilevato che, se l’angolo δ è molto piccolo, si ha che ε→μ e quindi la compressione dovuta a ciascuna onda d’urto può considerarsi praticamente isoentropica. Si ritrova così, nel caso bidimensionale, quanto già anticipato nel caso unidimensionale e cioè che, in una corrente supersonica che fluisce isoentropicamente ed omoenergeticamente in un condotto convergente, il numero di Mach diminuisce.
Può accadere che due onde d’urto oblique deboli, aventi in generale diversa inclinazione rispetto alla corrente a monte, si intersechino in un punto O come nel caso illustrato in figura dove una corrente, che fluisce in un condotto con M1 > 1, subisce due deviazioni δ1 e δ2 (in generale diverse tra loro) derivanti dalla presenza di due onde d’urto oblique, a loro volta inclinate degli angoli ε1 e ε2 rispetto alla corrente stessa.
Le due correnti supersoniche che si generano a seguito degli urti nelle due regioni 2 e 3 avranno in generale proprietà diverse ma, soprattutto saranno caratterizzate da due direzioni diverse. Risulta pertanto necessario che queste due nuove correnti siano a loro volta deviate in modo che alla fine esse abbiano la stessa direzione.
Tali ulteriori deviazioni sono possibili in correnti supersoniche solo mediante altre due onde d’urto oblique. Una intersezione del tipo rappresentato in figura si dice intersezione regolare.
Le uniche due condizioni che le correnti nelle regioni 4 e 5 devono rispettare sono che esse abbiano la stessa direzione e la stessa pressione statica.
Per la risoluzione del problema occorre procedere per tentativi. Si può assumere una direzione di tentativo comune delle due correnti nelle due regioni 4 e 5 (il che equivale a stabilire i valori di δ4 e δ5 , ovviamente non indipendenti tra loro perché deve essere: δ2 + δ3 = δ4 + δ5 ) e controllare se le due pressioni risultano uguali tra di loro. Variando detta direzione, e cioè le due deviazioni δ4 e δ5 , si ottiene la soluzione cercata quando si verifica che p4 ≈ p5.
La linea che separa le regioni 4 e 5 è, ovviamente, una linea di slip in quanto, attraverso essa, sono in generale discontinui sia il modulo del vettore velocità, che la temperatura, che la densità (cioè, con valori diversi per le due correnti).
Per avere una intersezione regolare, è necessario innanzitutto che le due onde intersecantisi siano di tipo debole (ciò fa si che il numero di Mach a valle di esse non sia subsonico) e inoltre che i numeri di Mach a valle siano tali da consentire poi una deflessione del vettore velocità pari a δ4 e δ5 , (cioè, questi devono essere non superiori ai corrispondenti angoli di deviazione massima).
Qualora quest'ultima condizione non si verificasse, si avrà una intersezione alla Mach, o a doppio λ, così come mostrata nella foto. Foto di Schilieren che mostra l'intersezione di onde d'urto a doppio λ all'uscita di un ugello.
L’intersezione alla Mach, praticamente, altro non è che una doppia riflessione a λ con la presenza di due linee (superfici) di slip.
L’onda d’urto quasi-normale che separa le regioni 1 e 6 è anche detta onda d’urto di Mach e, nel caso di moto assialsimmetrico, disco di Mach.
Quanto discusso in questo paragrafo torna particolarmente utile anche nel caso in cui due correnti supersoniche, aventi inizialmente due diverse direzioni, si trovino a confluire.
Tale è, ad esempio, la situazione sul bordo di uscita di un profilo alare supersonico rappresentata in figura.
Anche in questo caso occorrerà procedere per tentativi per trovare la direzione comune delle due correnti delle regioni 4 e 5 (e quindi le due inclinazioni delle onde d’urto ε4 e ε5) tenendo presente che dovrà essere: δ4 + δ5 = β, p4 = p5.