Gli ossidi di zolfo prodotti nei processi di combustione, derivano dalla zolfo presente nel combustibile. I combustibili a più alto tenore di zolfo sono gli oli pesanti e i carbon fossili. I primi si classificano in ATZ (alto tenore di zolfo, max 3,5%) e BTZ (basso tenore di zolfo, max 1,0%).Lo zolfo si lega con l’ossigeno dell’aria comburente per formare anidride solforica (SO2) e solforosa (SO3). Tali sostanze vengono indicate insieme con il termine SOx.
La più abbondante delle due è sicuramente l’a. solforica. Tale sostanza non è infiammabile, è incolore, si scioglie facilmente e si lega facilmente con tutte le principali biomolecole. Tende a stratificarsi nelle zone più basse in quanto ha un peso specifico superiore a quello dell’aria.
L’a. solforosa è presente sempre in piccole quantità nei fumi, specialmente in quelli più umidi, nei quali si lega con il vapor d’acqua per formare acido solforico (H2SO4). Anche l’a. solforica dà luogo alla formazione di acido solforico, ma passando prima per la forma di a. solforosa. Quest’ultimo passaggio è favorito, in atmosfera, da processi fotolitici e catalitici.
Le tecniche primarie di abbattimento degli SOx si fondano sull’iniezione in camera di combustione di reagenti, detti anche sorbenti, nella maggior parte dei casi carbonato di calcio (CaCO3) e idrossido di calcio (Ca(OH)2). Tali sostanze, grazie al calore prodotto dalla combustione, si scindono rilasciando particelle solide di ossido di calcio (CaO) che a sua volta si lega facilmente con l’anidrite solforica e l’ossigeno per dare solfato di calcio (CaSO4).
Tali sorbenti vengono in genere iniettati con un eccesso dipendente dalla natura del combustibile. La zona ottimale di iniezione è quella che si trova intorno ai 1000 °C, cioè nella parte finale della zona di fiamma. L’efficienza di assorbimento di tale tecnica difficilmente supera il 30%, come percentuale di rimozione, e quindi va di solito accoppiata a tecniche secondarie di abbattimento a valle.
L’effcienza del processo è anche funzione del diametro medio delle particelle di sorbente: all’aumentare del diametro la efficienza di cattura diminuisce, come del resto è intuibile considerando che, al diminuire delle dimensioni delle particelle di sorbente, aumenta il rapporto superficie volume del sorbente, a parità di quantitativo in massa; aumentando la superficie di interazione tra sorbente e corrente gassosa, aumenta l’effcienza della rimozione.
Le principali tecniche di abbattimento secondarie dei composti solforati presenti nei fumi si realizzano mediante scrubber. Molto semplicemente, uno scrubber è un condotto all’interno del quale fluisce la corrente gassosa da depurare e nel quale quest’ultima interagisce con una sostanza che ha il compito di catturare l’inquinante. A tale proposito, a seconda che la sostanza assorbente sia liquida o solida, si parla di WET scrubber o di DRY scrubber.
Nei wet scrubber la sostanza assorbente viene immessa sotto forma di gocce, atomizzate da ugelli in pressione o ottenute per caduta libera. Tali scrubber si utilizzano anche per la rimozione del particolato, che viene catturato dalle goccioline di liquido. La corrente gassosa può fluire in equicorrente o in controcorrente rispetto alle gocce di sostanza “absorbente”. A contatto con fumi caldi, le goccioline, se di dimensioni ridotte, possono evaporare completamente: in tal caso si tratta si “spray dryer scrubber”. e invece le gocce non evaporano completamente, esse vengono raccolte, il liquido viene trattato e poi rimesso in circolo.
Nei dry scrubber, viene iniettata una sostanza in polvere che “adsorbe” la sostanza inquinante e viene poi raccolta per essere trattata.
Si precisa infine che in caso di assorbimento in sostanza liquida si parla di “absorbimento”, mentre per assorbimento su matrice solida, si parla di “adsorbimento”.
Rappresentazione schematica di uno scrubbr venturi. Immagine da Wikimedia commons
Una interessante applicazione di scrubber è quella che sfrutta la configurazione a ciclone per migliorare lo scambio termico tra corrente gassosa e liquido assorbente. La traiettoria elicoidale impressa al gas fa sì che esso sia più tempo a contatto con le gocce, prima di uscire dallo scrubber.
Nella prima immagine è riportato un ciclone scrubber con movimento updraft della corrente gassosa, dal basso verso l’alto.
Nella seconda immagine è riportata invece una configurazione geometrica del tutto simile ai cilconi utilizzati per separare le particelle solide dalle correnti gassose.
Ciclone scrubber con movimento updraft. Immagine da Wikimedia commons
Ciclone scrubber con configurazione tipica dei cicloni. Immagine da Wikimedia commons
Schema tipico di una torre a impacchettamento. Immagine da Wikimedia commons
Gli spary dryer utilizzano liquidi atomizzati per la cattura principalmente di gas acidi quali SO2 e HCl. La loro peculiarità è che la soluzione liquida non satura la corrente gassosa e grazie anche alla temperatura di quest’ultima, evapora durante l’interazione.
In tal caso non è necessario raccogliere una fase liquida nella parte bassa. Il processo di cattura è in genere sia ni natura fisica (absorbimento) che chimica. In soluzione, infatti viene immesso di solito dell’idrossido di calcio e di sodio che reagiscono con i vapori acidi per produrre solfato di calcio, solfato i sodio, cloruro di calcio e clouro di sodio.
L’efficienza di rimozione di solito si attesta su un 50% per i solfati e 90% per i cloruri.
Principio di funzionamento di una spray dryer. Immagine da Wikimedia commons
Tali scrubber si basano sul processo di adsorbimento di sostanze inquinanti su matrici solide. Si basano sull’immissione di sostanze alcaline o di carboni attivi, in entrambi i casi ridotti in polvere, per incrementare la superficie di scambio globale.
Di solito sono sistemi meno costosi dei wet scrubber, sia in termini di installazione che di manutenzione, ma, di contro, presentano effcienze di cattura inferiori.
Le sostanze catturate sono l’anidride solforica e solforosa, i vapori di acido cloridrico e di mercurio. In particolare tali sistemi sono efficaci per la cattura dei vapori di acido solforico che tenderebbero altrimenti a condensare e formare particolato di piccole dimensioni (PM 2,5), molto dannoso per la salute umana.
1. Generalità e classificazione dei generatori di vapore
2. Combustibili
6. Tecniche di denitrificazione
11. Il circuito acqua - vapore
12. L'economizzatore
13. L'evaporatore
15. Incrostazioni calcaree e corrosione nei tubi
16. Degasaggio e demineralizzazione
17. Generatori di vapore e termovalorizzazione - Parte Prima
18. Generatori di vapore e termovalorizzazione - Parte Seconda
19. I materiali impiegati nei generatori di vapore