E’ stato già osservato nella Lezione 1, che la maggior parte dei processi di moto presenti in natura sono di tipo turbolento e l’osservazione di flussi turbolenti è una esperienza molto frequente nella vita di tutti i giorni. Infatti, il fumo di una sigaretta, il mescolamento di caffè e latte in una tazza o la scia irregolare di un fiume a valle della pila di un ponte sono solo alcuni fra gli innumerevoli, possibili esempi di moto turbolento, che viene, così, identificato in maniera intuitiva come un moto non stazionario, irregolare ed apparentemente caotico, caratterizzato dalla presenza di vortici, di diverse dimensioni e velocità, in continua modifica.
Il primo a documentare il fenomeno turbolento è stato Leonardo da Vinci, vissuto, come è ben noto, a cavallo fra la seconda metà del ‘400 e l’inizio del ‘500 (Fig.6.1).
Fig. 6.1 - Disegno di Leonardo sui vortici turbolenti. Immagine da: Accademia delle Scienze
In epoca moderna, la classica, ben nota esperienza di Reynolds ha messo chiaramente in evidenza come si manifesti il sorgere del fenomeno turbolento nel movimento di un fluido e, di conseguenza, la fondamentale differenza fra il moto laminare ed il moto turbolento.
Si consideri un recipiente contenente liquido in quiete con pelo libero costante, da cui esce con imbocco ben arrotondato un tubo di vetro, dotato di rubinetto per la regolazione della portata defluente. In corrispondenza di tale imbocco è posto un tubo di piccolo diametro, anch’esso munito di rubinetto, attraverso cui è immesso alla stessa velocità della portata principale, acqua colorata (Fig.6.2).
Reynolds osservò che la tipologia del moto del filetto fluido di acqua colorata all’interno della condotta era legato al valore che assumeva un parametro adimensionale, caratteristico del moto, che in seguito fu chiamato numero di Reynolds Re:
che poteva essere ottenuto combinando la velocità media del fluido U , la viscosità cinematica del fluido ν ed, infine, una lunghezza caratteristica del moto L, che, nell’esperienza di Reynolds, così come in qualsiasi altro moto in pressione, era il diametro del condotto, mentre in una corrente a pelo libero è il raggio idraulico del canale.
In particolare, facendo crescere, incrementando la velocità della corrente con la progressiva apertura della saracinesca, il valore di Re si osservano le seguenti condizioni di moto:
Si è, quindi, visto che quando la velocità media di una corrente fluida, in un certo condotto o canale, supera un certo valore critico, il moto perde quei caratteri di regolarità tipiche delle basse velocità; pertanto, le traiettorie delle particelle non sono più parallele all’asse del condotto o del canale, in quanto al moto di trasporto, corrispondente alle traiettorie rettilinee, si sovrappone il moto disordinato di agitazione di natura casuale, detto turbolenza.
Nei sistemi naturali, il moto è quasi sempre turbolento per cui è molto importante nei diversi problemi dell’Idraulica Ambientale individuare e descrivere in termini analitici gli effetti della turbolenza. Alcune importanti caratteristiche della turbolenza, che verranno illustrate nel dettaglio nei successivi paragrafi, possono essere, sia pur in estrema sintesi, elencate fin d’ora:
La struttura del moto turbolento è messa in evidenza nella Fig.6.3 e nella Fig.6.4, tratta da un esperimento, dove è mostrato il graduale svilupparsi dei vortici caratteristici del fenomeno turbolento.
Se il primo a descrivere, sia pure a livello qualitativo, alcune caratteristiche del moto turbolento fu Leonardo da Vinci, in epoca moderna, le esperienze di Osborne Reynolds del 1883 hanno messo in evidenza, per la prima volta il ruolo del numero di Reynolds nel passaggio da regime di moto laminare a regime turbolento; inoltre, fu sempre Reynolds a proporre di considerare, come si vedrà meglio più avanti, ogni grandezza del moto turbolento come somma di un termine medio e di un termine di fluttuazione ed a introdurre il concetto di sforzi turbolenti, aggiuntivi a quelli di natura viscosa.
Nel 1921 il fisico inglese G.I.Taylor propose, nello studio della diffusione turbolenta, il concetto di funzione di correlazione. Egli dimostrò che la deviazione standard della distanza di un particella dalla sua sorgente aumenta inizialmente in maniera proporzionale al tempo t, mentre in seguire cresce con la radice quadrata del tempo t, come nel modello del random walk. In un serie di lavori del 1935-36 Taylor gettò le basi dello studio statistico della turbolenza, introducendo, fra l’altro, i concetti di turbolenza omogenea e isotropa e di spettro della turbolenza; sebbene i flussi turbolenti reali non sono isotropi, e gli sforzi turbolenti sono nulli nel caso di turbolenza isotropa, le tecniche matematiche utilizzate si sono dimostrate valide nello studio delle piccole scale della turbolenza, che sono isotrope. Infine, nel 1915, Taylor aveva anche proposto il concetto di lunghezza di miscelazione, anche se fu, poi, Prandtl ad utilizzarla appieno.
Negli Anni ‘20, a Göttingen, Prandtl ed il suo allievo von Kárman svilupparono delle teorie semiempiriche della turbolenza. Il concetto che si rivelò più fruttuoso fu quello di lunghezza di miscelazione (mixing length), derivato da quello di cammino medio libero (mean free path) presente nella teoria cinetica dei gas. A partire da ciò, Prandtl dedusse che il profilo della velocità presso una parete solida segue un andamento logaritmico e questo spiega anche il lungo successo goduto dalla teoria della lunghezza di miscelazione, almeno fino a tempi più o meno recenti, quando è stato messo in evidenza che non esiste una maniera ragionevole di prevedere la forma della lunghezza della lunghezza di miscelazione. In effetti, la legge logaritmica può essere ricavata anche solo sulla base di considerazioni di tipo dimensionale.
Al meteorologo inglese Lewis Richardson, che nel 1922 scrisse il primo libro moderno di meteorologia, si deve l’idea, prima illustrata, della cascata di energia, nella quale l’energia cinetica turbolenta è trasferita dai vortici grandi a quelli piccoli, dove viene dissipata dalla viscosità. Anche se questa idea è, in effetti, ancora la base delle teorie attuali sulla turbolenza, essa fu ignorata per lungo tempo, fino a quando essa non venne ripresa in forma quantitativa da Kolmogorov e Obukhov in Russia. Richardson ebbe un’altra importante intuizione quando, sulla base dell’osservazione del moto dei palloni in atmosfera, fece l’ipotesi che il coefficiente di diffusione turbolenta di un volume fluido di dimensioni l sia proporzionale a l4/3. Questa è chiamata Legge di Richardson della potenza di 4/3, che si è dimostrata congruente con la legge dei 5/3 dello spettro turbolento, dovuta a Kolmogorov.
A sua volta, Kolmogorov sviluppò l’idea della casca di energia sulla base di due ipotesi. La prima è che le statistiche delle scale piccole siano isotrope e dipendano solo da due parametri, vale a dire la viscosità cinematica ν ed il tasso di dissipazione ε. Dall’analisi dimensionale egli ricavò che la scala spaziale più piccola vale LK= ν3/4/ε1/4. La seconda ipotesi formulata da Kolmogorov è che, su scale molto minori di l e molto maggiori di LK, deve esistere un intervallo inerziale (inertial subrange) dove la viscosità non ha alcun ruolo e dove le varie statistiche dipendono solo da ε. Sulla base di questa idea, nel 1941, Kolmogorov e Obukhin ottennero, in maniera indipendente, che lo spettro turbolento nell’intervallo inerziale deve essere proporzionale a ε2/3 x k-5/3, dove k è il numero d’onda. Tale legge dei 5/3 è uno dei risultati più importanti della teoria della turbolenza ed è in accordo anche con le osservazioni sperimentali. Negli ultimi anni ci sono stati sia grandi progressi dal punto di vista teorico che sperimentale, come, in particolare, negli studi sulle strutture coerenti presso una parete solida ovvero sui flussi stratificati in atmosfera o in oceano.
Il processo turbolento si svolge secondo diverse scale di grandezza, sia di tipo temporale T e di tipo spaziale L. In alternativa, alla scala temporale, si può considerare un intervallo di frequenze, dove la frequenza ω è legata all’inverso della scala temporale T; elevati valori di T implicano piccole frequenza ω e viceversa. Anche per la scala spaziale, come nel caso di scala temporale, si può considerare una frequenza di variazione, che è, qui, una frequenza spaziale, chiamata numero d’onda k, che è inversamente proporzionale a L.
La natura casuale dei moti turbolenti rende conveniente una trattazione statistica del fenomeno che viene così descritto attraverso i valori medi o altri parametri statistici delle grandezze del campo di moto turbolento. Prima di illustrare l’impiego di tali statistiche nello studio della turbolenza occorre introdurre tre importanti definizioni.
Come già detto prima, nell’analisi del moto turbolento si può immaginare che il valore istantaneo di ogni grandezza, vettoriale o scalare, in gioco, che sia funzione dei punti del campo e del tempo, quale la velocità, la temperatura, gli sforzi interni, le pressioni, la salinità, la concentrazione, o, nel caso di fluido comprimibile, la densità, sia costituita dalla somma di una componente media e di una componente di fluttuazione. Pertanto, nel caso, ad esempio, della grandezza velocità , si ha:
Dove, a primo membro, c’è la velocità istantanea, che è la somma della velocità media, che può essere, come ora illustrato, di diverso tipo, ed dallo scostamento da essa, detto velocità di agitazione. Questa operazione di scomposizione di ogni grandezza in queste due componenti, chiamate valore medio e componente di agitazione della grandezza considerata, è chiamata decomposizione di Reynolds. Per ricavare il valore medio presente nella (6.2) si possono utilizzare 3 diversi tipi di procedimento di media:
se si procede ad effettuare la media aritmetica dei risultati di un certo numero di misure, svolte nelle stesse condizioni sperimentali, di un certo processo causale, si parla di media di insieme (ensemble average) o valore atteso (expected value). Va osservato che è estremamente difficile ottenere, nei sistemi naturali, delle misure in condizioni perfettamente identiche.
Se il processo è stazionario e, quindi, le variabili del campo turbolento sono solo funzione delle coordinate spaziali, l’operazione di media di insieme ora presentata effettuata in un punto rappresenta una media temporale, in quanto il valore medio della grandezza non varia nel tempo e, quindi, la media temporale di un processo stazionario coincide con la sua media di insieme, con considerevoli semplificazioni operative; la media temporale dei valori di una delle componenti della velocità, ad esempio, la u vale:
dove la linea singola indica che si tratta di una media temporale, T è il periodo di misura per la media, mentre t0 è l’istante di tempo nella quale la media temporale è calcolata. Va osservato che la velocità di agitazione è, nel tempo, mediamente nulla; infatti, se ne facciamo la media temporale lungo T, si ha, tenuto conto della (6.2), che:
se le variabili del campo turbolento sono mediate in una direzione, lungo la quale la turbolenza è omogenea, ovvero lungo un piano o all’interno di un volume, dove, ad esempio, un certo tracciante è completamente miscelato, la media di insieme è approssimata dalla media spaziale dei valori di una delle grandezze del campo. Se, ad esempio, la turbolenza è omogenea nel piano xy, la media spaziale di una delle componenti della velocità, ad esempio, la u vale:
Si consideri ora il caso, di più frequente impiego, in cui l’operazione di media che si intende effettuare sia di tipo temporale e la variabile mediata sia la velocità, ad esempio la sua componente lungo l’asse x, la u. A tal fine, occorre misurare tale grandezza in un certo punto prefissato per un certo intervallo di tempo, secondo un approccio tipicamente euleriano. Se si diagramma l’andamento della velocità nel tempo si osserva che la velocità istantanea assume il valore u1, che, però, all’istante successivo, per effetto dell’agitazione turbolenta diventa u2 e, poi, ancora u3, u4, u5 e così via (Fig.6.5). Se si vuole ricavare il valore medio temporale della u occorre considerare un certo intervallo di tempo finito T0 e si ricavarla per integrazione lungo T0. Se tale operazione è ripetuta per valori crescenti di T0, la media temporale della velocità varia sempre, perché ogni volta si introducono in essa nuovi valori istantanei della u. Quando, però, il valore dell’intervallo temporale di integrazione T0 supera un certo valore TI, ossia per T0>TI, si osserva che la media temporale della velocità non cambia più, come se si fossero ormai esauriti i possibili valori che u può assumere, per cui in un altro intervallo di durata TI si osserverebbero, anche se in una sequenza diversa, valori mediamente identici.
Il valore medio temporale è quello che, poi, compare nella decomposizione di Reynolds applicata alla u:
Il senso fisico di questo particolare intervallo di durata TI, che rende stabile la media temporale, può essere chiarito meglio se si torna al diagramma di Fig.5.12, dove si osserva che, se si considera un intervallo temporale limitato, le misure di velocità sono fortemente correlate con quelle degli istanti vicini ed il processo di moto sembra, quindi, deterministico. Se, invece, si mettono a confronto velocità poste via via più lontano nella serie temporale, il grado di correlazione si va riducendo, fino a quando esse sono del tutto prive di correlazione ed il processo appare casuale. La scala temporale che rende il processo casuale ed indipendenti fra loro le velocità misurate è proprio quella chiamata in precedenza scala temporale integrale TI, che coincide, appunto, con l’intervallo temporale individuato in precedenza. Essa è, quindi, anche la più grande scala temporale associata ad un vortice. Se, adesso, si passa a seguire un approccio lagrangiano, ossia seguendo una particella di fluido nel suo muoversi all’interno del campo di moto turbolento, la scala temporale integrale TI può essere vista, in primo luogo, come il tempo necessario affinché la particella dimentichi la sua velocità iniziale, ma, in secondo luogo, si traduce in una scala spaziale caratteristica del processo.
Infatti, l’interazione che ha luogo fra i vari vortici e fra questi ed il volume di fluido circostante implica che le componenti di agitazione in un certo punto siano statisticamente correlate con quelle dei più punti vicini; anche tale correlazione rende il processo deterministico e si riduce al crescere della scala spaziale considerata. La scala spaziale per cui i diversi valori del campo sono indipendenti ed il processo assume un aspetto casuale è detta scala spaziale integrale LI, che, in maniera simmetrica a quella temporale, individua una stima per le dimensioni dei vortici più grandi.
1. Introduzione all'Idraulica Ambientale
2. Le Grandezze dell'Idraulica Ambientale
4. Le Leggi di Conservazione - Parte prima
5. Le Leggi di Conservazione - Parte seconda
6. La Turbolenza - Parte prima
7. La Turbolenza - Parte seconda
9. L'Advezione e la Diffusione Molecolare
10. L'Advezione e la Diffusione Molecolare - parte seconda
11. La diffusione turbolenta e la dispersione
12. I processi di trasformazione
13. Il processo di gas-transfer
14. Distribuzione della velocità in un canale. Circolazione nei laghi
C. GUALTIERI (2006). Appunti di Idraulica Ambientale. CUEN Editore, 2006, pp.410 (ISBN 88-7146-717-5)
P. K. KUNDU, I. M. COHEN (2004). Fluid Mechanics (3° Edition). Elsevier, 2004, pp.760 (ISBN 978-0-12-178253-5)
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