Tradizionalmente il corso di Elettrotecnica per gli allievi elettrici ed elettronici fa parte di quel gruppo di corsi che fanno da ponte tra le materie formative in senso lato del primo biennio e quelle, altrettanto formative, ma in maniera più specifica ed applicativa, del successivo triennio del corso di studi in Ingegneria. In questo senso tale corso avrebbe lo specifico compito di partire dall’approfondimento dei principi base trattati in corsi come Fisica, Analisi, Geometria ecc.., e portare l’allievo alla padronanza delle metodologie e tecniche che da questi princìpi producono applicazioni, fino alle soglie dello studio delle stesse applicazioni concrete.
L’Elettrotecnica in particolare ha il compito di approfondire il modello del campo elettromagnetico lentamente variabile, o stazionario, ed il modello circuitale. Sempre più spesso, però, in questi ultimi anni, il corso di Elettrotecnica trova una collocazione, nel curriculum complessivo degli studi, che non consente tale impostazione tradizionale. Talvolta, per esempio, come accade in alcuni Diplomi, il corso viene impartito a valle di un solo corso di Fisica; in tal caso, evidentemente, la trattazione del modello del campo elettromagnetico lentamente variabile, modello che è alla base e giustifica quello circuitale, deve necessariamente essere rimandata ad altro corso.
Dato che le interazioni elettriche sono sovrapponibili, assume grande interesse considerare il campo di una carica elementare, che immaginiamo puntiforme, cioè localizzata in un punto dello spazio.
Il campo di un qualsiasi insieme di cariche potrà ottenersi come somma dei campi prodotti dalle singole cariche elementari.
Da quanto detto si determina immediatamente il campo di una carica puntiforme di valore Q.
Visto che abbiamo dato “corpo” a questa “modificazione dello spazio” che chiamiamo campo, possiamo provare a cercare un modo di rappresentarla. La costruzione mostrata in figura è evidente. Si tratta di tracciare in ogni punto la linea che è sempre tangente al campo in quel punto. Tali linee vengono dette linee di campo e, come è evidente, non possono incontrarsi in nessun punto in cui il campo sia definito: in quel punto infatti il campo non può avere due direzioni distinte. Perché allora le linee nella figura sembrano incontrarsi nel punto centrale?
Ecco l’andamento del campo tra due cariche uguali di segno opposto.
E quello di due cariche uguali. Si noti che questi non sono disegni ma foto di esperimenti ottenuti con polveri leggere (talco, per esempio) che in presenza del campo si polarizzano e si dispongono lungo le linee di forza. Come vedete il campo “esiste”!
Quante linee possiamo tracciare? In effetti potremmo riempire tutto il piano perché per ogni punto passa una linea. Si conviene di tracciarne un numero limitato ed in modo equidistribuito. In questo modo, peraltro, dove le linee s’infittiscono il campo è più forte, e dove si diradano più debole. Perché?
Tensione e differenza di potenziale
Supponiamo di avere, in una regione dello spazio, una “distribuzione” di cariche. Non ci occuperemo delle caratteristiche di tale distribuzione, ma soltanto dell’azione che tali cariche esercitano su altre cariche. Supponiamo ancora di poter disporre di una carica puntiforme, e positiva, che goda delle proprietà di non disturbare la posizione o il movimento delle altre cariche. In qualsiasi punto si venga a trovare la carica in questione, che d’ora in poi chiameremo carica di prova, essa risentirà di una forza prodotta dalle altre cariche, che d’ora in poi chiameremo cariche sorgenti. Se la carica di prova è unitaria, chiameremo campo elettrico E la forza che essa risente. Per una carica di valore q, per la legge di Coulomb, la forza sarà F = qE. In realtà la forza percepita dalla carica di prova non dipende soltanto dalla posizione in cui essa si trova, ma anche dalla velocità con cui essa passa per il punto in questione. Anche questo è argomento che non ci è dato approfondire in questa breve sintesi.
In ogni caso se immaginiamo di portare la carica di prova q, da un punto A ad un punto B lungo una linea g, la forza F che agisce sulla carica compirà un lavoro per unità di carica che potremo calcolare come mostrato successivamente.
A tale lavoro viene dato il nome di tensione lungo la linea g tra i punti A e B, e si misura in volt (V). Lo strumento che la misura verrà detto voltmetro e avremo modo di parlarne nel seguito.
Si noti che per poter parlare di tensione tra due punti bisogna aver specificato una linea γ tra gli stessi, ed il verso in cui ci si muove sulla linea (da A a B oppure da B ad A); ciò giustifica anche il simbolo utilizzato.
Supponiamo ora di spostare la carica di prova lungo un’altra linea, β, tra gli stessi punti A e B, come mostrato in figura. Anche in questo caso verrà compiuto un lavoro TAβB, che in generale sarà diverso dal precedente.
In determinate situazioni accade invece che tale lavoro sia indipendente dal percorso e dipende esclusivamente dai due punti estremi. Sarebbe facile far vedere, utilizzando la legge di Coulomb, che una tale situazione si verifica se le cariche sorgenti sono tutte ferme e la carica di prova si immagina mossa lentissimamente, un processo che in fisica viene definito adiabatico.
Chiariremo tra breve il perché di questo nome. Per ora osserviamo…
Si osservi che in questo caso il lavoro compiuto dalla forza F quando la carica di prova è mossa lungo un percorso chiuso – per esempio l’unione di g e b, quest’ultimo orientato nel verso opposto – è identicamente nullo.
Si dice che il campo in questo caso è conservativo per il lavoro.
VAB = Differenza di potenziale tra A e B
Supponiamo di essere in queste condizioni e di calcolare il lavoro che il campo compie quando la carica di prova si muove da un punto qualsiasi nello spazio ad un punto O fisso. Per ogni punto A prescelto avremo un valore di tale lavoro, indipendentemente dal percorso compiuto per andare da A a O.
Abbiamo in pratica costruito una funzione V(A) dei punti dello spazio che chiameremo potenziale del punto A rispetto ad O. In particolare è evidente che la funzione V in O è nulla. Si dice che il punto O è stato scelto come punto di riferimento dei potenziali.
Se ora, per esempio, immaginiamo di calcolare la tensione tra A e B otteniamo che VAB è la differenza di V(A) meno V(B), perché il lavoro da A a B, nelle nostre ipotesi, è lo stesso sia che si vada lungo gAB sia che si vada lungo a, nel verso segnato in figura, e lungo b, nel verso opposto.
Nel caso in cui, dunque, il lavoro è indipendente dal percorso esso può essere messo sotto la forma di una differenza di potenziale (d.d.p. nel seguito) tra i due punti in esame. Si noti che tale lavoro è positivo, e quindi le sorgenti compiono effettivamente lavoro sulla carica di prova, se il potenziale di A, V(A), è maggiore di quello di B, V(B).
Dal nome dello scienziato italiano che tanto ha contribuito allo sviluppo di queste tematiche soprattutto con l’invenzione della sua pila “voltaica”, appunto.
La corrente elettrica
2. I fenomeni elettromagnetici
6. Le caratteristiche dei bipoli
7. Circuiti resistivi e resitenza equivalente
8. I generatori
11. Un esempio di applicazione
12. Il metodo dei potenziali nodali e quello delle correnti di magl...
13. Proprietà delle reti elettriche
14. Caratterizzazione esterna delle reti lineari
15. I bipoli nella realtà: Teoria e pratica a confronto!
16. N-poli
18. Reti in regime dinamico: I nuovi bipoli lineari