Insegnare l’Africa. Messaggerie Orientali Memorie d’Africa
“Quali memorie, quali ricordi gli italiani conservano dell’Africa ieri? Quali memorie tornano oggi?” Se ne discute con Alessandro Triulzi.
Federica offre una sintesi dell’incontro, svoltosi nell’ambito di Come alla Corte di Federico II, ovvero parlando e riparlando di scienza.
Insegno da 35 anni, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Orientale, una materia chiamata Storia dell’Africa subsahariana. Altri miei colleghi insegnano Storia dell’Africa del nord. Siamo all’Orientale, la finestra sul mondo che Napoli ospita da più di 270 anni. Ognuno di noi ha il proprio spazio specialistico di insegnamento e ricerca. Insegnare Storia dell’Africa a Napoli è sempre stato un privilegio per me, e per i colleghi stranieri che hanno visitato la città. Napoli è una città porosa, aperta al movimento, a venti e genti che vengono da fuori, è una città curiosa. O almeno lo era quando, poco più che trentenne, ho iniziato il mio insegnamento, il primo sotto questo nome nell’università italiana.
Alessandro Triulzi
Professore di Storia dell’Africa subsahariana
Università degli Studi di Napoli ‘L’Orientale’
Il filmato completo, in streaming, è disponibile su Comeallacorte
Come ogni memoria traumatica anche quella coloniale ha impiegato mezzo secolo prima di essere elaborata.
In tempi recenti in Italia ci sono stati quattro momenti di “ritorno di colonia”:
Sono tutti eventi che hanno determinato una forma di terremoto politico e identitario nelle ex-colonie.
Per la prima volta dalla fine dell’occupazione italiana, il passato coloniale e il colonialismo italiano sono tornati alla ribalta nel Corno d’Africa.
Il filmato completo, in streaming, è disponibile su Comeallacorte
Negli ultimi anni si è sviluppata in Italia la prima letteratura italofona prodotta da scrittori africani o afro-italiani.
A differenza della Gran Bretagna e della Francia, l’Italia non ha avuto una letteratura nazionale ambientata in colonia o di provenienza coloniale. Si è dovuto attendere l’arrivo del popolo dei migranti per richiamare il passato coloniale dell’Italia e per ricordare le molteplici emozioni e memorie, ma anche le se ferite a livello diffuso, sono occorsi sessant’anni dalla chiusura formale dell’Impero italico (1947) perchè i primi romanzi della neonata letteratura italofona apparissero e ricevessero il meritato riconoscimento di pubblico e di critica.
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Tre romanzi richiamano l’ambiguità e la violenza, ma anche la capacità di seduzione della complessa situazione coloniale:
Si tratta di romanzi che hanno riproposto il peso dei sogni e delle delusioni, le ferite non rimarginate di una storia comune, una memoria straordinaria che sta cambiando il panorama letterario.
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Esiste poi un filone letterario che cerca di fare i conti con l’altrove coloniale, fin qui sconosciuto alle nuove generazioni.
Una letteratura che per la prima volta coinvolge il pubblico di massa e che contribuisce a comunicare il passato coloniale dell’Italia e le sue contrastate vicende.
Il filmato completo, in streaming, è disponibile su Comeallacorte
Alessandro Triulzi è ordinario di Storia dell’Africa subsahariana e coordinatore del Dottorato di ricerca in Africanistica presso l’Università degli Studi di Napoli ‘L’Orientale’. Ha svolto ricerche sul terreno in Ghana, Etiopia e Sudafrica. Ha insegnato nelle Università di Perugia, Addis Abeba e all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi. Dirige progetti di ricerca nazionali e internazionali. Coordina il Progetto Confini: I saperi dell’Africa in movimento per conto della Fondazione Lettera27 di Milano. I suoi temi di ricerca sono la storia dell’Etiopia moderna, le tradizioni orali, la riscrittura della nazione nell’Africa postcoloniale, il ritorno della memoria coloniale. Tra le sue pubblicazioni si ricorda: Fotografia e storia dell’Africa (Napoli 1995); Uomini in armi. Costruzioni etniche e violenza politica (con M. Buttino e M.C. Ercolessi, Napoli 2000); Remapping Ethiopia (con W. James, D. Donham, O.Kurimoto, Oxford, 2002; Dopo la violenza. Costruzioni di memoria nel mondo contemporaneo (Napoli 2005); Il ritorno della memoria coloniale (dossier afriche & orienti 1, 2007). Nel 2007 ha ottenuto il Premio Giorgio Maria Sangiorgi per la Storia e Etnologia dell’Africa dall’Accademia dei Lincei.
Giulio Cederna
Comunicare l'Africa
Valerio Petrarca
L'africanista e il viaggio del migrante
Cristina Ali Farah
Tra noi
Maria Cristina Ercolessi
La curiosità di studiare la politica africana
Goffredo Fofi
La mia Africa
Nel 1996 ho avuto la fortuna di viaggiare in Africa al seguito di un’organizzazione non governativa. Di quell’esperienza che ha cambiato la mia vita ricordo soprattutto l’incontro con un vecchio capo Gabbra in un villaggio fantasma ai margini del deserto del Chalbi, nel nord del Kenya colpito allora come oggi da una drammatica siccità. Nell’oscurità della sua capanna, all’interno della quale riuscivo a distinguere solo il bianco più bianco degli occhi e della tunica, il vecchio raccontò la tragedia di un popolo ridotto a sopravvivere grazie agli aiuti alimentari generosamente elargiti da quegli stessi bianchi che quarant’anni prima li avevano scacciati a colpi di fucile dalle terre ancestrali. Del suo lungo discorso in una lingua aspra per me incomprensibile, riuscì a capire a malapena la frase finale in swahili, accompagnata da uno sputo fragoroso: ‘muzungu ni muzungu’, l’uomo bianco è l’uomo bianco.
Giulio Cederna
Esperto in comunicazione sociale
Qualcosa di decisivo e di palpabile, anche se difficile a dirsi, accomuna gli africanisti. Non è l’Africa in sé, perché le realtà di quel continente sconfinato che chiamano infatti al plurale, Afriche, sono diversissime. E non è un sapere accademicamente inteso, perché diversi sono i punti di vista disciplinari, metodologici e tematici che essi seguono. Gli africanisti condividono piuttosto una disposizione d’animo, frutto di una pratica che ha l’effetto di un’iniziazione: il viaggio di andata e di ritorno tra Africa e Occidente, che modella in modo speculare l’esperienza degli studiosi occidentali e di quelli africani. L’idea di Africa al singolare, all’interno di questa comune esperienza del viaggio, non cancella le diversità interne al continente, ma le coglie nelle costanti della storia che ha legato l’Africa all’Occidente.
Valerio Petrarca
Professore di Antropologia culturale
Università degli Studi di Napoli Federico II
Fonte: Wikipedia
Io e Romano Beré ci siamo conosciuti più di quattro anni fa, quando Yasmin stava per nascere. La gravidanza era avanzata, ma lavoravo ancora come mediatrice culturale. La coordinatrice del progetto mi voleva affiancare un collaboratore. Era quasi inverno e Romano vestiva leggero e impeccabile. I dread locks corti e gli occhi sembravano dipinti. Ricordo che mi sorpresi per il suo accento romano marcato, forse mi urtò persino. Ce l’aveva ancora nonostante fosse appena tornato da Toronto, dopo anni di assenza.
Il progetto da fare insieme non fu mai avviato, ma l’occasione di incontrarci si presentò molto presto. Dovevo scrivere un racconto su Roma e per caso in quei giorni mi era capitata tra le mani una ricerca su un gruppo di afroitaliani che si incontravano a piazzale Flaminio.
Cristina Ali Farah
Scrittrice
Quando, da giovane studentessa universitaria, mi imbattei per la prima volta in un corso sull’Africa era appena stato rovesciato in Cile il governo di Salvador Allende. Ma da poco era stato anche assassinato Amilcar Cabral, intellettuale e leader della lotta di liberazione di Guinea Bissau e Capo Verde contro l’ultimo baluardo coloniale rimasto in Africa, quello portoghese. E di lì a poco sarebbero venute la ‘rivoluzione dei garofani’ in Portogallo, l’indipendenza dell’Angola e del Mozambico, la rivolta dei giovani di Soweto contro l’apartheid, la liberazione dello Zimbabwe dal regime bianco razzista. Questo per dire che ad appassionarmi non fu tanto l’evocazione di un’Africa esotica fatta di natura rigogliosa (alla film di Tarzan per intenderci), tradizione e costumi tribali immobili ma in equilibrio, ruralità povera ma egualitaria, tempo lento a misura d’uomo (ma molto meno a misura di donna), ritmo e ballo, il tutto magari condito da un po’ di stregoneria.
Maria Cristina Ercolessi
Professore di Sistemi Politici e Sociali dell’Africa Contemporanea
Università degli Studi di Napoli ‘L’Orientale’
Fonte: Wikipedia
Non sono mai stato in Africa. Conosco, in compenso, molto bene l’Italia e questo, oggi, non è un motivo di conforto. Dell’Africa sapevo il falso, dai libri, dai film, dalle canzoni: Tarzan e Trader Horn, Cino e Franco e L’uomo mascherato, L’esploratore scomparso e Le miniere di re Salomone, Bengasi e Tam Tam Mayumbe, Sul lago Tana (mentre la notte s’avvicina / si fa il saluto alla romana/ per chi combatte e per chi muor) e Faccetta nera (piccola abissina): opere a dir poco imperialiste. Racconta Malcolm X che da bambino si identificava con Tarzan, non con i ridicoli neri che l’eroe bianco dominava…
Goffredo Fofi
Giornalista
Scarica il dossier a cura della redazione di Come alla Corte – Edizione 2008-2009
Alessandro Triulzi: Insegnare l'Africa
Giulio Cederna: Comunicare l'Africa
Maria Cristina Ercolessi: La curiosità di studiare la politica africana