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Gianluca Giannini » 2.Bioetica e sue definizioni - Parte prima


Preliminari

Dunque, e come s’è detto in chiusura della lezione precedente, si rende necessario gettare, una volta stabilite le coordinate strutturali di fondo, le fondamenta per meglio perimetrare – in special modo dal punto di vista definitorio – la bioetica.

Ovvero, iniziare a capire cosa sia, sotto il punto di vista del significato e dell’ambito, la bioetica.

Una cosa tuttavia va preliminarmente detta: la bioetica è, fuor di dubbio, “sapere giovane”, cioè, e come si proverà ad esplicitare, si inizia a parlare di bioetica, si inizia ad utilizzare il termine “bioetica” solo nella seconda metà del XX secolo.

V.R. Potter

Il primo ad aver parlato di “bioetica”, il primo ad aver utilizzato il termine “bioetica” è stato, infatti, nel 1970, l’oncologo australiano Van Rensselaer Potter.

Come egli stesso ha ricordato: «Il termine bioetica fu usato per la prima volta dal sottoscritto in un articolo del 1970, dal titolo Bioethics: Science of Survival. Si fondava sul pensiero che la specie umana probabilmente non sarebbe sopravvissuta a lungo, se la dominante culturale tecnologica e materialistica avesse continuato lungo il corso già delineatosi nel 1970».

Van Rensselaer Potter (1911-2001). Immagine da: Harvard Square Library

Van Rensselaer Potter (1911-2001). Immagine da: Harvard Square Library


V.R. Potter (segue)

Ed ancora, in maniera ancor più specifica: «questo pensiero venne da me esteso e portato avanti in un numero di saggi pubblicati da più parti, dopo essere stati presentati nel corso di conferenze. I saggi si prestavano ad essere uniti in modo da formare un libro, pubblicato per la prima volta come Bioethics: Bridge to the Future nel 1971. Ripeto, l’idea era che non si potesse presumere la sopravvivenza della specie umana a lunga scadenza. Era implicito, sin dal titolo, che la bioetica poteva contribuire alla sopravvivenza dell’uomo».

Riferimenti:
V.R. Potter, Bioethics. The Science of Survival, in «Perspectives in Biology and Medicine», 14/1970, pp. 127-153.
V.R. Potter, Bioetica. Ponte verso il futuro, ed. it. Sicania, Messina, 2002.

Contesto

In altri termini, e per entrare al cuore della “provocazione” intellettuale di Potter, è necessario cominciare a considerare il contesto in cui essa si colloca.

Cioè è necessario assumere, con Potter stesso, la preliminare costatazione in ragione della quale la condizione culturale del nostro quotidiano è pervasa, in maniera profonda, dalla tecnologia, ovvero da quel sapere procedurale che ha, in un arco di tempo davvero breve, rivoluzionato il patrimonio culturale della popolazione umana.

Per di più, nella misura in cui questo sconvolgimento culturale ha investito la dimensione biologica dell’essere umano, più pressanti si sono fatti i timori che tale invasione tecnologica potesse in qualche modo ledere la medesima vita umana.

Contesto (segue)

D’altra parte, a tale travolgente divenire tecnologico non è corrisposta – specie in una prima fase di ricerca-sperimentazione-applicazione – adeguata elaborazione culturale, al punto che ci si è trovati sovente nella difficoltà di inquadrare fattispecie biologiche impensabili, perché non esistenti, solo qualche anno prima o, finanche, ipotesi applicative tali da “stravolgere” in senso strutturale fattispecie biologiche pre-esistenti.

Immagine da:  Fabio Sebastiano

Immagine da: Fabio Sebastiano


Contesto (segue)

Allora, di fronte a queste specifiche e del tutto inedite curvature del sapere scientifico, la cultura si è posta il problema di una regolazione, quando non anche di una regolamentazione, se accettata l’idea di una loro intrinseca liceità, delle condotte interessate, soprattutto quando vengono toccati gli aspetti della sfera biologica che, sino alle estreme conseguenze di prefigurazione prospettica di ragionamento, potrebbe esser minacciata segnatamente alla sua effettiva salvaguardia e conservazione.

E dunque si riesce a comprendere il perché dell’utilizzo “forte” del termine “sopravvivenza” da parte di Potter.

Un campanello d’allarme rispetto a cupe ipotesi di futuro.

Perimetro

È quindi in questo contesto che Potter ha sentito l’esigenza di gettare le fondamenta di un sapere, chiamato appunto bioetica, consistente in una «scienza della sopravvivenza», o etica della vita, ossia un sapere, via via sempre più multidisciplinare (la cosiddetta “cultura” di cui prima), coinvolgente saperi regionali differenti e finanche eterogenei, avente per scopo la formulazione dei criteri di condotta adeguati ai vari casi resi possibili dalla rivoluzione tecnologica, e in grado, quindi, di «garantire la sopravvivenza e il benessere dell’uomo».


La sfida

Il problema, in altri termini, è stato quello di elaborare piattaforme orientative segnatamente all’agire dell’uomo che fossero in grado di fornire criteri adatti per la comprensione e risoluzione di tutti quei dilemmi indotti dalla rivoluzione scientifica sul bios.

L’uomo, quindi, è sempre al centro e, almeno nelle intenzioni, la “sfida” fondante della bioetica è stata quella di riflettere sull’uomo stesso, sui margini del proprio complessivo agire al fine di edificare forme di umanesimo sempre più capaci di interpretare il presente per provare a garantire un futuro.

Sviluppi a venire

È solo a partire dalla corretta impostazione e comprensione del contesto originario che sarà possibile enucleare e seguire, dalla prossima lezione, lo sviluppo, e proprio dal punto di vista delle definizioni, della bioetica.

Sviluppo che, ovviamente, non è rimasto consegnato alle voci di dizionario ma ha, evidentemente, investito di sé il significato complessivo della bioetica stessa, sino ad una sua sostanziale “trasfigurazione” rispetto ai nobili propositi fondativi.

Al punto che – come si vedrà – si è giunti a parlare, in un mosaico ormai quasi incomponibile, di “bioetiCHE”.

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