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Gianluca Giannini » 14.La crisi e la fine del giusnaturalismo


Giusnaturalismo moderno

In seno alla disputa tra il volontarismo e il giusnaturalismo tomistico, i teologi-giuristi del ‘500 hanno cercato di operare generalmente una mediazione. In questo ambito possiamo collocare, ad esempio, l’olandese Ugo Grozio, convenzionalmente riconosciuto come il padre fondatore del giusnaturalismo moderno.

Nello scritto De jure belli ac pacis (1625) Grozio, nel porre il diritto naturale a fondamento di un diritto riconoscibile, ha avuto modo di affermare che tale diritto naturale è dettato dalla ragione, e che è indipendente non solo dalla volontà di Dio, ma è indipendente persino dalla Sua stessa esistenza. Dalla eventualità della Sua stessa esistenza.

Immagine da: Società libera

Immagine da: Società libera


Ugo Grozio

Scorrendo di nuovo il testo di Cassirer si legge: “il ‘De jure belli ac pacis’ di Grozio [...] presenta con la massima purezza il ‘platonismo’ del diritto naturale”. Ed ancora: “promulgando i suoi singoli comandamenti positivi, il legislatore ha di mira una norma che è valida universalmente e impegnativa tanto per la sua volontà quanto per quella di tutti gli altri. In questo senso va inteso il celebre detto del Grozio che le tesi del diritto naturale conserverebbero il loro valore, anche se si supponesse che non esiste un Dio o che la divinità non si cura delle cose umane. Queste parole non intendono assolutamente scavare un abisso fra la religione da una parte e il diritto e la moralità dall’altra. [...] Le parole che, anche senza ammettere l’esistenza divina, possa e debba esistere un diritto, non vanno quindi intese come tesi, ma soltanto come ipotesi”.

Ugo Grozio (1583-1645). Immagine da: Filosofico

Ugo Grozio (1583-1645). Immagine da: Filosofico


La “rivoluzione” di Grozio

Questa impostazione di Grozio, in epoca illuministica, è apparsa rivoluzionaria e precorritrice della nuova cultura laica ed anti-teologica, alla quale perciò il giusnaturalismo groziano avrebbe aperto la via nel campo della morale, del diritto e della politica. Ed in effetti, è possibile anche aggiungere, ha agito storicamente in tal senso.

L’opera di Grozio, nel ‘600, in quanto trattazione sistematica di diritto oltre-nazionale, e grazie alla fama ottenuta in tutta Europa, ha avuto il merito di diffondere l’idea di un “diritto naturale” nel senso di “non soprannaturale”, ma di un diritto avente la sua fonte di validità esclusivamente nella sua conformità alla ragione umana. Questa concezione del diritto naturale, fuor di dubbio, ha operato profondamente nel diffondere l’idea della necessità di conformare ad un siffatto diritto, il diritto positivo e la costituzione politica degli Stati.

Immagine da: Filosofico

Immagine da: Filosofico


Del diritto “innato”

Il giusnaturalismo moderno ha posto fortemente l’accento sull’aspetto soggettivo del diritto naturale, e cioè anche su quelli che, in un preciso snodo storico, diverranno i cosiddetti diritti innati.

È appunto per questo suo carattere che esso ha informato così profondamente le dottrine politiche a tendenza individualistica e liberale, imponendo l’istanza del rispetto da parte dell’autorità politica di quelli che, con le Rivoluzioni del ‘700, vengono proclamati “inalienabili diritti innati dell’individuo”.

Stato e natura

Lo Stato stesso, ovvero il complesso regolamentato di relazioni intersoggettive, è considerato dal giusnaturalismo moderno opera volontaria degli individui anziché, come nella maggior parte delle dottrine classiche e medievali, istituto necessario per natura.

Per i giusnaturalisti moderni, gli individui in certo qual modo sospendono lo “stato di natura” e danno vita allo Stato politicamente organizzato e dotato di autorità proprio affinché siano meglio tutelati e garantiti i loro diritti naturali; e lo Stato è legittimo in quanto e fino a quando adempie questa sua essenziale funzione, che gli è delegata mediante un contratto, cioè un patto tra i cittadini e il sovrano.

Hobbes

In alcune delle dottrine giusnaturalistiche moderne l’individualismo è spinto fino a far considerare effetto di questo contratto fra gli individui la società stessa, e ad articolare così il contratto sociale in due momenti: patto di unione e patto di soggezione. Ma assai più raramente di quanto si creda, perché anche fra i giusnaturalisti moderni la “stato di natura” è stato generalmente rappresentato come una forma di società: una società, tuttavia, precaria ed incerta, così da rendersi opportuna oltre che necessaria l’uscita da tale condizione per dar vita ad una istituzione politico-giuridica organizzata.

Ad esempio è stato il caso di Hobbes il quale, per superare lo “stato di natura” in cui l’uomo è lupo per l’altro uomo, non ha potuto che teorizzare uno Stato tanto forte da incutere la maggior paura possibile.

Thomas Hobbes (1588-1679). Immagine da: Wikimedia

Thomas Hobbes (1588-1679). Immagine da: Wikimedia


Conclusioni

Il giusnaturalismo sei-settecentesco, ed è questo forse il dato fondamentale da tenere maggiormente presente, ha peccato gravemente di senso storico: non solo nel prospettare come eventi realmente accaduti pure esigenze della ragione, ma anche nel concepire come pretese e necessità stesse della ragione quelle che erano in realtà istanze politiche, economiche della società del tempo, in sostanza imponendo la medesima ragione quale cifra unificatrice del reale e, perciò, quale istanza metafisica che tutto è in grado di armonizzare.

Un’istanza che, tutto sommato, in schemi più o meno rimodulati e complessificati, ancora sottende la forma classica di umanesimo con cui a tutt’oggi ci si trova ad interagire.

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