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Gianluca Giannini » 17.Dalla fantascienza alla scienza


L’incubo della fanta-scienza

Non vi è dubbio che lo sviluppo tecnico e tecnologico dalla seconda metà del ‘900 sia stato a dir poco vertiginoso e molte delle acquisizioni scientifiche che ne hanno segnato la processualità evolutiva hanno, nel profondo, modificato e riscritto i codici di lettura ed interpretazione della stessa relazione tra l’uomo e la realtà esterna. Modifica radicale che, in larga parte, ha contribuito e sta contribuendo ad eliminare, uno alla volta, tutti quei pregiudizi di marca antropocentrica che, è inutile tacerlo, hanno contraddistinto la narrazione, l’auto-narrazione, dell’avventura umana.

Ma il processo di eliminazione, a dispetto della velocità della processualità evolutiva delle scienze, è lento e, specie se l’oggetto delle scienze è l’uomo stesso, il rischio è quello di incorrere in incubi “fantascientifici”.

L’umano come deformazione

In realtà se si accetta – sulla scorta delle riflessioni condotte in precedenza segnatamente alle “condizioni” dell’umano e, dunque, relativamente al suo “posto” – che l’uomo, l’umano è storia, concrescenza fluida di accumulo storico, sommatoria aperta di esperienze in fieri, fossero anche quelle inscritte nel casuale sentiero evolutivo, è possibile allora dire che l’uomo, l’umano, è niente altro che deformazione.

L’umano come deformazione (segue)

È, cioè, oggetto e soggetto di deformazione in quanto modificatore e modificazione costante: ovvero, tanto rispetto alla propria possibilità e abilità di soggetto agente di fronte alla eventualità di interazione (e destrutturazione e ristrutturazione, quindi) con il mondo circostante – sia esso inteso come complesso di enti che gli si fanno incontro, sia come mondo proiettivo, ossia quale complesso di enti cui egli stesso ha messo mano ideandoli e realizzandoli.

Ma è altresì soggetto agente di deformazione anche al cospetto del suo stesso bios, dal che è anche oggetto di deformazione (teoricamente consapevole).

Retroazione

Ma di là dagli incubi fanta-scientifici, se le premesse che sin qui siamo andati prospettando possono essere assunte come valide, ovvero se è proprio questo “evento ibridativo”, assunto quale processualità che storicamente si determina, a farne e dirne dell’umano e della sua specificità – è nell’esplicitarsi della ibridazione che è la cultura, ragion per cui non vi è più dicotomia con la natura – una prima ricaduta che ne dice delle frontiere aperte determina che la cultura non è più da assumere quale mero completamento della natura in conseguenza della incompletezza originaria bensì, per certi versi, come “motore della natura” in ragione della sua capacità di retroazione sul sistema-uomo stesso.

Trasfigurazione

La conoscenza stessa dell’umano, dunque, ma anche le scienze medesime, non possono più mirare o essere portabandiera di alcunché di assoluto o assolutamente “vero”. Mutano in funzione della potenzialità, già in dissolvimento al momento del suo primo affacciarsi, di questa idea qui di umano, di questa contestuale e storica idea di umano che si declina in situazione. Ma, appunto, questa situazione già chiama ed indica in direzione del suo mutamento che non sta a dire di “progresso” o “progressismo” ma, prospetticamente, solo del limite attuale raggiunto e che, nel farsi stesso, può tendere o far tendere in direzione dello slittamento successivo.

Questione ultima

Se è in gioco, come è in gioco, la tenuta speculativa del nostro umanesimo tradizionale, ciò sta a significare che è in questione, che è oggetto di questione la struttura, l’intera impalcatura concettuale di questo umanesimo e, conseguentemente, tutto ciò che da essa è dipeso e dipende a tutt’oggi.

Questa è, in definitiva, la questione ultima che ci deve interessare e che è relativa, in sostanza, alla ipotesi di un neo-umanesimo sciolto da ogni pretesa metafisica e ontologica.

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