Abbiamo concluso la precedente lezione evidenziando una necessità, quella di erodere “verità” tradizionali e dunque consolidate dell’uomo e sull’uomo.
Ma quali sono queste verità?
Innanzitutto e per lo più quelle che, in oltre duemilacinquecento anni, ci sono provenute dalla tradizione metafisica.
Bisogna, in altri termini, erodere le verità metafisiche dell’uomo e sull’uomo.
Che intendiamo, dunque, con metafisica e, conseguentemente, con verità metafisiche?
Per iniziare a dare un’indicazione di massima, si potrebbe dire che la metafisica è quella parte della filosofia che si propone l’obiettivo di comprendere gli enti, il complesso degli enti, secondo un’intenzione che miri ad essere il più dilatata ed universale possibile prescindendo, all’occasione, anche dallo stesso aspetto sensibile, empirico, di questi stessi enti.
Anzi, e forse in maniera più precisa ed aderente, si potrebbe dire che, nel tentativo di andare oltre gli elementi instabili, mutevoli e accidentali degli enti, ovvero dei fenomeni, la metafisica concentra la propria attenzione su ciò che ritiene essere eterno, stabile, necessario, con l’intento di riuscire a cogliere le strutture fondamentali, i principi primi (ed ultimi quindi) della realtà empirica medesima, cioè di ciò che è.
Presupposto della metafisica è dunque la ricerca sui limiti e sulle possibilità di un sapere che non può derivare in modo diretto dall’esperienza empirica.
I cinque sensi, infatti, si limitano a recepire passivamente le impressioni derivanti dai fenomeni naturali, e non sono in grado di fornire una legge in grado di descriverli, non sono in grado cioè di coglierne la radice istitutiva e costitutiva di questi stessi fenomeni che, interrelati, costituiscono un unico (e per certi versi unitario) complesso.
Oggetto della metafisica, in questo senso, è allora il tentativo di trovare e formulare la struttura universale e oggettiva che si ipotizza essere nascosta dietro l’apparenza dei fenomeni. Un mondo oltre e dietro il mondo che fa sorgere in prima istanza l’interrogativo se una tale struttura, ammessa come ipotesi, si celi nell’ente in quanto tale, o piuttosto nella nostra coscienza, sotto forma di strutture (idee) innate che determinano il nostro modo di pensare e di conseguenza il nostro modo di conoscere e la realtà stessa, che (apparentemente, quindi) conosciamo.
Per definire queste strutture dunque permanenti, che sono la realtà perché fanno nel suo complesso la realtà nel senso che la sottendono, ma che quindi sono anche la realtà stessa e che va investigata a partire da esse, Aristotele diede il nome di “essenze”.
Il termine essenza (greco ti en einai, lat. essentia), secondo proprio la concezione aristotelica indica “ciò per cui una certa cosa è quello che è, e non un’altra cosa”.
L’essenza quindi sta ad indicare quelle determinazioni di un ente, specificate nella sua “definizione”, che ne costituiscono la natura (o “specie” proprio nei termini aristotelici).
Il problema allora diviene quello di cogliere, una volta strutturato questo mondo dietro il mondo che di fatto fa, realizza, questo-mondo-qua che io apprendo, conosco e nel quale mi trovo, il punto di transito, passaggio tra i due.
Ovvero, come si passa dall’essenza all’effettiva esistenza?
Come, in altri termini, avviene la necessitata connessione tra fisica e metafisica?
La metafisica occidentale, in oltre duemila anni di tradizione, ha offerto numerose risposte che, nello specifico, ci interessano relativamente.
Quel che deve allo stato interessare sono alcuni dati “sensibili”, veri e propri fili rossi di “ogni” narrazione metafisica.
Primo fra tutti è che vi è un “ordine” sovrasensibile, immutabile ed eterno, di cui l’ordine sensibile è o rispecchiamento o, in qualche modo, emanazione.
In seconda battuta, che questo ordine preesistente, fuori dello spazio e del tempo, depositario e sede dei principi primi come s’è detto, in ragione di questa immutabilità e a-temporalità “mette mano” a strutture nel mondo fisico che nella loro inseità sono inalterate e inalterabili.
Se, dunque, si prova a volgere lo sguardo all’interno di questo “già dato” a quell’ente particolare che si pone una serie di domande e prova a fornire anche risposte auto-narrative e auto-narranti, la domanda assume i seguenti contorni:
Chi è l’uomo (della metafisica)?
2. Bioetica e sue definizioni - Parte prima
3. Bioetica e sue definizioni - Parte seconda
4. Bioetica: sapere senza statuto epistemologico
6. Homo faber, homo creator, homo materia
8. Lo statuto (presunto) delle macchine
9. Dall'"utensile" alla falsificazione
10. Morte dell'uomo della metafisica - Parte prima
11. Morte dell'uomo della metafisica - Parte seconda
12. Nascita del giusnaturalismo
13. Il giusnaturalismo compiuto nell'ordine suo
14. La crisi e la fine del giusnaturalismo
15. La condizione dell'uomo e/o le condizioni dell'umano
16. Dal “sistema aperto” all'ibridazione
17. Dalla fantascienza alla scienza
18. Neo-umanesimo dell'a-essere (I parte)