Tutto quel siamo sino ad ora venuti dicendo anche in direzione di una fondabilità dell’etica affonda le sue radici nel fatto che sorge, in ragione anche delle acquisizioni delle scienze coeve, l’esigenza di ridisegnare il perimetro e i contenuti dell’umanesimo tradizionale a partire dall’assunzione in ragione della quale l’uomo diviene, anzitutto, essendo privo di compiuto essere, cioè si stabilisce assumendo la sua difettività ontologica come struttura fondamentale.
Questa forma di consolidamento, allora, è davvero la messa in crisi e il conseguente superamento dell’ultimo bastione disponibile in direzione di una interpretazione metafisicamente fondata dell’umano.
Se, infatti, l’uomo come esistente diventa se stesso nel momento in cui si esaspera ed esalta il timore d’essere cancellato dall’esistenza. Si riconosce cioè esistente conoscendosi nel rischio dell’inesistenza, ragion per cui può ben dirsi che l’inesistenza è al principio del suo esistere, gli esistenti stessi sono in quanto si fanno. Gli esistenti, in altri termini, non possono essere in quanto predeterminatamente sono, bensì in quanto divengono e il loro divenire è un continuo difendersi dall’inesistenza, una continua assunzione di coscienza della precarietà combattuta. L’esistere è un corpo a corpo contro l’instabilità per ciò non può essere che divenendo.
Il fondamento dell’esistere, quindi, è da rintracciare nella difettività, ragion per cui la struttura ontologica dell’essere umano è letteralmente de-ontologica in quanto letteralmente deficitaria. L’essere, allora, come acutamente rilevato dal filosofo napoletano Pietro Piovani:
“è deessenziale. Il suo essere è solo l’essere ideale: un essere nell’irrealizzabilità, nel permanente divenire. Se si realizzasse in idea, se coincidesse col paradigma inattingibile, esisterebbe come non può mai esistere. L’essere in idea è in quanto non sia. Ogni realtà è in quanto diviene, ma diviene solo in quanto non coincide con l’idea, la quale muove e promuove l’esistere, ma non può esistere che come rivelazione di mancanza”.
Riferimenti:
Pietro Piovani, Oggettivazione etica e assenzialismo, Napoli, Morano Editore, 1981, pp. 129-130.
È questa la radice che ne dice del “chi” e “cosa” dell’umano: se è grazie al deficere che l’essere dell’uomo è, ovvero l’essere dà realtà all’essere dell’umano non perché è, ma perché non-è, in definitiva il suo essere è il suo non-essere, se ne può concludere che è proprio quod deest me constituit.
Quindi, è nel solco della de-ontologia che dev’essere collocato lo sforzo d’essere, la fatica del da-essere dell’uomo. Sebbene volente non volutosi, infatti, quantunque la sua struttura ontologica sia deficitaria, l’uomo continua, in questa tensione verso l’ideale, a voler continuare ad essere. Divenendo e facendosi, espandendosi con una capacità ibridativa e coniugativa doppia in quanto a motivi relazionali: di apertura al novum e all’alterità ma, anche, di divorazione di questo novum e dell’alterità. Dilatazione per-esistentiva che dice di un de-forme latore di conflitto.
Indocile nel suo muoversi (per divenire) costante perché refrattario al suo a-essere originario, l’uomo si espande consapevolmente, volontariamente, in forma vivente: anzi il vivere per-existere dell’umano è proprio questa volontà, questo tentativo di riscatto dal suo a-essere.
Appena comincia a volere, quando in sostanza si verifica il salto nell’esistenza, che è mobilità, essere-in-fieri, l’uomo non può che voler continuare ad essere: se accetta, però, di esistere nel mutato orizzonte de-ontologizzato, non può che voler-continuare-ad-a-essere, laddove questa volontà è lo sforzo, anche sfrenato, di perfezionare tale imperfezione fondativa, senza però scatenare gli elementi sino a trasfigurare il sé in oggetto di auto-divorazione.
Persino quando il dover-essere si ispira alla più nobile flessione di un agire a favore dell’umano, non è possibile eludere il transito per la consapevolezza de-ontologica, che implicando e imponendo le sabbie mobili di una nuova e provvisoria rifondazione in toto, apre alla possibilità residuale di un’etica situazionale precaria, perché appunto di volta in volta da legittimare e sottoporre all’accettazione d’altri. Bisogno metafisico che fa esplodere la metafisica, giacché tale bisogno riafferma se stesso non presupponendo il dato dell’essenza, ma costatando la necessità dell’assenza costitutiva dell’umanità dell’umano essente.
2. Bioetica e sue definizioni - Parte prima
3. Bioetica e sue definizioni - Parte seconda
4. Bioetica: sapere senza statuto epistemologico
6. Homo faber, homo creator, homo materia
8. Lo statuto (presunto) delle macchine
9. Dall'"utensile" alla falsificazione
10. Morte dell'uomo della metafisica - Parte prima
11. Morte dell'uomo della metafisica - Parte seconda
12. Nascita del giusnaturalismo
13. Il giusnaturalismo compiuto nell'ordine suo
14. La crisi e la fine del giusnaturalismo
15. La condizione dell'uomo e/o le condizioni dell'umano
16. Dal “sistema aperto” all'ibridazione
17. Dalla fantascienza alla scienza
18. Neo-umanesimo dell'a-essere (I parte)
Pietro Piovani, Oggettivazione etica e assenzialismo, Napoli, Morano Editore, 1981, pp. 129-130.