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Gianluca Giannini » 8.Lo statuto (presunto) delle macchine


Lo statuto

Nella precedente lezione si è giunti alla determinazione in ragione della quale l’uomo è conatus essendi. Sforzo d’essere proteso nel tempo alla ricerca di un sovrappiù di tempo.

S’è anche detto che in ragione di questo la sua capacità performativa di progettazione/fabbricazione necessita di una rilettura, ovvero di integrazioni di considerazioni non solo e non tanto per estendere il discorso meramente relativo al trofismo costitutivo uomo-macchina ma, in fin dei conti, per cogliere – qualora vi fosse – lo statuto, che è dunque solo presumibile, delle macchine stesse.

In ultima istanza della tecnica/tecnologia.

Heinrich Popitz

Come ha ben capito Heinrich Popitz, “l’agire tecnologico si sviluppa a partire da una specifica caratteristica tecnologica dell’uomo, da una specifica possibilità insita nel suo organismo. La tecnica non compensa una insufficienza organica ma al contrario sfrutta una capacità organica”.

Riferimenti:
H. Popitz, Der Aufbruch zur Artifiziellen Gesellschaft (1995), trad. it. di G. Auletta, Verso una società artificiale, Roma, Editori Riuniti, 1996, p. 42.

Estensione di campo

Per cui, e in altri termini, l’applicazione tecnica, gli oggetti tecnologici hanno, da un lato, ampliato il dominio di intervento dell’uomo, dall’altro hanno contribuito a trasformare le sue stesse competenze, richiedendogli via via nuove prestazioni e nuove abilità.

In definitiva, quindi, la tecnologia e la tecnica non completano l’uomo. Estendono il suo campo di azione, manipolazione e deformazione.

Nuove vie di coniugazione

Meglio ancora: tecnica e tecnologia non soccorrono una forma originaria carente per protenderla in direzione di una compiutezza e, quindi, in direzione della perfezione; rendono “solo” accessibili nuove vie di coniugazione con l’interno e l’esterno senza un preciso finalismo che non sia quello per-esistentivo. Cioè senza alcuna finalità, senza che, in ultima istanza, tali vie si collochino all’interno di alcun sentiero onto-teo-logico che, dunque, ne renda plausibile e possibile una rilettura finalistica. Se non, appunto, il sopravvivere (ad ogni costo) e che fa a meno, nella sua rudezza performativa, d’ogni fregio teleologico.

Evento ibridativo

Se ci s’impegna ad assumere che l’uomo non è per nulla carente da un punto di vista biologico e che, inoltre, “non è vero che l’uomo si rende completo attraverso la cultura, bensì è molto più plausibile ritenere che l’uomo si percepisca incompleto a seguito della cultura”, è possibile intendere il cosiddetto processo culturale come “‘evento ibridativo’, ossia nei termini di una ‘esternalizzazione’ realizzata attraverso [...] l’uso di uno strumento, la partnership con un’altra specie, il conferimento di un significato, la proposizione di una teoria – in breve tutto ciò che attiva una coniugazione con la realtà esterna”.

Riferimenti:
R. Marchesini, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, p. 24 e p. 25.

Roberto Marchesini

Roberto Marchesini


Evento ibridativo (segue)

È questo “evento ibridativo”, assunto quale processualità che storicamente si determina, a farne e dirne dell’umano e della sua specificità. È nell’esplicitarsi della ibridazione che “è” la cultura, ragion per cui non vi è più dicotomia con la natura. Ovvero la cultura non è più da assumere quale mero completamento della natura in conseguenza della incompletezza originaria bensì, per certi versi, come “motore della natura” in ragione della sua capacità di retroazione sul sistema-uomo stesso.

E qui, come si capisce, lo statuto delle macchine (precipitato fisico della cultura come concrescenza sapienziale) è completamente rovesciato.

Statuto rovesciato

Dire che lo statuto delle macchine è completamente rovesciato, vuol dire che la macchina (le macchine) non svolge semplicemente funzioni che accrescono le chance del conatus essendi di persistere.

Vuol dire che la macchina (le macchine) è:

  1. vitalmente connessa con l’uomo;
  2. ne segna un ampliamento di orizzonte non meramente conoscitivo, bensì di possibilità/capacità ibridativa, cioè coniugativa che non necessariamente deve perseguire un fine;
  3. che la macchina non è senza l’uomo ma, superata una certa soglia, l’uomo non è più senza macchine.

Da utensile a radice

Ciò vuol dire che la macchina/le macchine non sono più meri utensili ma, in maniera più profonda, costituiscono radici espansive dell’uomo stesso.

E questo vuol dire, in ultima istanza, che la categoria di homo materia che si è introdotta nelle lezioni precedenti necessita di rivisitazione integrale rispetto anche alla posizione inquietante ed inquietata con la quale Anders l’aveva introdotta.

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