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Gianluca Giannini » 5.L'uomo e le macchine


L’uomo e le macchine

In uno scritto oramai del 1948 Alexandre Koyrè, a proposito de I filosofi e la macchina, osservava che:

“il filosofo antico si rassegna all’assenza della macchina, mentre il contemporaneo è costretto a rassegnarsi alla sua presenza. [...] Il problema filosofico del macchinismo non si pone in funzione della macchina nella produzione, ma in funzione della sua influenza sulla vita umana, in funzione delle trasformazioni che lo sviluppo del macchinismo le fa o le può fare subire”.

Riferimenti:
A. Koyrè, Les philosophes et la machine, in “Critique”, nn. 23 e 26 (1948), pp. 610-629, trad. it. di P. Zambelli, I filosofi e la macchina, in Id., Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, Torino, Einaudi, 2007 (4a ed.), pp. 47-86, in particolar modo, p. 49.

La questione

Gli elementi posti all’attenzione da Koyrè meritano decisamente d’esser presi in considerazione e valutati nella loro portata:
anzitutto bisogna prestar orecchio quando si dice che, sostanzialmente, la questione filosoficamente declinata ed inerente “la macchina” non è affrontata in relazione alla medesima macchina bensì in funzione dell’influenza che ha esercitato, esercita ed eserciterà sulla vita umana.

In funzione, cioè, delle trasformazioni, modificazioni (anche radicali) che la macchina è in grado di esercitare sulla vita umana.

Tuttavia, è possibile entrare nella questione relativa all’incidenza sulla vita umana, solo dopo esser transitati per l’interrogativo: di quale macchina si sta parlando?

Alexandre Koyré (1892-1964). Immagine da:  Wikimedia

Alexandre Koyré (1892-1964). Immagine da: Wikimedia


La macchina

Non v’è dubbio che nello specifico si parla della macchina quale elemento esterno, estraneo che principalmente deve (può) esercitare e svolgere delle funzioni per l’uomo, in vista della progettualità che è e fa l’uomo.

In una sorta di testa di ponte che in fondo terrebbe insieme certa tecnica antica e le movenze ispiratrici della tecnica moderna, tra le quali decisamente “quella della creazione delle cose” ha trasversale preminenza, Koyrè è in sostanza preoccupato di dire, di dirci, qualcosa circa l’uomo che fa le macchine.

La macchina-utensile

La macchina di cui si sta parlando è quell’elemento estraneo – perché fondamentalmente prodotto di un’attività di creazione/fabbricazione ex novo rispetto a ciò che è effettivamente disponibile nell’immediato originario (naturale) – cui è, già a livello di sua ideazione tecnica, attribuito un finalismo funzionalmente strutturato.

E difatti:

“l’uomo ha sempre posseduto utensili, così come ha sempre posseduto il linguaggio. Egli sembra anche essere stato sempre capace di fabbricarne. È appunto per questo che alla definizione dell’uomo attraverso la parola, si è potuto opporre quella attraverso il lavoro; l’uomo, in quanto uomo, sarebbe essenzialmente faber, fabbricatore di cose, fabbricatore di utensili”.

Riferimenti:
Ibid., p. 62.


L’uomo della macchina-utensile

Prima ancora di procedere oltre con alcune altre considerazioni segnatamente al concetto “tradizionale” di macchina, bisogna rilevare – con lo stesso Koyrè – chi è l’uomo che interagisce con la macchina utensile.
Di fatto, l’uomo di cui si sta parlando, quello che ha sempre posseduto utensili, che è sempre stato in grado di fabbricarne, produrne per perseguire uno o più fini specifici, è l’Homo faber.

Su tale concetto di uomo si tornerà, allo stato è necessario individuare una dinamica che fa sì che si individui una struttura del genere: bisogno-fine, creazione di uno strumento che comporti la soddisfazione di un bisogno tramite la realizzazione del fine.

L’uomo della macchina-utensile (segue)

Dunque, l’uomo della macchina-utensile, è un uomo che ha bisogni in ragione dei quali pone dei fini, ovvero li “nobilita” attribuendone un fine specifico.

Per soddisfare tali bisogni/fini, sviluppa competenze tali da consentirgli la fabbricazione di strumenti estranei al complesso del mondo circostante.

Tali strumenti, macchine-utensili, sono quindi “prodotti” funzionali al bisogno/fine.

Sono, in altri termini, espressione empiricamente rintracciabile di funzioni più o meno specifiche che supportano quell’ente specifico che è l’essere umano.

L’uomo e le macchine

Qui, come è evidente, il nesso uomo-macchina è strettissimo, fino al punto da risultare, già costitutivamente, inscindibile. E questo perché, di là da tutto, alla macchina sono intenzionalmente attribuite una o più funzioni e specializzazioni al fine di realizzare il progetto dell’uomo, quello della sua effettiva apprensione del mondo.

Progetto che è ciò che in ultima istanza ne dice – e per certi versi garantisce in un’ottica ipertrofica – dello statuto di presenza e permanenza quale, di fondo, compimento primo ed ultimo dell’uomo stesso.

L’uomo e le macchine (segue)

Anzi, si potrebbe dire che più è complesso il problema del presenziare e permanere – cioè, più è composito l’orizzonte storico che fa il problema del presenziare e permanere – più strutturalmente intricate dovranno essere le funzioni degli elementi estranei che sono le macchine. Meglio ancora, più è e si fa articolato il contesto-mondo, la situazione-mondo anche a cagione della storica e storicizzabile introduzione delle medesime macchine ed utensili (che, dunque, accrescono, modificano, trasformano questo mondo da ri-afferrare e ri-acquisire già da domani), più l’orizzonte sul quale e nel quale l’uomo si trova ad interagire al fine di permanere richiede, abbisogna, di funzioni/sistemi di attribuzioni più ampie, molteplici e articolate.

In una sorta di circuito autoreferenziale l’uomo, preoccupato e angosciato del permanere, crea sempre più cose-macchina adattivo-conglobanti per gestirsi e garantirsi la nuova stabilità e residenza, ovvero la nuova condizione di persistenza. Atteso che, nell’ottica di un processo di circolare ritorno dell’identica questione, dopo questa nuova intrusione adattivo-conglobante, lo scenario di interazione risulterà modificato (trasformato e, con tutta probabilità, slargato con l’immissione delle macchine stesse) sino al punto da poter/dover richiedere un nuovo angoscioso conatus per-esistentivo che trovi forma e concretizzazione in macchine altre.

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