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Gianluca Giannini » 9.Dall'"utensile" alla falsificazione


Trasfigurazioni

Nella precedente lezione, il nostro escursus relativo all’uomo come conatus essendi ci aveva condotto alla riconsiderazione di alcuni punti nodali toccati sin qui.

In prima istanza s’è rilevato che:

la macchina/le macchine, il loro statuto iniziale che ce le aveva fatte catalogare come utensili-funzioni doveva subire una torsione di contenuti al punto che, da meri utensili appunto, bisognava assumerle come vere e proprie radici espansive di questo stesso conatus essendi che è l’essere vivente uomo.

E questo ha voluto significare che la categoria di homo materia che si era introdotta necessitava di una rivisitazione e riconsiderazione integrale, tale da prevedere una trasfigurazione complessiva dei termini in questione.

Un portarsi fuori

La questione ora in campo deve necessariamente transitare per lo scioglimento di alcuni decisivi interrogativi:

  1. C’è un momento in cui si assiste a questo passaggio decisivo?
  2. Come è avvenuto?
  3. Quali gli effetti?

Di fondo è necessario un rilievo: dire che le macchine (e dunque in senso lato la tecnica) sono vere e proprie radici espansive di quel conatus essendi che è l’essere-vivente-uomo, vuol dire che l’uomo, nella estroflessione della fabbricazione-manipolazione s’è portato fuori.

Un portarsi fuori  (segue)

In altri termini, questo straordinario quanto feroce conatus coniugativo ed espansivo, ibridativo e dilatativo, mescolante persino arbitrario e disarmonico con l’eterogeneo biofisico e, proprio in funzione di ciò, fagocitante e divoratore dell’alterità, che di fatto è l’uomo e che implica la costruzione di un mondo affianco al mondo già dato, ha fatto sì che, a un certo punto, lo sguardo investigativo e di rifabbricazione fosse volto su se stesso.

L’uomo, cioè, oltre ad investigare e “rifare” il mondo esterno, ha preso ad investigare e di fatto “rifare” se stesso. Per mettere operativamente mano a ciò, ha dovuto letteralmente “portarsi fuori” da se stesso al fine di rendersi fenomeno di investigazione e, dunque, di duplicazione.

Portarsi fuori come duplicazione

Sicuramente una prima e nodale traccia attiene le duplicazioni, e relativi artificî, cui l’uomo ha messo mano, con progressione categorico-concettual-effettuale sempre più serrata, al fine di portarsi fuori. Un portarsi fuori che, si potrebbe dire, ha iniziato a segnare l’avviamento della radicale messa in discussione di sé dell’uomo quale complesso e presunto composto metafisico (tema che verrà sviluppato nelle prossime lezioni), un portarsi fuori per il tramite di simulazioni, sdoppiamenti, riproduzioni plurime, imitazioni, artificializzazioni e proliferazioni di sé sino al vero e proprio rifacimento di sé.


Storia di un processo

Ora è la “storia” di questo processo che bisogna a grandi linee seguire per rispondere alle prime due domande con le quali s’è aperto, ovvero:

  1. C’è un momento in cui si assiste a questo passaggio decisivo?
  2. Come è avvenuto?

La terza domanda, e relativa agli effetti, costituirà oggetto delle prossime lezioni, giacché gli effetti di disintegrazioni attengono la morte dell’uomo disegnato dalla metafisica e il prosciugamento di ogni idea dell’umano prospettata dai giusnaturalismi ritornanti nella nostra tradizione culturale.

Baudrillard

Nelle sue intense analisi Jean Baudrillard ha avuto modo di costatare che è il Rinascimento a dar vita al “falso” del “naturale”, ovvero alla vera e propria falsificazione del naturale.

E qui, per entrare immediatamente in medias res, è necessario soffermarsi proprio sulla “falsificazione” per cogliere, apparentemente dal punto di vista del dispiegamento semantico, non tanto e non solo la portata significativa bensì pure, e anche attraverso questa, la distesa piattaforma concettuale contemplata.

Riferimenti:
Cfr. J. Baudrillard, L’échange symbolique et la mort (1976), trad. it. di G. Mancuso, Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli, 2007 (4a ed.), p. 62.

Jean Baudrillard (1929-2007). Immagine da: Wikipedia

Jean Baudrillard (1929-2007). Immagine da: Wikipedia


Falsificazione

Un primo livello attiene la capacità di squadernare tutti i possibili sensi e significati del termine al fine di, poi ma evidentemente contestualmente, aprire faglie problematiche, pieghe, nuovi risvolti concettuali da svolgere. Ed allora, anzitutto “falsificare” come “imitare dolosamente”, ma anche “manipolare a danno della verità”.

Di là per ora dalla coloritura pre-giudiziale attribuita al falsificare, per cui “dolo” e “danno”, va immediatamente posto in risalto, nella doppia e però contigua resa del termine, un livello critico multistrato: l’uno legato all’imitare, quale effettiva attività realizzativa di rassomiglianza e riproduzione “quanto più fedele a…”, all’originale chiaramente; l’altro al manipolare quale, da un lato, strumento possibile agli ordini della stessa attività imitativa, dall’altro e in senso più autosufficiente, attività a sua volta del rielaborare, condizionare, modificare un eventuale oggetto pre-stante.

Falsificazione (segue)

Il secondo livello critico di cui prima attiene proprio la cosa-oggetto del falsificare: la verità.
Quale dato pre-compreso e dunque tale giacché pre-stante (cioè letteralmente “stante prima di” e, proprio per questo, prestante ed evidentemente credibile all’evidenza), l’unicità e unitarietà de la verità – e da qui l’accezione negativa in direzione del “danno” e del “dolo” che, ovviamente, non sono riferiti semplicemente all’oggetto in sé ma a chi ne fruisce nella versione contraffatta, manipolata o imitata (come nel caso della carta moneta falsificata, in cui il danneggiato è il detentore e non la carta moneta stessa in sé) – è messa in questione.

Falsificazione (segue)

In altri termini, il falsificare è quel processo attivo dell’agito, doppio, del falso, come ciò che è “contrario al vero” (l’oggetto carta moneta è un falso), ma anche come ciò che, conseguentemente, contrasta nella diade dialettica, per il tramite della sua (presunta) illusorietà e ingannevolezza, ciò che è vero, ovvero quel che poiché è prima, sta prima nell’ordine di quanto è dato, è il vero. Per cui, nel suo attuarsi, nel suo farsi attività, il falsificare ha doppia valenza. Imitare per farsi contrario; farsi contrario e, dunque, contrastare, contraddire, negare.

Contrastare, contraddire, negare la bugia, quale vera e propria invenzione deviante, del vero.

Falsificazione (segue)

Dunque, il processo erosivo che ha implicato una strategia del portar fuori, del portarsi fuori, nella imitazione e manipolazione che sono la falsificazione nel suo contrastare, contraddire, negare, ha implicato in senso figurato e pur tuttavia con effettive ricadute, il “toccare un tasto falso”, cioè un “far cadere il discorso su un argomento scabroso”. E l’argomento scabroso è l’argomento: la verità.

La verità, nello specifico, non solo dell‘uomo, ma sull‘uomo.

Questo è il motivo che ci deve condurre ad erodere queste verità dell’uomo e sull’uomo, narrandole.


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