Nella precedente lezione, il nostro escursus relativo all’uomo come conatus essendi ci aveva condotto alla riconsiderazione di alcuni punti nodali toccati sin qui.
In prima istanza s’è rilevato che:
la macchina/le macchine, il loro statuto iniziale che ce le aveva fatte catalogare come utensili-funzioni doveva subire una torsione di contenuti al punto che, da meri utensili appunto, bisognava assumerle come vere e proprie radici espansive di questo stesso conatus essendi che è l’essere vivente uomo.
E questo ha voluto significare che la categoria di homo materia che si era introdotta necessitava di una rivisitazione e riconsiderazione integrale, tale da prevedere una trasfigurazione complessiva dei termini in questione.
La questione ora in campo deve necessariamente transitare per lo scioglimento di alcuni decisivi interrogativi:
Di fondo è necessario un rilievo: dire che le macchine (e dunque in senso lato la tecnica) sono vere e proprie radici espansive di quel conatus essendi che è l’essere-vivente-uomo, vuol dire che l’uomo, nella estroflessione della fabbricazione-manipolazione s’è portato fuori.
In altri termini, questo straordinario quanto feroce conatus coniugativo ed espansivo, ibridativo e dilatativo, mescolante persino arbitrario e disarmonico con l’eterogeneo biofisico e, proprio in funzione di ciò, fagocitante e divoratore dell’alterità, che di fatto è l’uomo e che implica la costruzione di un mondo affianco al mondo già dato, ha fatto sì che, a un certo punto, lo sguardo investigativo e di rifabbricazione fosse volto su se stesso.
L’uomo, cioè, oltre ad investigare e “rifare” il mondo esterno, ha preso ad investigare e di fatto “rifare” se stesso. Per mettere operativamente mano a ciò, ha dovuto letteralmente “portarsi fuori” da se stesso al fine di rendersi fenomeno di investigazione e, dunque, di duplicazione.
Sicuramente una prima e nodale traccia attiene le duplicazioni, e relativi artificî, cui l’uomo ha messo mano, con progressione categorico-concettual-effettuale sempre più serrata, al fine di portarsi fuori. Un portarsi fuori che, si potrebbe dire, ha iniziato a segnare l’avviamento della radicale messa in discussione di sé dell’uomo quale complesso e presunto composto metafisico (tema che verrà sviluppato nelle prossime lezioni), un portarsi fuori per il tramite di simulazioni, sdoppiamenti, riproduzioni plurime, imitazioni, artificializzazioni e proliferazioni di sé sino al vero e proprio rifacimento di sé.
Ora è la “storia” di questo processo che bisogna a grandi linee seguire per rispondere alle prime due domande con le quali s’è aperto, ovvero:
La terza domanda, e relativa agli effetti, costituirà oggetto delle prossime lezioni, giacché gli effetti di disintegrazioni attengono la morte dell’uomo disegnato dalla metafisica e il prosciugamento di ogni idea dell’umano prospettata dai giusnaturalismi ritornanti nella nostra tradizione culturale.
Nelle sue intense analisi Jean Baudrillard ha avuto modo di costatare che è il Rinascimento a dar vita al “falso” del “naturale”, ovvero alla vera e propria falsificazione del naturale.
E qui, per entrare immediatamente in medias res, è necessario soffermarsi proprio sulla “falsificazione” per cogliere, apparentemente dal punto di vista del dispiegamento semantico, non tanto e non solo la portata significativa bensì pure, e anche attraverso questa, la distesa piattaforma concettuale contemplata.
Riferimenti:
Cfr. J. Baudrillard, L’échange symbolique et la mort (1976), trad. it. di G. Mancuso, Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli, 2007 (4a ed.), p. 62.
Jean Baudrillard (1929-2007). Immagine da: Wikipedia
Un primo livello attiene la capacità di squadernare tutti i possibili sensi e significati del termine al fine di, poi ma evidentemente contestualmente, aprire faglie problematiche, pieghe, nuovi risvolti concettuali da svolgere. Ed allora, anzitutto “falsificare” come “imitare dolosamente”, ma anche “manipolare a danno della verità”.
Di là per ora dalla coloritura pre-giudiziale attribuita al falsificare, per cui “dolo” e “danno”, va immediatamente posto in risalto, nella doppia e però contigua resa del termine, un livello critico multistrato: l’uno legato all’imitare, quale effettiva attività realizzativa di rassomiglianza e riproduzione “quanto più fedele a…”, all’originale chiaramente; l’altro al manipolare quale, da un lato, strumento possibile agli ordini della stessa attività imitativa, dall’altro e in senso più autosufficiente, attività a sua volta del rielaborare, condizionare, modificare un eventuale oggetto pre-stante.
Il secondo livello critico di cui prima attiene proprio la cosa-oggetto del falsificare: la verità.
Quale dato pre-compreso e dunque tale giacché pre-stante (cioè letteralmente “stante prima di” e, proprio per questo, prestante ed evidentemente credibile all’evidenza), l’unicità e unitarietà de la verità – e da qui l’accezione negativa in direzione del “danno” e del “dolo” che, ovviamente, non sono riferiti semplicemente all’oggetto in sé ma a chi ne fruisce nella versione contraffatta, manipolata o imitata (come nel caso della carta moneta falsificata, in cui il danneggiato è il detentore e non la carta moneta stessa in sé) – è messa in questione.
In altri termini, il falsificare è quel processo attivo dell’agito, doppio, del falso, come ciò che è “contrario al vero” (l’oggetto carta moneta è un falso), ma anche come ciò che, conseguentemente, contrasta nella diade dialettica, per il tramite della sua (presunta) illusorietà e ingannevolezza, ciò che è vero, ovvero quel che poiché è prima, sta prima nell’ordine di quanto è dato, è il vero. Per cui, nel suo attuarsi, nel suo farsi attività, il falsificare ha doppia valenza. Imitare per farsi contrario; farsi contrario e, dunque, contrastare, contraddire, negare.
Contrastare, contraddire, negare la bugia, quale vera e propria invenzione deviante, del vero.
Dunque, il processo erosivo che ha implicato una strategia del portar fuori, del portarsi fuori, nella imitazione e manipolazione che sono la falsificazione nel suo contrastare, contraddire, negare, ha implicato in senso figurato e pur tuttavia con effettive ricadute, il “toccare un tasto falso”, cioè un “far cadere il discorso su un argomento scabroso”. E l’argomento scabroso è l’argomento: la verità.
La verità, nello specifico, non solo dell‘uomo, ma sull‘uomo.
Questo è il motivo che ci deve condurre ad erodere queste verità dell’uomo e sull’uomo, narrandole.
2. Bioetica e sue definizioni - Parte prima
3. Bioetica e sue definizioni - Parte seconda
4. Bioetica: sapere senza statuto epistemologico
6. Homo faber, homo creator, homo materia
8. Lo statuto (presunto) delle macchine
9. Dall'"utensile" alla falsificazione
10. Morte dell'uomo della metafisica - Parte prima
11. Morte dell'uomo della metafisica - Parte seconda
12. Nascita del giusnaturalismo
13. Il giusnaturalismo compiuto nell'ordine suo
14. La crisi e la fine del giusnaturalismo
15. La condizione dell'uomo e/o le condizioni dell'umano
16. Dal “sistema aperto” all'ibridazione
17. Dalla fantascienza alla scienza
18. Neo-umanesimo dell'a-essere (I parte)