Se sia possibile costruire vocabolari di immagini è una questione che riporta a quella se si possa definire linguaggio quello delle figure. La retorica ha spesso costruito analisi e repertori dei patrimoni metaforici, che sono immagini in parole. Non si tratta di vocabolari come quelli verbali, non è possibile l’ordine alfabetico, ma costruiscono un orientamento di sicura validità, da millenni consentono di approfondire la capacità di servirsi della lingua in modo appropriato. Gombrich, inoltre, ha affermato che quello delle immagini è un linguaggio, argomentando che se le immagini sono una espressione, sono un linguaggio; naturalmente, con caratteristiche proprie che richiedono attenzione specifica. L’arte ha anche sempre indicato propri metodi di formazione, cui obbediscono anche i più grandi, prima di comportarsi con originalità. La figura e l’arte quindi si insegna, da sempre – non s’insegna il genio, come in tutte le scienze. L’assunto da cui partire è questo, considerando che il termine forma nell’estetica ha altrettanta importanza che nella formazione: e la conquista della forma è sempre affidata ad una architettura personale fondata nella conoscenza della storia e delle storie.
Il cammino di formazione è sempre un mettere in forma, un dettaglio di assiomi e metodo, seguito dal costante esercizio che rende consistente la capacità personale di agire con scioltezza, con disattenzione programmata. Rendere rigorosa il processo di formazione è consolidare i binari, ma soprattutto avere chiara la direzione del cammino che è il linguaggio delle immagini un’ottica-opsis filosofica. Il termine opsis, ottica, riguarda la vista come il termine théorein, teoria - le due diverse traduzioni dei termini greci dicono con piena evidenza la differenza cui si fa riferimento parlando di opsis idea (Montano). E’ la visione che parte dalle figure per comprenderle configurando una composizione che ne chiarisce il senso, un gioco d’incastri che non cancella la figura ma l’esalta e rimanda la conclusione al lettore. La teoria invece vede astraendo, trasformando la figura in parole, entrando in contrasto con la sensazione ed i suoi errori. L’opsis accetta la forza e l’evidenza, pur differenziandole; la teoria tende a vedere nella forza una seduzione madre d’errore. La prima è estetica e percettologia, la seconda logica; ognuna indispensabile nel suo campo ed ognuna autonoma e diversa.
Il significato di un quadro richiede successivi approfondimenti del senso della presenza: la veduta di Cagli (Giovanni Santi, padre di Raffaello) offre la miniatura della città su un vassoio prezioso, evidenziando la totalità. Mura e torri figurano la volontà di resistere, la vita che ostacola la profanazione: dimensioni per contesti di fantasia che s’immergono nell’immagine e mostrano il pregio della capacità che essa offre di entrare nel suo spazio tempo autonomo, in cui perdono senso i dati del mondo e si aprono le celate armonie. La lettura può soffermarsi su tutte le soggettive variazioni letterarie della città e di quella città – lo fanno tante volte gli scrittori. Ma per analizzare il senso dell’opera di Santi occorrono competenze, diverse nella ricostruzione della complessità della storia e della raffigurazione. La scrittura di immagini è disegnare una onion skin, strati sovrapposti; ciascuno rivela convergenze inusitate, che arricchiscono la conoscenza della storia dell’arte. Iconologi come Panofsky e storici dell’arte come Gerveraux consigliano di trattare questo insieme in modo enciclopedico, costruendo vocabolari condivisi che possano aiutare a gestire questa complessità, fornendo informazioni sull’ignoto attraverso il noto.
Illustrazione, di Jessie Willcox Smith. Fonte: Wikipedia
L’ecfrastica è metodologia didattica per strutturare l’attenzione al testo in figura. Stabilisce fasi per stabilizzare un metodo. L’analisi ermeneutica e cognitiva, oggetto di queste lezioni di estetica, richiede una competenza di beni culturali; ma solo la narrazione e l’interpretazione insegnano a comunicarle in un modello interessante. Come insegnano retorica e teoria dell’argomentazione, la narrazione è il modo ideale per catturare l’interesse di lungo respiro, regge a lungo nel tempo, genera memoria e comprensione. La costruzione di un laboratorio didattico parte da una fase di interesse immediato, dalla costruzione del plot personale che indichi la via di lettura. Nel mondo le vie sono tante, e così nell’opera; tutte sono ricche di scenari interessanti. Imparare a scegliere conduce alla formazione estetica del sé, organica all’intera personalità. Questa è la base della comunicazione al pubblico, opera degli uffici di didattica dei musei. Trattandosi di ecfrastica, non di sole parole vive il laboratorio ma anche di analisi di immagini, statiche e in movimento. Queste ultime hanno innovato radicalmente la conoscenza per immagini.
Anche se solo alla fine di queste lezioni si dedicherà spazio alle immagini dei media, sin dall’inizio del modulo dedicato alla ricerca azione, occorre dedicarsi all’analisi critica dei filmati. I frequentanti partecipano a seminari sui documentari elencati in bibliografia: ma i non frequentanti possono servirsi anche di altri testi. Nel corso costruiamo un laboratorio didattico che si occupa dell’immagine ferma, finalizzandosi al documentario d’arte; nell’analisi dei filmati è bene scegliere alcune linee direttive, per non disperdere l’attenzione in versi meno essenziali agli scopi. Per una osservazione fruttuosa si badi a:
Solo l’ultimo punto si riferisce ad una valutazione unicamente digitale. Ciò non per una sottovalutazione del medium, che, come dice McLuhan, crea il messaggio a sua immagine – ma in polemica contro l’attuale sopravvalutazione di questo indice a scapito di altri codici: si finisce col privilegiare l’evidenza e dimenticare la forza della presenza. Forza ed evidenza sono i due lati del foglio dell’immagine.
Breviary of Chertsey Abbey. Fonte: Wikipedia
Estendere l’ecfrastica ai testi filmati è dare materia alla retorica di tutti i testi che, come i documentari, consistono di un commento ad immagini, ad esempio l’informazione in genere. L’incremento culturale legato ai nuovi media può essere potenziato nella formazione da appositi laboratori di ecfrastica, che possono diventare propositivi di nuovi testi e di nuovi format. L’interesse del lettore nel laboratorio si trasforma in prova d’arte con la scrittura di un testo: imparare a scrivere completa l’imparare a leggere, ricorda Derrida parlando di ecografie della televisione. Per giunta, il giudizio critico si manifesta proprio nella scrittura, dove si va oltre la ricezione. Nel testo in immagini, la collaborazione con le parole consente di unire l’analisi e la profondità alla vivacità comunicativa. Il laboratorio di ecfrastica è un laboratorio di scrittura creativa sui generis, che come gli altri regola il lavoro sulla base di teorie e metodi. Le teorie efficaci si desumono dalla storia. Ad esempio grandi storici ed iconologi hanno trattato di immagini con criteri di lettura che illustrano la forma della bellezza. Vale la pena di seguire qualche scrittura dell’ecfrastica, per trarne modelli di comunicazione, che aiutino a capire il miglior modo di avvicinare il pubblico ai segreti dell’arte, senza tradire la storia.
Leonardo da Vinci, Movimento del braccio. Fonte: Wikipedia
Nella lettura degli iconologi è presente l’iconografia, la coscienza critica della storia è la base dell’interpretazione. Panofsky parla di una descrizione preiconografica, che collochi l’opera nella storia dell’arte e dello stile; ad essa segue l’analisi iconografica, che studia il soggetto convenzionale, le invenzioni (tipi, modelli, simboli allegorie e codifiche personali), collocandole nel tempo storico passato e presente dell’autore, futuro: solo dopo queste fasi si va all’analisi iconologica, che non si dedica alle avventure iperboliche, cui giunge la narrazione.
La ricostruzione si basa su documentazioni storico critiche avanzate, partendo già dalla ricognizione della tradizione e degli acquisti. Essa si occupa delle implicazioni e della resa (forza e evidenza), dell’autore e della cultura del tempo, del dipinto e del suo significato, con attenzione al problema specifico dell’opera che nasce. Il risultato è una lettura che si proietta a ritroso sull’intero mondo della cultura, con un’ottica totale – in cui, diceva Ruskin, è la comprensione dell’opera. All’estetica interessa proprio questa sintesi, che ha i suoi propri problemi ermeneutici che può contribuire ad illuminare: ma la storia è la premessa dell’interpretazione.
Leonardo da Vinci, Vergine delle Rocce, particolare. Fonte: Wikipedia
Una storia in progress è la lettura della Primavera di Botticelli, opera realizzata per le nozze di Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici con Semiramide Appiani nel 1482. Il quadro si compone di nove figure (poche, come voleva Alberti) : Zefiro insidia Cloris, che sfiora una giovane nel rigoglio del suo splendore, forse incinta – Venere con Eros – le Tre Grazie danzano – e infine Mercurio, che volge le spalle e indica il cielo. La primavera ebbe nome da Giorgio Vasari; nel 6-700 era chiamata il Giardino di Atlante, nell’800 il Giudizio di Paride. Gombrich, a partire da questo nome, insiste sulla rispondenza della pittura al Giudizio di Paride dell’Asino d’oro di Apuleio. L’ampia argomentazione ha molte discrepanze e convince pochi. Il dipinto sarebbe un meccanismo scenico sul modello dei tableau vivant, i quadri viventi che animavano gli spettacoli di corte, una illustrazione di un testo scritto. La fluidità del tutto ispira un senso di pace, evoca lo spirito rinascimentale cantato da Lorenzo il Magnifico – ma se si riflette sul concetto, in realtà, il pensiero va piuttosto a Savonarola.
Gombrich è il terzo iconologo a commentare la Primavera: Warburg aveva collegato il dipinto alla venuta a Firenze di Poliziano chiamato da Lorenzo per dare forza alla cultura fiorentina, che aveva ripreso Marziano Capella, Le nozze di Filologia e Mercurio; ad esso si ispira il quadro per la camera degli sposi: raccomanda al giovane di ricordare la Filologia tra le gioie della Primavera.
Warburg sottolinea come Botticelli obbedisca a Leon Battista Alberti: limita il numero delle figure, realizza il suo desiderio di un dipinto delle Grazie – aveva detto lo stesso per la Calunnia di Apelle. Botticelli attinge ad opere letterarie, esemplificando il cammino circolare dell’ecfrastica.
Warburg suggeriva perciò un nuovo titolo: Il Regno di Venere. La dea, Venere Celeste, è al centro della fioritura con Eros, Mercurio discaccia le nuvole – i tre sono unica armonia, discontinua ma accomunata dai colori. Il terzetto delle Grazie danza la bellezza; quello di Zefiro, vento di Primavera, Cloris e Flora, indica la continuità dei tempi, fiori ed odori avvicinano al nuovo.
I più alti fini che indica il gesto di Mercurio, in una camera degli sposi, raccomandano l’elevatezza del sentire, la trascendenza al mondo.
Botticelli, Primavera, particolare. Fonte: Thais
Panofsky interviene contestando Warburg: la posizione di Mercurio non è certo quella della collaborazione al testo. È tanto girato di spalle da aver suggerito l’impressione che facesse cenno a figure fuori del quadro: ed è isolato, anche se fa trio con Venere ed Eros.
Meglio pensare al neoplatonismo umanistico (Wind: Ficino, Poliziano e Botticelli descrivono l’emanatio – conversio – remeatio, processione – conversione – ritorno all’Uno dei Molti). Botticelli esaltare, com’è del tempo, nel tessuto neoplatonico la trascendenza invece della continuità, come indica la decisa svolta della posizione per sé assunta da Mercurio esoterico.
Le due triadi a sinistra danno così corpo all’amore celeste, ch’è trascendenza e bellezza. Venere media, facendo ricorso al suo doppio essere, Celeste e Pandemia. Lega l’anima sublime alla terrena della triade di destra – dove Zefiro scuro e violento (Reale nota che la lieve brezza – Warburg – in realtà incurva gli allori – Platone chiamava Zefiro furore e divina mania) insidia Cloris che fugge impaurita. La Flora la riscatta nella maternità, sparge fiori e sereno: congiungendosi alla mediazione, che Mercurio conduce all’ascesi.
Ben altro sarà il senso della Nascita di Venere.
Particolare della Nascita di Venere nella moneta da 10 cent di euro. Fonte: Wikipedia
L’iconologo Gombrich si serve del quadro come piattaforma di lancio per la ricerca anche documentale: ritrova testi inediti per la sua argomentazione. Perché sotto l’opera pittorica c’è un vero e proprio libretto: usa il termine che si usa per le opere liriche. Contiene la traccia e giustifica la scelta attenta di codici e fatture, obnubilata dalla leggerezza del dipinto armonico.
La tela bianca porta a ragionare anche nell’action painting. Tutta la fantasia possibile può essere arte – si tratta di scegliere quale. Perciò si seguono percorsi determinati tesi alla scrittura autentica. Le opere d’arte non sono scritte a caso, ma le metodologie si differenziano come gli stili.
Il modo tipico del Rinascimento è l’allegorico, che intrinseca le esigenze del committente e dell’artista, le indicazioni di massima e il testo dettagliato: Gombrich parla perciò di libretti d’opera, ed illustra il suo detto con un esempio, da lui reperito, scritto da Annibal Caro.
Ciò dimostra che il percorso dell’ecfrastica è in realtà un riandare all’origine, un riportare l’opera ai livelli della sua composizione, a ritornare al dipingere, al pensare in atto di chi si dispone ad esprimersi in figura.
Pollock all'opera. Fonte: Kainos
L’opera è composta nel 1477-8 per Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici, cugino del Magnifico (che prediligeva Ghirlandaio e Bertoldo di Giovanni), nella cui casa si trova – Gombrich ricostruisce edifici e rapporti familiari. I Filipepi abitavano poco lontano da Giorgio Antonio Vespucci, lo zio di Amerigo e tutore di Lorenzo di Pierfrancesco, è il destinatario di una lettera di Marsilio Ficino, scoperta da Gombrich e pubblicata. Il neoplatonismo di Ficino, risente della traduzione del Pimander e della riscoperta di Lucrezio e del suo canto all’alma mater: è l’ovazione alla Venere Pandemia, dea della sacra voluptas di Lorenzo Valla, della Verdezza di Pico della Mirandola.
La missiva è un monito al giovane troppo impetuoso che si prepara alle nozze: Ficino raccomanda – non gli parlate “della virtù, ma mostrate loro la virtù come una fanciulla attraente e si lasceranno trascinare” (Gombrich, IS p. 51). Marsilio inviava un oroscopo favorevole, per ricordare la Venere celeste come Humanitas, artefice del buon consiglio: invece di lasciare gli studi, il giovane ricordi la moderazione come dote d’amore. Il viso della Flora non lascia dubbi: a lei si affida il compito di convincere a seguire le indicazioni della saggezza.
Botticelli, Primavera, particolare. Fonte: Thais
Perciò, non ha torto chi, guardando l’opera, centra lo sguardo sulla Primavera, che già Vasari vide protagonista: ritrae Simonetta Vespucci, la fanciulla amata da Giuliano de’ Medici, madrina della giostra da Giuliano vinta nel 1476, morta a 23 anni di tisi. Tutto converge in una storia favolosamente intrigante.
A partire dal quadro, si può parlare della storia della Firenze dei Medici ed arrivare alle partite di pallone, che avevano allora regole che consentivano di lasciare per terra molti morti! Occasioni per parlare dell’oggi e dell’agonismo. Oppure del rapporto tra la violenza e passione, il tema del quadro. Perché se la posizione centrale della Venere è sottolineata anche da Eros, ella non attira lo sguardo per la posa raccolta, che le dona il fondamento, ma non il primo piano.
Icastica, nel gesto della mano fa pensare al Noli me tangere, al distacco. Gombrich rileva che ha il piede sollevato, quasi incedendo alla danza delle Grazie. Un gesto misurato che la lega all’armonia che fluisce come corrente di vita – da Zefiro a Flora e a Mercurio – in una rarefazione graduale dell’eccesso. Una sola melodia è immagine di vita, ogni fiore del prato è nota nella sinfonia.
Hans Holbein il Giovane, Noli me Tangere. Fonte: Statenvertaling
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