La costruzione di una Filosofia della Mente è ancora agli inizi. Non mancano i problemi legati al modo di considerare l’intelligenza artificiale, con la riproposta del mito della macchina.
Prioritario è il superamento della contrapposizione tra Searle e Dennett, per i quali l’espressione “avere una mente” ha un significato diverso:
L’interesse di Searle si è spostato negli anni dal linguaggio alla mente. Una comprensione del linguaggio senza fare riferimento alla mente non è più possibile, sul presupposto che i problemi del linguaggio non siano altro che casi speciali dei problemi relativi alla mente.
Secondo Searle molte sono le ragioni della centralità della mente nella filosofia del Novecento. Alcune delle ragioni sono legate particolarmente all’uso del linguaggio. Il linguaggio è «espressione di capacità mentali più fondamentali dal punto di vista biologico, e non si comprende completamente il funzionamento del linguaggio, a meno che non si prenda ad esame il modo in cui si fonda sulle nostra abilità mentali»;
Una delle ragioni «a favore della centralità della mente consiste nel fatto che, [...], il problema centrale della filosofia, all’inizio del secolo XXI, è spiegare il nostro essere agenti evidentemente coscienti, attenti, liberi, razionali, parlanti, sociali e politici in un mondo che la scienza ci dice essere costituito interamente di particelle fisiche senza mente e senza significato. Chi siamo, e come ci inseriamo nel resto del mondo? Quale rapporto ha la realtà umana con il resto della realtà? Una forma particolare di tale domanda è questa: che cosa significa essere un essere umano? La risposta a queste domande deve partire da un esame della mente, perché i fenomeni mentali costituiscono il ponte mediante il quale ci colleghiamo al resto del mondo» (J. Searle, La mente, Milano 2005, p. 11).
Dennett, facendosi portavoce di una forma di naturalismo radicale, ritiene che la spiegazione della vita, dell’intelligenza o della coscienza non richieda il ricorso a una qualsiasi mistica entità. La nostra coscienza, – afferma -, è il software che organizza l’architettura funzionale dei processi del nostro cervello. L’unico mistero della nostra coscienza è la mancanza di qualunque mistero.
«Personalmente propendo per una visione funzionalista della mente, ovvero rintracciare la natura della mente, non tanto in ciò di cui è fatta, ma in ciò che fa o può fare. La forma, il materiale o la struttura di un oggetto sono soltanto secondari, rispetto al fatto che esso sia compatibile con il suo ruolo funzionale. Peraltro l’idea della “doppia traduzione” – ovvero del messaggio sensoriale che entra e viene trasformato prima in impulsi nervosi e poi, in qualche modo e in qualche posto, in coscienza – è fuorviante; come lo era appunto la ghiandola pineale di Cartesio, luogo fisico non ben precisato atto a creare qualcosa di non-fisico: il pensiero cosciente. Perché fuorviante? Perché genera, appunto, la falsa illusione della supremazia del cervello sul resto del corpo, inteso come mero recettore di impulsi o unità espletante azioni. La tentazione è forte, tanto che alcuni teorici tutt’oggi insistono sul fatto che un occhio senza cervello non ha esperienze visive consapevoli, ed è pertanto nel cervello che deve maturare il fattore X del sentire… Per taluni è meglio sostenere ipotesi simili piuttosto che dover riconoscere il primato degli impulsi nervosi ed equiparare, così, l’essere umano a un centralino senza telefonista o a una nave senza capitano. D’altronde ci sono cose alle quali si rinuncia davvero malvolentieri: se in un trapianto di cuore preferiremmo essere i riceventi, in un ipotetico trapianto di cervello sono certo che vorremmo essere tutti donatori» (D. Dennett, Dove nascono le idee, Roma 2006, p. 51).
All’interno del dibattito contemporaneo sull’Intelligeza Artificiale (IA) è ormai celebre il contenzioso tra due dei più illustri esponenti della filosofia della mente: Daniel C. Dennett e John R. Searle. Le divergenze tra Searle e Dennett si riferiscono, in particolare, alla natura dei cosiddetti “poteri causali” del cervello.
I termini del dibattito si sviluppano intorno all’analisi del famoso “argomento della stanza cinese” addotto da Searle a sostegno della sua teoria dell’irriducibilità del mentale al fisico. Quello della “stanza cinese” è un argomento che Dennett non riconosce. Ad esso Dennett contrappone l’idea della coscienza come di una macchina virtuale, una “pompa d’intuizione”.
«Le pompe d’intuizione sono degli esperimenti di pensiero, come la caverna di Platone, il diavoletto di Cartesio, il contratto sociale di Hobbes o gli imperativi categorici di Kant. Esercizi d’immaginazione, che indirizzano il modo di affrontare un problema. E questa la vera storia della filosofia: molti colleghi lo hanno dimenticato, ma gran parte delle idee filosofiche sono pompe d’intuizione. L’idea di considerare la coscienza come una macchina virtuale, ad esempio, è una pompa d’intuizione e ci stanno lavorando gli studiosi di intelligenza artificiale. Credo che tra le idee più suggestive, nate dall’intelligenza artificiale, ci sia il “Pandemonio” di Oliver Selfridge. Si trattava di un programma costituito da un gruppo di demoni semi-indipendenti (pan-demonium) che, quando nasceva un problema, saltellavano di qua e di là dicendo: “Io! Io! Io lo so fare!” Ne nasceva una breve schermaglia e quello che fra loro avrebbe vinto avrebbe anche affrontato il problema. Se non ci riusciva, gli altri potevano catturarlo». (D. Dennett, Dove nascono le idee, cit., p. 43).
Un uomo che non conosce il cinese è chiuso a chiave in una stanza dove ha a disposizione libri scritti nella propria lingua che riportano le regole della sintassi cinese. Da una finestrella, l’uomo riceve dei fogli con delle domande formulate in ideogrammi; egli non deve fare altro che leggere i grossi libri e confrontare i fogli in input per trovare così la risposta che scriverà in uno dei fogli bianchi che ha a disposizione rimandandoli all’esterno dalla finestrella. Le risposte sono esatte, ma l’uomo è consapevole di quello che fa? è cosciente delle sue risposte a livello semantico? Ovviamente no.
Contro I difensori dell’Intelligenza Artificiale forte, Searle afferma che «L’argomento della stanza cinese adotta una strategia del tutto diversa. Assume che l’Intelligenza artificiale abbia pieno successo nel simulare la cognizione umana. Assume che I ricercatori del campo riescano a elaborare un porogramma che superi il test di Turing per il cinese o per qualunque altra lingua. Ma anche così, se il problema è la cognizione umana, tali successi restano semplicemente irrilevanti. E lo sono per una ragione profonda: il computer opera manipolando simboli. Le sue operazioni sono definite in maniera puramente sintattica, mentre la mente umana dispone di qualcosa di più di simboli non interpretati: ai simboli assegna un significato».
«la domanda se il cervello sia un computer digitale è mal posta. Se si chiede se il cervello sia intrinsecamente un computer digitale, la risposta è che nulla costituisce intrinsecamente un computer digitale se non per agenti coscienti che riflettono sulla computazione» (J. Searle, La mente, cit., p.82.83).
Per Searle, “avere una mente” significa possedere una coscienza, ossia stati mentali non riconducibili ai processi neurofisiologici del cervello: gli stati coscienti esistono solo in quanto esperiti da un soggetto e non possono essere ridotti a fenomeni oggettivamente quantificabili, come gli stati funzionali di un sistema fisico o gli stati computazionali del cervello. L’esperimento della stanza cinese mostra, dunque, come la mente sia dotata di una semantica (la capacità di attribuire un significato) che un programma per calcolatore non potrà mai acquisire, in quanto dotato solo di sintassi. Dennett critica a Searle l’introduzione del concetto di intenzionalità.
Secondo Dennett, l’esperimento della stanza cinese non dimostra la distinguibilità di una mente da un cervello, poiché allo stato attuale delle nostre conoscenze non siamo in grado di stabilire con certezza il funzionamento del cervello: l’irriproducibilità tecnologica del cervello non giustifica, perciò, la presenza di stati “interni” di coscienza. Ciò che è possibile osservare sono, dunque, solo i comportamenti dell’essere umano.
Dal dibattito tra Dennett e Searle emergono le due posizioni principali in tema di Intelligenza Artificiale:
Lezione 11: Varela e la neurofenomenologia
1. Filosofia della mente: contenuti, problemi, metodi
2. Perché l'uomo è un essere “speciale”
3. Il processo di ominazione: l'homo sapiens
4. Mondo animale e mondo umano. Una soluzione provvisoria
5. L'uomo tra natura e cultura: il ruolo del cervello
6. Cervello, Mente e Linguaggio
7. Le scienze cognitive, le neuroscienze e l'interrogativo sull'uomo
8. Il problema della coscienza
10. Teorie della mente a confronto: Dennett e Searle
11. Varela e la neurofenomenologia
12. La scoperta dei neuroni specchio e la conoscenza della mente
13. Gesticolazione delle mani, produzione del linguaggio e comprensione dell'altro
14. Il ruolo della mente nei processi cognitivi e l'identità personale
Searle J.R.:
Atti linguistici. Saggio di filosofia del linguaggio, Torino, Boringhieri, 1976
Mente, cervello, intelligenza, Milano, Bompiani, 1988
La mente, Milano, Cortina, 2006
Dennett, D.:
Contenuto e coscienza, Bologna, Il Mulino, Bologna, 1992
Coscienza. Che cos'è, Milano, Rizzoli, 1993
La mente e le menti, Milano, Rizzoli, 2000
Sweet Dreams. Illusioni filosofiche sulla coscienza, Milano, Raffaello Cortina, 2006
1. Filosofia della mente: contenuti, problemi, metodi
2. Perché l'uomo è un essere “speciale”
3. Il processo di ominazione: l'homo sapiens
4. Mondo animale e mondo umano. Una soluzione provvisoria
5. L'uomo tra natura e cultura: il ruolo del cervello
6. Cervello, Mente e Linguaggio
7. Le scienze cognitive, le neuroscienze e l'interrogativo sull'uomo
8. Il problema della coscienza
10. Teorie della mente a confronto: Dennett e Searle
11. Varela e la neurofenomenologia
12. La scoperta dei neuroni specchio e la conoscenza della mente
13. Gesticolazione delle mani, produzione del linguaggio e comprensione dell'altro
14. Il ruolo della mente nei processi cognitivi e l'identità personale
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