Abbiamo visto come la Cura riconduca l’uomo nella sua essenza.
L’umanismo, così come lo intende Heidegger, è «meditare e curarsi che l’uomo sia umano e non non-umano».
Se una tale riposta potrebbe far pensare ad un “umanismo metafisico”, Heidegger avverte che legare l’umanismo all’essenza dell’uomo nulla ha a che fare con l’umanismo metafisico, ovvero con quella tradizione metafisica che, chiudendo l’essenza dell’uomo in una precostituita definizione soggettivistica, si è tradotta nel suo opposto.
L’umanismo metafisico della tradizione occidentale è un anti-umanismo, in quanto si mostra incapace di pensare l’essenza dell’uomo nella sua provenienza essenziale.
L’umanismo, che proviene dalla metafisica, proviene dall’oblio dell’essere e perciò presuppone l’interpretazione dell’ente senza porre la domanda sulla verità dell’Essere.
Leonardo da Vinci, L'uomo vitruviano (1490), Galleria Accademia di Venezia. Immagine da: Wikipedia
Nella Lettera [pp. 40-42], Heidegger opera un attraversamento dei nomi dell’umano e del suo contrario.
Il primo umanismo è quello romano, che a sua volta è il frutto dell’incontro della romanità con la cultura della tarda grecità.
L’umanesimo è la ripresa di quell’originario umanismo romano, per cui il Rinascimento italiano è una renascentia romanitatis.
Heidegger fa questa assimilazione di termini:
humanitas: romanitas: paideia.
Nell’umanesimo storicamente dato vi sarebbe inoltre la ripresa della contrapposizione homo humanus-homo barbarus. L’in-umano è, in tale contesto, la presunta barbarie della Scolastica gotica del Medioevo.
Vi è anche un umanismo tedesco del XVIII secolo (Winckelmann, Goethe, Schiller) rispetto al quale Heidegger mostra l’apolidia di Hölderlin, che invece è riuscito a pensare l’essenza dell’uomo in modo più iniziale, ovvero senza partire da un’interpretazione precostituita.
Ogni umanismo è metafisico e ogni metafisica è umanistica.
Ciò che accomuna entrambi i termini è:
l’arbitrarietà del loro punto di partenza (tanto la metafisica quanto l’umanismo partono da una interpretazione predeterminata della natura, della storia, del mondo, del fondamento del mondo, dell’ente).
L’incapacità di porre la questione della verità dell’essere.
La comunanza dei tratti, ma anche l’interscambiabilità e la reciproca dipendenza che lega l’umanismo alla metafisica, determina anche la condivisione di un identico destino: quello per cui ognuno di questi termini degenera fino a identificarsi nel suo opposto.
L’umanismo è un anti-umanismo.
La metafisica non solo non è pensiero dell’essere, ma oblio di esso, in quanto è incapace di far presa sulla differenza ontologica (tra essere ed ente).
Un’interpretazione precostituita è quella che definisce l’uomo come animal rationale.
Una tale definizione è però spia di una svalutazione.
Va così esplicitandosi l’istanza anti-umanistica heideggeriana, che ben lungi dall’essere motivata da una contrapposizione all’umano in favore dell’in-umano (o del dis-umano), mira al giusto riconoscimento della dignità dell’uomo, a quel che in Essere e tempo era tematizzato come “privilegio ontologico” del cercante.
Del cercante cosa?
L’Essere.
Dell’Essere come ente?
No. Quel che allora si cercava era l’essere non come ente, ma come manifestatività di ogni ente.
Che sin dall’inizio il cercato fosse l’essere e il ricercato fosse il suo senso è ciò che ha portato alcuni interpreti, ad esempio von Hermann, fedele discepolo di Heidegger, a ridimensionare la portata della svolta.
Il capovolgimento e il testo cui Heidegger rimanda nella Lettera saranno oggetto della V lezione.
Ora occupiamoci dell’inefficacia dell’espressione animalitas cum ratione nel far presa sull’essenza dell’uomo.
La definizione dell’uomo come animal rationale – traduzione latina dell’espressione aristotelica Zoon logon echon– presuppone di intendere l’uomo come un essere vivente tra gli altri, che però dagli altri (vegetali e animali) si distingue per una speciale dotazione: la ratio.
Una tale definizione appare a Heidegger insufficiente non solo perché assimilare l’animal all’homo mortifica la dignità di quest’ultimo nel suo rapporto all’essere, ma anche perché il vivente è il concetto più difficile da pensare.
La difficoltà era già apparsa nel corso marburghese del 1925 Prolegomeni alla storia del concetto di tempo, il cui sottotitolo era Prolegomeni alla fenomenologia di storia e natura. Il corso intendeva operare un salto nei campi cosali di storia e natura prescindendo dal filtro dei territori oggettuali delle scienze.
Per quel che riguarda lo sfuggente concetto di vivente, la difficoltà sta proprio nell’affinità, nella vicinanza, nella parentela fisica con l’animale che, al posto di far luce, rende oscura la differenza ontologica, quella lontananza essenziale che invece l’essenza del divino renderebbe più chiara.
La distanza tra essere ed ente è da ricercare più nell’estraneità che nella familiarità. Un’estraneità che però non è fissa, ma dinamica, essendo mossa dal desiderio di senso.
Leopardo raffigurato nel Bestiarium Rochester, XIII secolo (British Library, Royal MS 12 F XIII). Imamgine da: Wikipedia
In un corso friburghese del 1929-30 intitolato I concetti fondamentali della metafisica, Heidegger elabora una “domanda di ritorno” che ha di mira non solo ciò che è prima dell’uomo, ma anche prima dell’animale: la pietra.
La definizione positiva dell’animale diviene possibile sostituendo il concetto di mondo con quello di ambiente.
Mondo: totalità di oggetti in quanto tali
Ambiente: luogo di produzione e di scarica di stimoli.
Eppure il concetto negativo di privazione ricompare nel momento in cui nella Lettera viene individuato nel linguaggio il segno della libertà degli abitanti del mondo.
«Ai vegetali e agli animali manca il linguaggio perché essi sono imbrigliati nel proprio ambiente, non sono mai posti in libertà nella radura dell’essere che, sola, è mondo» [p. 49].
Descrivere e differenziare il mondo dall’ambiente non ha come esito una genealogia dell’umano ottenuta attraverso un confronto tra l’animale e l’uomo.
Se Heidegger cerca l’originario non è per investire di senso i dati sensibili puri, non è per elaborare una teoria antropologica, ma per cercare l’esperienza diretta della “cosa”, quella cosa del pensiero che alla tradizione metafisica è venuta meno e che è il rapporto di senso che lega l’esserci all’essere.
Né umanismo né anti-umanismo, ma ultra-umanismo o umanismo in senso estremo.
L’istanza anti-umanistica è motivata dall’esigenza di pensare l’essenza umana ad un livello più alto.
Il livello essenziale al quale mira Heidegger è quello della relazione che apre l’essere all’uomo.
Quel che è in gioco non è l’uomo e basta, ma l’uomo in quanto “oltre”, ossia in quanto trascendenza aperta che indica sia una provenienza che un avvenire.
L’Esserci, preso «oltre» la parentela fisica con l’animale, rivela l’intima relazione di desiderio che lo lega all’estraneo: l’Essere.
Anche il ci dell’Esserci accenna ad un ultra-luogo, ad una ultra-localizzazione: il luogo dell’apertura dell’Essere, lo slargo.
Persino la fatticità (che in Essere e tempo corrispondeva all’essere gettato nel mondo) ha una vocazione all’«oltre», posto che la gettatezza viene intesa nella Lettera [p. 51] come lo stare essenzialmente nel getto dell’essere (destino).
Il linguaggio è un ultra-linguaggio nel senso che è casa dell’Essere solo se è la dimora che l’uomo offre all’Essere.
Il pensiero è un ultra-pensiero in quanto è doppiamente dell’Essere:
Il senso non è un dato e non è dato.
Il senso non è fatto, nell’accezione di prodotto.
Né dare, né fare, né produrre, ma ancora una volta agire è il verbo che più si addice al rapporto di senso e che, legandosi al verbo donare e mostrando un costitutivo rapporto di biunivocità tra donante e donato, ribadisce l’istanza etica della filosofia di Heidegger.
Emerge a questo punto la forza etica della finitezza: l’incompiutezza è la condizione del compimento dell’agire in quanto senso.
Il senso non può essere fissato, né predeterminato, ma desiderato.
Chi desidera?
L’ente incompiuto che è l’Esserci.
Cosa?
Il dono del senso che è il dono dell’essere. Non è la coscienza a dotare di senso, così come la parola non è la parola di quell’animale sui generis che è l’uomo.
Il dono del senso e della parola sono doni “agiti” dal rapporto tra uomo ed essere.
Se l’umanismo è curarsi che l’uomo non esca fuori dalla sua essenza, e se l’essenza dell’uomo è – sin da Essere e tempo – l’esistenza, intesa come uno stare fuori di sé, allora diviene necessario specificare il senso dell’apertura, della trascendenza e dell’estaticità (lo star fuori) dell’Esserci.
Lo stare fuori non è una mera estasi, ma è ek-stasi. Con ciò Heidegger sottolinea che lo stare fuori dell’Esserci è uno stare dentro.
Dove?
Nella verità dell’Essere che lo reclama.
Dire che l’essenza dell’uomo è l’esistenza, e intendere quest’ultima come uno stare fuori di sé che, però, è uno stare dentro l’essere, ha un peso rilevante nello specificare il ci dell’Esserci:
il ci è la radura [Lichtung] dell’Essere.
L’Esserci non va inteso in senso avverbiale-locale (come un esser qui), ma in modo verbale attivo e transitivo: essere il ci.
Con ciò appare evidente che l’Esserci non è una sostanza ma il nome di un agire.
Il ci è l’aperto in quanto in un’esistenza ontica (che come tale ha la struttura dell’ek-sistere ontologico) qui e ora è in gioco il fare senso.
A Heidegger preme sottolineare che ciò che intende per esistenza non è l’oggetto reale distinto da quello irreale. Così come non è un concetto contrapposto a quello di essenza, laddove una tale contrapposizione sarebbe il risultato di una previa determinazione metafisica dell’essere e di un suo predeterminato dualismo.
A questo punto della Lettera [pp. 48-49] appare un altro attraversamento storico-tematico, stavolta centrato sul concetto di esistenza:
Heidegger passa poi a distinguere l’Existentia (nell’accezione medievale) intesa come actualitas, come realtà contrapposta alla possibilità, dall’E-sistenza, ovvero da ciò che egli ha definito sin da Essere e tempo – e prescindendo da ogni forma di dualismo e di contrapposizione – come l’essenza dell’uomo.
L’E-sistenza: il trattino rimanda ancora una volta al ci dell’Esserci, da intendersi non come lo stare nella realtà, ma come lo stare nel destino della verità.
1. Critica dell'umanesimo e umanesimo come critica
2. M. Heidegger, la lettera sull'umanismo: l'etica originaria
4. L'umanismo e l'Essenza dell'uomo
7. Una modulazione ontologica della fenomenologia
8. L'esistenzialismo è un umanismo
Testi di M. Heidegger:
Prolegomeni alla storia del concetto di tempo (Semestre estivo 1925), ed. it. a cura di R. Cristin e A. Marini, Il melangolo, Genova, 1999.
Essere e tempo (1927), ed. it. a cura di P. Chiodi, Milano, Longanesi, 1976.
Concetti fondamentali della metafisica. Mondo, finitezza, solitudine (Semestre invernale 1929-30), ed. it. a cura di C. Angelino, 2005.
L'essenza della verità (1930), ed. it. a cura di U. Galimberti, La Scuola, Brescia, 1974.
Saggi e discorsi (1936-1953), ed. it. a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano, 1991.
Sentieri interrotti (1935-46), ed. it. a cura di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze, 1999.
Lettera sull'«umanismo» (1976), ed. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano, 1995.
L'arte e lo spazio (1969), tr. it. di G. Vattimo, introd. di C. Angelino, Il melangolo, Genova, 1979.
Testi dei critici di Heidegger
R. CARNAP, Il superamento della metafisica mediante l'analisi logica del linguaggio (1931), ed. it. a cura di A. Pasquinelli, in Il neoemprismo, Utet, Torino, 1969, pp. 504-540.
K. Löwit, Saggi su Heidegger, Einaudi, Torino, 1974.
Th. W. Adorno, Il gergo dell'autenticità: sull'ideologia tedesca (1964), Einaudi, Torino, 1989.
Bibliografia secondaria essenziale
E. Mazzarella, Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Guida, Napoli, 1982.
J.-L. Nancy, L'etica originaria, ed. it. a cura di A. Moscati, Cronopio, Napoli, 1996.
A. Guigliano, Nietzsche-Rickert-Heidegger. E altre allegorie filosofiche, Liguori, Napoli, 1999.
F. Volpi (a cura di), Guida a Heidegger, Laterza, Roma-Bari, 2005.
G. Vattimo, Introduzione a Heidegger, Laterza, Roma-Bari, 2008.
1. Critica dell'umanesimo e umanesimo come critica
2. M. Heidegger, la lettera sull'umanismo: l'etica originaria
4. L'umanismo e l'Essenza dell'uomo
7. Una modulazione ontologica della fenomenologia
8. L'esistenzialismo è un umanismo
12. L'Umanesimo critico e aperto
13. Lo spazio di intervento dell'umanista
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